Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: http://hdl.handle.net/2307/639
Titolo: L'uso dei termini giuridici in poeti latini del I secolo a.c.
Autori: Hassan, Rachele
Relatore: Peppe, Leo
Data di pubblicazione: 16-apr-2010
Editore: Università degli studi Roma Tre
Abstract: La tesi si propone di offrire un contributo rispetto a un tema molto discusso nell’ambito della giusromanistica, e cioè in quale misura le fonti letterarie possano essere impiegate per la ricostruzione degli istituti giuridici romani, in particolar modo quelli privatistici. Alla luce di queste considerazioni, la ricerca è volta a valutare la maggiore o minore sensibilità e conoscenza del diritto nella poesia romana del I sec. a.C., nella prospettiva del rapporto testo/lettore/contesto. 2. Quanto alla struttura della tesi, essa si distingue in due parti fondamentali. Nella prima parte – di carattere generale – divisa in tre capitoli, si evidenziano i riferimenti e le allusioni giuridiche presenti nei poeti considerati; la seconda parte della tesi, distinta in due capitoli, è dedicata, viceversa, all’analisi di singoli passi virgiliani e oraziani, soffermandosi quindi su alcuni nuclei tematici specifici. Il cap. I è rivolto, nell’ordine, a Catullo, Properzio e Tibullo. Il cap. II è dedicato a Virgilio. In appendice al presente cap. si colloca un approfondimento sulla voti sponsio nella quale viene dato conto di un testo tratto da Seneca, Hercules Oetaeus (vv. 1295 ss). Il cap. III riguarda Orazio, la cui opera presenta risultati inaspettati per gli innumerevoli riferimenti alla terminologia del linguaggio giuridico romano. Seguono i due capitoli relativi a nuclei tematici specifici. Il cap. IV si concentra su Aen. 6.608-614 – il catalogo dei dannati dell’Oltretomba – ove Virgilio elenca una serie di anonimi peccatori, colpevoli di violazioni punite giuridicamente in base a leggi romane arcaiche. Il cap. V prevede l’analisi di due passi, che non solo esemplificano le conoscenze giuridiche di Orazio, ma chiarificano altresì il discorso relativo all’impiego strumentale del diritto da parte 1 dei poeti: si tratta di Sat. 1.3.115 ss. e Ars 470 ss, rispettivamente in materia di sacrilegio e profanazione delle ceneri del defunto, entrambi, dunque, a cavallo fra ius sacrum e ius civile. 3. In sede di conclusioni è messo in luce quanto già accennato a più riprese nella tesi: nel I. sec. a.C. la tradizione giuridica romana, la conoscenza della giurisprudenza allora contemporanea e dei temi giuridici all’epoca più dibattuti (si pensi, nel caso di Orazio, alla discussione stoica in merito al rapporto fra colpa e pena) - non era appannaggio esclusivo di quanti si dedicavano professionalmente alla scienza giuridica, ma riguardava una più ampia classe di intellettuali di cui facevano parte anche poeti, i quali impiegavano il diritto come narrazione sul mondo, e cioè come mezzo strumentale ed efficace di comunicazione verso un lettore accorto. Il che, del resto, conferma la circostanza che anche i lettori dei lirici in esame, almeno in una certa misura, e a differenti livelli, in base evidentemente agli studi ed alla formazione di ciascuno, dovessero essere in grado di riconoscere le allusioni al diritto e alla tradizione giuridica romana e, in qualche modo, ricordarle.
URI: http://hdl.handle.net/2307/639
È visualizzato nelle collezioni:X_Dipartimento di Diritto Europeo. Studi Giuridici nella dimensione nazionale, europea, internazionale
T - Tesi di dottorato

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