Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: http://hdl.handle.net/2307/5943
Titolo: Ruet moles et machina mundi : la fine del mondo nel De Rerum Natura
Autori: Galzerano, Manuel
Relatore: Andreoni Fontecedro, Emanuela
Parole chiave: Lucrezio
De Rerum Natura
escatologia
cosmologia
sublime
Data di pubblicazione: 17-gen-2017
Editore: Università degli studi Roma Tre
Abstract: La mia tesi consiste in uno studio sull’escatologia cosmica del De Rerum Natura di Lucrezio. La discussione di Lucrezio sulla distruzione del mondo rappresenta l’unico esempio superstite di escatologia epicurea e il più importante testimone del dibattito sulla mortalità del mondo nella Roma tardo-repubblicana. Inoltre, i passaggi “apocalittici” di Lucrezio influenzano chiaramente gli scenari escatologici dei più importanti autori della letteratura latina fino alla tarda antichità. La mia analisi prende in considerazione ogni passaggio escatologico del De Rerum Natura, con particolare attenzione al finale del Libro I (1.1053-1117), al finale del Libro II (2.1023-1174), alla dimostrazione della mortalità del mondo nel Libro V (5.91-415) e alla rassegna dei fenomeni meteorologici catastrofici nel Libro VI (6.96-702). Lo scopo è quello di identificare le fonti filosofiche di tali passaggi e di studiare le modalità di trasposizione poetica di questo tema filosofico. Le conseguenze di questa ricerca trascendono il campo dell’escatologia cosmica e forniscono risposte significative sulla questione ampiamente dibattuta del rapporto tra Lucrezio e le sue fonti. Infatti, l’analisi del finale del Libro I dimostra la presenza di una polemica anti-stoica, mentre l’analisi del finale del Libro II dimostra che Lucrezio confuta la teoria peripatetica di Critolao sull’eterna giovinezza della Terra (trasmessa da Philo, aet. 55-74). Queste conclusioni sembrano minare seriamente la ben nota interpretazione di David Sedley di Lucrezio come un “fondamentalista”, che rifiuta di citare testi filosofici successivi alla morte di Epicuro. Al contrario, Lucrezio sembra conoscere il recente dibattito tra gli Stoici e i Peripatetici sulla fine del mondo. Lo studio dei Libri V e VI dimostra anche che Lucrezio rifiuta il provvidenzialismo stoico e fa riferimento in chiave polemica ad alcuni versi tratti dagli Aratea di Cicerone (cfr. in particolare fr. 2 Buescu) e alle Satire Menippee di Varrone. Queste citazioni sono prova del desiderio del poeta di “modernizzare” il tema dell’escatologia cosmica, attaccando i difensori latini della teoria peripatetica dell’eternità del mondo, accettata anche dallo stoico Panezio e da altri filosofi stoici appartenenti alla cosiddetta “Stoà di mezzo”. Queste conclusioni non ci conducono a riconoscere Lucrezio come un “eclettico epigono tardo-ellenistico” (come pensava Schrijvers), ma come un “uomo del suo tempo”, capace di adattare gli insegnamenti di Epicuro al proprio saeculum. Inoltre, le molteplici similitudini tra i passaggi escatologici di Lucrezio e le teorie peripatetiche nel trattato dossografico di Filone De aeternitate mundi inducono a supporre che Lucrezio potesse aver letto una fonte dossografica peripatetica simile al trattato di Filone. Nella sezione conclusiva della tesi, indago la natura del concetto lucreziano di sublime escatologico, richiamando le tesi di Giancarlo Mazzoli e Gian Biagio Conte. Questa analisi mi porta a conclusioni che in parte divergono da quelle raggiunte da James Porter nel suo recente studio su questo argomento. Infatti, a mio parere, passaggi del De Rerum Natura come 2.1023-1047 e 6.647-679 mostrano che il primo scopo dei “passaggi apocalittici” di Lucrezio è condurre il lettore a un punto di vista “cosmico”: da questa posizione privilegiata, il lettore può finalmente vedere i fenomeni naturali senza terrore o stupore. Nil admirari (“non stupirsi di nulla”): questo è lo scopo dell’escatologia di Lucrezio. Lucrezio cerca certamente di suscitare il piacere estetico che deriva dagli scenari apocalittici, ma questo piacere non deve oscurare lo scopo morale di questi passaggi. Il piacere del sublime escatologico può essere considerato come “il miele delle Muse” (cfr. 1.936-950), uno strumento efficace per il conseguimento della verità. Infatti, l’indugiare di Lucrezio sulle scene catastrofiche è spesso dovuto allo scopo di rappresentare il terrore provato da coloro che ignorano la rivelazione di Epicuro. Più che “un fascino per il vuoto” (Porter), il lettore di Lucrezio è invitato a osservare il mondo con assoluto distacco, sub specie aeternitatis, come una divinità epicurea.
URI: http://hdl.handle.net/2307/5943
Diritti di Accesso: info:eu-repo/semantics/openAccess
È visualizzato nelle collezioni:Dipartimento di Studi Umanistici
T - Tesi di dottorato

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