Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: http://hdl.handle.net/2307/5209
Titolo: Le miroir des faits. Philosophie de l’habillage juridique dans la scolastique médiévale et ses lectures romantiques
Autori: Thévenin , Pierre
Relatore: Conte, Emanuele
Parole chiave: possesso
idealismo
finzione
savigny
Data di pubblicazione: 15-gen-2014
Editore: Università degli studi Roma Tre
Abstract: Cette thèse cherche dans la tradition européenne du droit civil romain le moyen de questionner l’évolution normative des sociétés contemporaines. Partant du constat d’un certain effacement du modèle formel de la manutention des normes juridiques, je remonte le fil de deux traditions d’étude disjointes. La première partie revient sur les systèmes idéalistes de philosophie du droit, pour faire le compte des obstacles qui devaient empêcher celle-ci d’ « accoster la jurisprudence », c’est-à-dire de prêter attention aux dimensions historiques et techniques du raisonnement juridique. Ce parti-pris aura entraîné une contrepartie ironique : chez Kant, la mise en place d’une philosophie du jugement d’allure nettement juridique ; chez Hegel, la valorisation paradoxale du droit romain, à la fois attaché à la figure historique de l’ancienne Rome et voué à définir ad aeternam la forme abstraite de l’esprit objectif. Basculant sur le terrain du droit savant proprement dit, la seconde partie tâche alors de mettre en lumière une polarité à longue échelle au sein de la tradition juridique européenne, entre deux manières d’« habiller les faits », c’est-à-dire de rapporter la pensée juridique à la réalité. De la confrontation de deux couches d’interprétations distinctes du droit romain de la possession — celle qu’on trouve dans la scolastique médiévale, principalement italienne, du XIIe au XIVe siècle et celle qui ressort, au début du XIXe siècle, du Traité de la possession en droit romain de Friedrich Carl von Savigny, ouvrage fondateur Cette thèse cherche dans la tradition européenne du droit civil romain le moyen de questionner l’évolution normative des sociétés contemporaines. Partant du constat d’un certain effacement du modèle formel de la manutention des normes juridiques, je remonte le fil de deux traditions d’étude disjointes. La première partie revient sur les systèmes idéalistes de philosophie du droit, pour faire le compte des obstacles qui devaient empêcher celle-ci d’ « accoster la jurisprudence », c’est-à-dire de prêter attention aux dimensions historiques et techniques du raisonnement juridique. Ce parti-pris aura entraîné une contrepartie ironique : chez Kant, la mise en place d’une philosophie du jugement d’allure nettement juridique ; chez Hegel, la valorisation paradoxale du droit romain, à la fois attaché à la figure historique de l’ancienne Rome et voué à définir ad aeternam la forme abstraite de l’esprit objectif. Basculant sur le terrain du droit savant proprement dit, la seconde partie tâche alors de mettre en lumière une polarité à longue échelle au sein de la tradition juridique européenne, entre deux manières d’« habiller les faits », c’est-à-dire de rapporter la pensée juridique à la réalité. De la confrontation de deux couches d’interprétations distinctes du droit romain de la possession — celle qu’on trouve dans la scolastique médiévale, principalement italienne, du XIIe au XIVe siècle et celle qui ressort, au début du XIXe siècle, du Traité de la possession en droit romain de Friedrich Carl von Savigny, ouvrage fondateur de l’école historique du droit — je tire plusieurs enseignements. Je montre non seulement le rôle de l’adoption du principe kantien de l’autonomie de la volonté dans le rejet, par Savigny, d’une grande partie des conceptions médiévales, mais surtout l’enrôlement de la nouvelle philologie romantique dans la mise en place de cette dérivation, inédite pour l’histoire de la science juridique. Cela éclaire par contraste toute l’originalité de la technique juridique médiévale. En m’appuyant sur l’analyse de deux points de doctrine développés par les glossateurs et les commentateurs du Corpus iuris civilis : la classification casuistique des formes de possession en « plus ou moins factuelle », et la doctrine de la traditio ficta, c’est-à-dire du transfert fictif de la propriété, je fais valoir les « ontologies » que la scolastique juridique a su construire au gré des cas, de manière pratiquement indépendante. Dans cet usage libre et délié de la technique juridique, je propose d’entrevoir la clé d’une juste compréhension de la place du droit dans le gouvernement des sociétés contemporaines.
Questa tesi mira a cercare nella tradizione europea del diritto civile romano gli strumenti concettuali per analizzare l’evoluzione normativa delle società contemporanee. Muovendo dalla constatazione di una certa dimenticanza del modello formale di manutenzione delle norme giuridiche, ripercorro le tracce di due tradizioni di studi disgiunte. La prima parte del lavoro esamina i sistemi idealisti di filosofia del diritto per prendere la misura degli ostacoli che impedivano a quest’ultima di “accostare la giurisprudenza”, ovvero, di prestare attenzione alla dimensione storica e alla dimensione tecnica del ragionamento giuridico. Questa presa di posizione avrà un’ironica contropartita: per Kant, la costruzione di una critica del giudizio di carattere nettamente giuridico; per Hegel, la valorizzazione paradossale del diritto romano, legato alla figura storica della Roma antica e, al contempo, votato a definire ad aeternam la forma astratta dello spirito oggettivo. Spostandosi sul terreno del droit savant propriamente detto, la seconda parte della tesi si propone di mettere in luce una polarità di lunga durata all’interno della tradizione giuridica europea, tra due diverse maniere di revêtir les faits“rivestire i fatti”, ovvero di rapportare il pensiero giuridico alla realtà. Dal confronto di due strati intepretativi distinti della tutela possessoria in diritto romano – quello che si trova nella scolastica medievale, principalmente italiana, dei secoli XII-XIV, e quello che, all’inizio del XIX secolo, emerge dal Trattato del possesso secondo i principi del diritto romano di Friedrich Carl von Savigny, opera che fonda la scuola storica del diritto – traggo molteplici insegnamenti. Non soltanto insisto sul ruolo che l’adozione del principio kantiano dell’autonomia della volontà gioca nel rifiuto savignyano di una gran parte delle concezioni medievali, ma soprattutto metto in evidenza l’arruolamento della nuova filologia romantica nella predisposizione di questa derivazione, inedita per la storia della scienza giuridica. Quest’operazione mette in luce, per contrasto, l’originalità della tecnica giuridica medievale. Appoggiandomi sull’analisi di due elaborazioni dottrinali Questa tesi mira a cercare nella tradizione europea del diritto civile romano gli strumenti concettuali per analizzare (l’evoluzione normativa delle società contemporanee. Muovendo dalla constatazione di una certa dimenticanza del modello formale di manutenzione delle norme giuridiche, ripercorro le tracce di due tradizioni di studi disgiunte. La prima parte del lavoro esamina i sistemi idealisti di filosofia del diritto per prendere la misura degli ostacoli che impedivano a quest’ultima di “accostare la giurisprudenza”, ovvero, di prestare attenzione alla dimensione storica e alla dimensione tecnica del ragionamento giuridico. Questa presa di posizione avrà un’ironica contropartita: per Kant, la costruzione di una critica del giudizio di carattere nettamente giuridico; per Hegel, la valorizzazione paradossale del diritto romano, legato alla figura storica della Roma antica e, al contempo, votato a definire ad aeternam la forma astratta dello spirito oggettivo. Spostandosi sul terreno del droit savant propriamente detto, la seconda parte della tesi si propone di mettere in luce una polarità di lunga durata all’interno della tradizione giuridica europea, tra due diverse maniere di revêtir les faits“rivestire i fatti”, ovvero di rapportare il pensiero giuridico alla realtà. Dal confronto di due strati intepretativi distinti della tutela possessoria in diritto romano – quello che si trova nella scolastica medievale, principalmente italiana, dei secoli XII-XIV, e quello che, all’inizio del XIX secolo, emerge dal Trattato del possesso secondo i principi del diritto romano di Friedrich Carl von Savigny, opera che fonda la scuola storica del diritto – traggo molteplici insegnamenti. Non soltanto insisto sul ruolo che l’adozione del principio kantiano dell’autonomia della volontà gioca nel rifiuto savignyano di una gran parte delle concezioni medievali, ma soprattutto metto in evidenza l’arruolamento della nuova filologia romantica nella predisposizione di questa derivazione, inedita per la storia della scienza giuridica. Quest’operazione mette in luce, per contrasto, l’originalità della tecnica giuridica medievale. Appoggiandomi sull’analisi di due elaborazioni dottrinali sviluppate dai glossatori e dai commentatori del Corpus iuris civilis – la classificazione casistica delle forme di possesso in “più o meno fattuale” e la dottrina della traditio ficta, ovvero del trasferimento fittizio della proprietà – faccio emergere le “ontologie” che la scolastica giuridica ha saputo costruire seguendo i casi, in maniera praticamente indipendente. Quest’uso libero e slegato dalla tecnica giuridica mi pare la chiave per una giusta comprensione del ruolo del diritto nel governo delle società contemporanee.
URI: http://hdl.handle.net/2307/5209
Diritti di Accesso: info:eu-repo/semantics/openAccess
È visualizzato nelle collezioni:Dipartimento di Giurisprudenza
T - Tesi di dottorato

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