Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: http://hdl.handle.net/2307/6037
Titolo: Densidad aparente : las lecciones constructivas de Roma en Louis I. Kahn
Autori: Garcia Rubio, Ruben
Relatore: Cellini, Francesco
Parole chiave: Kahn
Roma
Accademia
Viaggio
Architettura
Data di pubblicazione: 14-gen-2016
Editore: Università degli studi Roma Tre
Abstract: È vero che Kahn passò alla AAR solamente tre mesi. E che la maggior parte di questi li passò viaggiando, come si è potuto vedere nella prima parte della ricerca. Ma questa scarsità di tempo terminò con uno sguardo avido. Uno sguardo simile a quello che si ha quando si (ri)scoprono le cose per la prima volta. Quando all’improvviso, per un misterioso caso del destino, tutti i pezzi si incastrano. Ed è in questo istante quando uno è veramente cosciente di aver capito qualcosa. Una realtà che, senza dubbio, era lì da sempre ma che fino a quel preciso istante non era stata compresa veramente. E qualcosa di simile deve essere avvenuto a Louis Kahn durante il suo contatto con le grandi opere del passato. Inoltre, esiste una piccola storia raccontata dallo stesso Kahn che risulta molto utile a comprendere l’idea precedente: Avevo appena letto nel New York Times Magazine dei successi che stavano avendo luogo in California. Io avevo visitato la California ed ero passato per Berkeley; così, compresi la portata della rivoluzione e delle grandi promesse della macchina; e capii qualcosa che avevo letto di recente: che vi erano poeti intenti a scrivere senza parole. Rimasi seduto per almeno dieci minuti, senza muovermi, ripensando a tutte queste cose e finalmente dissi a Gabor [la persona con la quale stava parlando Kahn]: “Com’è l’ombra della luce bianca?” Gabor ha l’abitudine di ripetere quello che dicono, “Luce bianca, luce bianca… Non ne ho idea”. E gli dissi: “Nera. Non preoccuparti, perché la luce bianca non esiste e non esiste neanche l’ombra nera”. Credo che sia ora di mettere in dubbio il sole, di mettere in dubbio tutte le nostre istituzioni. Quando ero piccolo, la luce del sole era gialla e l’ombra era blu. Ma ora vedo chiaramente che si tratta di luce bianca e di ombra nera. Tuttavia, non è il caso di allarmarsi, in quanto non credo che appariranno un nuovo giallo ed uno splendido blu e che la rivoluzione fomenterà una nuova capacità di stupore. Unicamente dallo stupore possono sorgere nuove istituzioni. È ovvio che non possano sorgere dall’analisi. E gli dissi: “Sai una cosa, Gabor? Penso che se potessi fare qualcosa di diverso dall’architettura, sarebbe scrivere una fiaba, perché dalla fiabe nascono gli aerei, le locomotive e questi stupefacenti strumenti che sono la nostra mente… Tutto nacque dallo stupore”. E questo “stupore” fu sicuramente ciò che rivelò a Kahn l’ordine nell’architettura che cercava da anni. Per ciò, tutte le lettere che inviò durante la sua permanenza sono popolate di frasi in tal senso. Ad esempio, quando prova a descrivere “le incredibilmente forti scosse che ti percuotono quando Roma torna in scena”; o quando afferma che “le piramidi sono la cosa più meravigliosa che abbia visto finora, nessuna immagine può mostrare il suo monumentale impatto”; e fin quando esclama che “Luxor, i Templi e i Monumenti vicini sono veramente spettacolari”. Una citazione, quest’ultima, in cui lo stesso Kahn finisce per rivelare che l’architettura che sta vedendo è, allo stesso tempo, tanto meravigliosa quanto istruttiva. Tutto ciò mette in risalto la teoria secondo la quale fu realmente questo “stupore”, “stupefazione” o impatto che Kahn sperimentò dinanzi alle rovine del Mediterraneo, il responsabile che fece in modo che arrivasse fino alla vera conoscenza delle stesse. E fu a partire da questa scoperta che cambiò la sua maniera di intendere l’architettura e, di conseguenza, la sua opera iniziò a trasformarsi. “Ciò che sarà, sempre è stato” ripeteva di solito l’architetto al rispetto. Per questo, come si è ripetuto in varie occasioni, non è possibile segnalare nessun edificio in concreto, bensì, che in realtà fu l’esperienza congiuntasi con l’architettura antica. Ho già visitato il Foro ed è così [...], che ricomincerò a fare alcuni disegni delle magnifiche forze esistenti, tutti indizi di una forza rimanente tale come a suggerire un rinnovamento esterno del suo spirito originale in quello che dovremo fare. Oggi e domani, e ancora domani. Nonostante tutto, è anche vero che si sono verificate una serie di circostanze che aiutarono questa profonda comprensione dell’architettura sperimentata da Kahn durante il tempo trascorso alla AAR. Per esempio, l’ambiente della propria Accademia. Un luogo nel quale Kahn scambiava costantemente il ruolo di recettore e trasmettitore di riflessioni. Da una parte, poteva assorbire le idee di tutti quei compagni dell’istituzione e, in particolare, quella di un esperto dell’architettura romana come Frank Brown. “Il Dr. Brown, è un perfetto genio della ricostruzione e vanta una fine e moderna interpretazione delle idee architettoniche che queste [rovine] suggeriscono”, confesserebbe l’architetto. Allo stesso tempo, però, Kahn doveva fungere da “maestro” con i borsisti e con l’istituzione. E questo supponeva che anche l’architetto doveva effettuare lo sforzo che richiede la comprensione delle cose prima di poterle spiegare. Due aspetti che, senza lasciar spazio al dubbio, aiutarono a far in modo che la permanenza di Kahn alla AAR fosse caratterizzata da una forte stimolazione intellettiva in tutti i sensi. A ciò bisognerebbe aggiungere la predisposizione di Kahn per l’architettura antica. Ancora una volta, bisogna ricordare che tutte le informazioni artistiche dell’architetto, dalla sua infanzia fino alla maturità, è girata intorno ad uno stile neoclassico. E questo significa che si era formato studiando molte volte gli stessi esempi dell’architettura antica. Opere che, almeno in gran parte, ebbe l’opportunità di visitare durante questo viaggio. Proprio per questo, per Kahn, il contatto con le grandi architetture del passato furono come un rincontro con un “vecchio amico” apparentemente dimenticato. E, ai sentimenti che implicano questo tipo di rincontro, bisognerebbe aggiungere l’esaltazione derivata dal fatto che furono questi stessi “vecchi amici” ad aiutare Kahn a comprendere veramente l’architettura durante il loro rincontro. Ad ogni modo, non bisognerebbe neanche dimenticare l’autoformazione sotto lo stile Moderno e Internazionale al quale Kahn si sottopose per vent’anni. Una circostanza che risulta pertinente portare a collazione data l’inquietudine che questo tipo di architettura generò negli anni precedenti al viaggio di Kahn per la sua inappropriata risposta dinanzi a determinati valori. Un’inquietudine di cui Kahn fu partecipe. E così sottoscrive nel suo testo “Monumentality” (1944), dove difende lo sguardo al passato al fine di superare le carenze dell’architettura razionale e funzionale. Un passato con il quale, curiosamente, si imbatterà lui stesso pochi anni dopo averlo difeso. Per questo, bisogna tornare a sottolineare la felice coincidenza del contatto di Kahn con l’architettura antica proprio nel momento in cui l’architetto stava reclamando qualcosa che solo questa poteva offrirgli. Inoltre, questi stessi ideali moderni che proclamava con la sua opera anteriore al viaggio, sono la chiave per identificare gli aspetti dell’architettura antica che ebbero maggior impatto. In una delle prime lettere, Kahn confessa che “l’architettura italiana permarrà come fonte d’ispirazione per i futuri lavori”. E lo stesso architetto espone il motivo principale alcune linee dopo aver affermato che “la nostra architettura è insignificante se comparata con quella romana”. Per questo, la presente ricerca ha dato tanta importanza alle opere precedenti al viaggio al fine di poter compararle con quelle posteriori e poter, così, estrarne le differenze. E, in tal senso, il primo cambiamento che si osserva nell’opera di Kahn sta nella materialità. Inoltre, questa prima trasformazione è chiaramente riconoscibile. Non bisogna più comparare la leggerezza, la trasparenza e l’astrazione che caratterizzavano l’opera di Kahn prima del viaggio con la pesantezza, la solidità e la fisicità dell’architettura antica. Qualità che, dato lo stato di rovina in cui si trovano le opere osservate, furono le prime impressioni che l’architetto acquisì durante la sua permanenza. Fu proprio lì che, in solo cinque giorni di viaggio, la sua architettura si qualificò come “insignificante” rispetto a quella romana. E questa fu la prima lezione che Kahn apprese durante il viaggio. Inoltre, fu la prima che osò applicare, come dimostra la Galleria d’Arte dell’Università di Yale (1951-53). E le conseguenze di questo primo cambiamento furono quelle che provocarono la seconda lezione. Prova di ciò è che la logica interna del materiale è quella che, alla fine, stabilisce il suo sistema costruttivo. Per tanto, appoggiata dalle parole di Kahn e dall’esperienza di qualsiasi “visitatore” al contemplare queste opere, si è stabilita la materialità come l’inizio della trasformazione dell’opera di Kahn e, soprattutto, perché fu proprio questa nuova gamma di materiali, il mattone ed il cemento, che progressivamente impose i propri sistemi costruttivi. In maniera leggermente forzata all’inizio, dati gli studi sul ferro battuto della Galleria, ma in maniera totalmente naturale, come succede nella Casa dei Bagni di Trenton (1954-55). Ovviamente, non esiste una relazione così pura e correlativa tra le lezioni che Kahn apprese durante il suo viaggio e quelle esposte in questa ricerca. Ma non per questo, bisogna sminuire l’ordine stabilito nella stessa. È vero che esiste una coerenza che colloca la scelta del materiale come prima decisione e, successivamente, il tema costruttivo da utilizzare. Tuttavia, questa coerenza si affievolisce al momento di collocare la natura della costruzione dinanzi alla selezione del materiale o dopo il resto delle decisioni. È abbastanza probabile che Kahn iniziasse a prendere queste decisioni in maniera individuale e alterando l’ordine, dipendendo dall’opera. Ma quello che è certo è che Kahn finì per prendere tutte queste decisioni in maniera congiunta. Ovvero, che non iniziò né dal materiale né dallo stile ma dal fatto che tutte queste variabili finirono facendo parte della nebulosa dei componenti che originano l’atto creativo. Così, Kahn si assicurava che tutte queste formassero parte dello stesso conglomerato affinché l’opera finale abbia una coerenza nel suo ordine costruttivo. Così, Kahn ha riportato alla ribalta dell’architettura contemporanea una delle principali caratteristiche inerente della disciplina: il suo carattere di atto costruttivo. E per questo, ha difeso lo sguardo al passato pur essendo moderno. Questa posizione si adatta perfettamente alla biografia dell’architetto perché, come lui stesso avrebbe detto, “non si impara nulla che non sia parte di te stesso”. Tuttavia, questo doppio sguardo non è stato soltanto valida per Kahn ma dovrebbe continuare sempre ad accompagnare la vera Architettura.
URI: http://hdl.handle.net/2307/6037
Diritti di Accesso: info:eu-repo/semantics/openAccess
È visualizzato nelle collezioni:Dipartimento di Architettura
T - Tesi di dottorato

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