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Title: Il Passaggio del rischio nei contratti a distanza anche alla luce della direttiva 2011/83/UE
Authors: Tamburrano, Emanuela
Advisor: Cuffaro, Vincenzo
Keywords: Passaggio
Rischio
Contratti a distanza
Issue Date: 14-Jun-2016
Publisher: Università degli studi Roma Tre
Abstract: La trattazione si compone di tre capitoli, dalla lettura dei quali emerge una indagine della tematica che ha preso le mosse dalla analisi del principio del consenso traslativo per approdare alla recente normativa di recepimento della direttiva 83/2011, passando per l’approfondimento della disciplina contenuta nella Convenzione di Vienna e nelle altre normative interne in materia di contratti a distanza che si sono susseguite nel corso degli anni. Come si è appena detto il lavoro muove dalla disamina della normativa civilistica in materia di conclusione del contratto, retta dal principio del consenso traslativo espresso nell’art. 1376 c.c., norma che accoglie il c.d. “principio consensualistico”, in virtù del quale la stessa manifestazione di volontà che costituisce il negozio è sufficiente non solo per far nascere l’obbligazione, ma anche per trasferire o costituire diritti in capo ad altri. Il consenso, dunque, anche senza la consegna e il pagamento del prezzo, è sufficiente per il passaggio della proprietà (o altro diritto) e a tale affermazione segue, quale corollario, la compenetrazione nel titulus del modus dell’acquisto, dal momento che il contratto, oltre al valore di regolamento di privati interessi diviene indice della circolazione dei beni, al posto dell’antica traditio. La sola manifestazione di volontà delle parti contraenti determina, dunque, contestualmente all’acquisto della proprietà, l’acquisto dello jus possidendi, in conseguenza della stipulazione. Nelle ipotesi in cui il contratto abbia ad oggetto uno dei diritti previsti nell’art. 2643 c.c. e negli altri casi in cui l’ordinamento prescrive la necessità della trascrizione, l’acquisto del diritto, da parte del compratore, si verifica erga omnes prima ancora del compimento delle formalità pubblicitarie legali, salva l’eventuale risoluzione, ex tunc, dell’acquisto stesso quale conseguenza della applicazione delle regole sulla pubblicità ed in particolare per l’effetto dichiarativo ad essa proprio. Si può, tuttavia, osservare che la regola del consenso traslativo ha, dunque, nel nostro 2 ordinamento, valenza generalizzata pur se sono rinvenibili diverse eccezioni che ne restringerebbero l’ambito di applicazione comportando, secondo alcuni, un “ridimensionamento” del principio stesso. La presenza di deroghe, tuttavia, non varrebbe ad intaccare la generalità del principio ben potendo con essa coesistere la scelta di politica legislativa secondo la quale relativamente a taluni diritti il trasferimento o la costituzione sia subordinato all’osservanza di particolari oneri formali. Il principio espresso nella disposizione citata, determina una macroclassificazione all’interno dei contratti di alienazione: si distinguono in contratti ad effetti reali, nei quali gli effetti reali sono immediati e contratti ad effetti obbligatori nei quali l’effetto reale è mediato dal sorgere di un vincolo obbligatorio. E’ risultato necessario, a questo punto, effettuare una analisi degli effetti che il principio volontaristico reca con sé, operando un coordinamento tra la norma di cui all’art. 1376 c.c. e quella di cui all’art. 1465 c.c., dal momento che è proprio in relazione al momento in cui il trasferimento del diritto ha luogo che viene decisa, in via di principio, la questione relativa al soggetto sul quale incombe (secondo le norme dispositive in materia di vendita) il rischio del perimento della cosa per causa non imputabile al venditore. L’individuazione del momento in cui si produce l’effetto traslativo è rilevante, pertanto, anche ai fini della disciplina del passaggio dei rischi, avendo il nostro ordinamento adottato, di massima (facendo salve le eccezioni relative alle vendite di beni di consumo) il criterio della proprietà e non, come avviene in altri Paesi o in base alle convenzioni di vendita internazionale, quello della consegna e neppure quello del contratto. Di regola, perciò, il rischio contrattuale del perimento, del deterioramento della cosa o dei vizi giuridici sopravvenuti è in capo al compratore, a partire dal momento in cui si sia prodotto l’effetto traslativo e indipendentemente dalla consegna o dal pagamento del prezzo (obbligazione alla quale il compratore sarà tenuto dal momento del prodursi dell’effetto traslativo). Il legislatore del ’42 considera, pertanto, assorbente il 3 trasferimento del diritto che eleva a criterio unico ed esclusivo di allocazione del rischio contrattuale (res perit domino); ciò con riferimento alle vendite non obbligatorie, giacchè in queste ultime il rischio continua a gravare sul venditore fino al verificarsi del trasferimento del diritto. Di conseguenza in esse, ove la cosa perisca per causa non imputabile ad alcuna delle parti, prima del verificarsi del trasferimento del diritto, il contratto si risolverà a norma dell’art. 1463 c.c. (salva la concentrazione sull’altro bene dedotto nella vendita alternativa e salvo l’ostacolo alla risolubilità nei casi di vendita di genere illimitato). Quanto detto fino a tale momento necessita di raffronto con il disposto dell’art. 1510 c.c. che si occupa del luogo della consegna nel caso di vendita di cose mobili precisando che nel caso di vendita con trasporto, “il venditore si libera dall’obbligo della consegna rimettendo la cosa al vettore o allo spedizioniere” (ove per rimessione si intende la concreta presa in consegna del bene da parte del vettore o dello spedizioniere). Nel caso in cui si tratti di vendita di cose generiche, la consegna suddetta equivarrà anche come atto di individuazione ai sensi dell’art. 1378 c.c.. La formulazione letterale della norma ha indotto parte della giurisprudenza e della dottrina a ritenere che la consegna al vettore o allo spedizioniere possa essere equiparata alla consegna al compratore, così esaurendosi l’obbligo di consegna gravante sull’alienante. Tale conclusione non si è ritenuta, tuttavia, condivisibile giacchè all’affidamento del bene all’incaricato del trasporto non consegue l’acquisizione della disponibilità dello stesso da parte del compratore, la quale rimane, di regola, al venditore che conserva il potere di impartire direttive al vettore. Dopo aver compiuto una breve disamina del quadro normativo municipale si è passati all’analisi della disciplina dei contratti inter absentes, dal momento della formazione dell’accordo a quello del trapasso della proprietà dal venditore all’alienatario. Il secondo capitolo inizia con l’illustrazione del procedimento di formazione dei contratti fra persone non presenti contestualmente nel luogo di conclusione del contratto, attraverso una analisi della 4 evoluzione storica della dottrina e della giurisprudenza in materia con un approccio comparatistico. In seguito si passa alla esposizione della disciplina contenuta nella Convenzione dell’Aja del 1964 (LUVI) e, più approfonditamente della Convenzione di Vienna del 1980. Quest’ultima in tema di formazione del contratto individua nella disposizione di cui all’art. 14 quali siano i requisiti minimi affinchè una proposta di concludere un contratto possa configurarsi come proposta in senso tecnico. Pertanto, dopo aver genericamente indicato che la proposta contrattuale deve essere sufficientemente precisa e deve contenere la volontà del proponente di obbligarsi in caso di accettazione, individua i requisiti che debbono sussistere affinchè una proposta possa dirsi sufficientemente precisa. La norma poc’anzi citata, come si vedrà nel corso del lavoro, non ha un equivalente nel nostro diritto interno, che, infatti, difetta di una norma contenente requisiti specifici al ricorrere dei quali si possa rinvenire una proposta in grado di dispiegare effetti. Quanto al momento a partire dal quale la proposta produce effetti, la norma di cui all’art. 15, I° comma della Convenzione stabilisce che essa acquista efficacia solo quando è stata portata a conoscenza del destinatario e, sotto tale aspetto, la legge uniforme non introduce modifiche rispetto al quadro normativo di diritto interno. La soluzione prescelta presenta, tuttavia, delle peculiarità rispetto alla disposizione di cui all’art. 1335 cod. civ., in base alla quale tutte le manifestazioni di volontà si reputano conosciute nel momento in cui pervengono all’indirizzo del destinatario; tali differenze valgono a rendere la soluzione adottata in sede internazionale più idonea a garantire una maggiore certezza nei traffici giuridici. Punto centrale della analisi della disciplina contenuta nella Convenzione di Vienna attiene, tuttavia, al profilo relativo alla consegna dei beni e agli effetti da essa prodotti, in relazione al quale l’art. 31, pur non discostandosi significativamente dalla precedente normativa uniforme, introduce delle modifiche notevoli; essa, anzitutto si riferisce semplicemente alla consegna, senza però darne una definizione precisa lasciando così che il contratto ne determini il concreto contenuto. 5 Significativa è la circostanza che si prevede che quando la cosa venduta deve essere consegnata in un luogo determinato, il venditore si libera dall’obbligo di consegnarla non già con il trasferimento del possesso, ma semplicemente mettendo la cosa a disposizione del compratore in quel luogo. Tale regola, come meglio si vedrà in seguito, ha imposto un adattamento del regime riguardante il passaggio del rischio al compratore: mentre infatti è rimasto fermo il principio che, nella vendita con trasporto, il rischio passa al compratore con la consegna della cosa al vettore, nel caso in cui la consegna debba avvenire in un luogo determinato occorre non solo che il venditore abbia messo la cosa a disposizione del compratore, ma anche che questi non abbia adempiuto l’onere di ritirarla tempestivamente e che, nel caso in cui il luogo della consegna sia diverso dal domicilio del venditore, il compratore sappia che la cosa è stata messa a sua disposizione. Inoltre, sempre con riferimento alla consegna, deve segnalarsi che l’art. 53 della convenzione impone al compratore, accanto all’obbligazione di pagare il prezzo anche l’obbligo di prendere in consegna la merce che secondo una parte della dottrina, dovrebbe essere considerato come una obbligazione autonoma, la cui violazione sarebbe da configurarsi come inadempimento contrattuale. La Convenzione di Vienna muta radicalmente prospettiva abbandonando la pretesa di una definizione unitaria di consegna proponendo solo una descrizione analitica dei vari tipi con cui essa si attua nella realtà del commercio internazionale; conseguentemente ne risulta una disciplina profondamente diversa anche con riguardo al passaggio dei rischi e agli obblighi del venditore. Sotto tale ultimo aspetto la Convenzione esplicita gli atti che il venditore deve compiere per liberarsi dal suo obbligo e per i rischi si articolano varie ipotesi che disciplinano il momento in cui, malgrado la perdita o il deterioramento delle merci, il compratore deve corrispondere il prezzo convenuto. Con particolare riferimento alla tematica relativa al passaggio del rischio, da un’analisi complessiva del testo della Convenzione, emerge che l’affidamento della merce al 6 trasportatore non può considerarsi sufficiente affinchè il venditore possa considerarsi liberato dal rischio. Sempre nell’ambito del secondo capitolo si è proceduto alla illustrazione della disciplina dettata nella direttive comunitarie e nel codice del consumo relativamente ai contratti a distanza e, per quel che più interessa, alla tematica del passaggio del rischio. Quanto alle prime si può osservare che l’impianto e le soluzioni adottate dalla Convezione di Vienna, presa in esame nella precedente sezione, sono stati assunti a modello dal legislatore comunitario in sede di predisposizione della direttiva 99/44/CE. Con riferimento al codice del consumo, come è noto il D. Lgs. 2 febbraio 2002, n. 24 ha dato attuazione alla Direttiva 1999/44/CE prevedendo l’inserimento della disciplina della vendita dei beni di consumo nel paragrafo 1 bis della sezione II del capo I del titolo III del libro VI del codice civile attraverso l’introduzione degli artt. da 1519 bis a 1519 nonies. In tal modo l’impianto codicistico fu integrato con un articolato di forte valenza consumeristica finalizzato ad adeguare alle esigenze del mercato, tutele, garanzie e responsabilità di determinati tipi di vendita. A tale novella legislativa conseguirono difficoltà circa il raccordo della stessa con la normativa sulla vendita di cose mobili, contenente una serie di rimedi, specifici per la natura delle cose vendute ed eccezionali rispetto ai principi generali in tema di contratto, ispirati alle esigenze di celerità delle risoluzioni delle controversie e di certezza delle contrattazioni. Sicchè si pose il problema dell’applicazione della specifica normativa del codice alle vendite dei beni di consumo, problema reso ancor più acuto dall’esistenza di una profonda lacuna nella direttiva de qua. Dall’impianto normativo delineato emergeva, dunque, che l’unica consegna giuridicamente rilevante fosse quella che procurava la materiale disponibilità della cosa al consumatore-destinatario (momento rilevante anche ai fini della responsabilità del venditore per “qualunque difetto di conformità esistente al momento della consegna” - art. 1519 quater cod. civ.). In tale variegato panorama normativo si poneva in discussione la 7 configurazione della condotta giuridicamente rilevante per la liberazione del venditore dall’obbligazione di consegna, nonchè il criterio di distribuzione dei rischi della complessiva operazione economica. Con lo scopo di creare una normativa di settore, volta ad armonizzare e riordinare le varie discipline e di fornire un‘ampia tutela al consumatore, inteso quale soggetto debole del rapporto contrattuale, nel 2005 è stato emanato il decreto legislativo n. 206, che ha espunto dal codice civile gli artt. da 1519 bis a 1519 nonies, trasfondendoli negli artt. 128 ss.. Vero motivo ispiratore prima dell’art. 1519 ter, I comma c.c. e del nuovo art. 129 cod. cons. è il concetto di “conformità al contratto” del bene oggetto di alienazione, individuandolo nell’idoneità all’uso al quale servono beni dello stesso tipo ovvero nella corrispondenza alla descrizione fatta dal venditore in sede di stipulazione del contratto. Sulla base del tenore letterale della norma appena citata si possono definire conformi al contratto anche quei beni che possiedono le qualità dei beni presentati dal venditore come modello o campione, ovvero presentano le qualità e le prestazioni abituali di beni dello stesso tipo; sono, altresì, conformi al contratto quei beni idonei all’uso particolare voluto dal consumatore e che sia stato portato da quest’ultimo a conoscenza del venditore, il quale abbia accettato anche per fatti concludenti. La norma prosegue escludendo che vi sia difetto di conformità tutte le volte in cui il consumatore fosse a conoscenza del difetto e non potesse ignorarlo con l’ordinaria diligenza ovvero nel caso in cui tale difetto sia stato cagionato dal consumatore con istruzioni o materiali. Come si può agevolmente notare, il difetto di conformità era stato concepito dal legislatore italiano indipendentemente dalla presenza di vizio, colpa o dolo, che, invece, caratterizzavano le disposizioni a riguardo disposte dal codice civile. Operato il raffronto tra la normativa generale, quella comunitaria e quella di settore la trattazione prosegue attraverso l’analisi del corpo normativo della direttiva 2011/83/UE, cui è dedicato il terzo ed ultimo capitolo, relativamente all’aspetto inerente il momento del passaggio del 8 rischio nei contratti a distanza, normativa che ha introdotto una tutela più avanzata per i consumatori, aggiungendo un altro significativo tassello nella formazione di un diritto uniforme europeo dei contratti dei consumatori (considerando n. 7). La normativa appena citata, anzitutto, amplia in modo considerevole la nozione di contratto a distanza (come anche di contratto negoziato fuori dai locali commerciali), giungendo ad estenderla a qualunque “regime organizzato di vendita o prestazione di servizi a distanza, senza la presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore, mediante l’uso esclusivo di uno o più mezzi di comunicazione a distanza fino al momento della conclusione del contratto, compresa la conclusione del contratto stesso”. Da tale definizione debbono rimanere esclusi i casi in cui i siti web offrono informazioni solo sul professionista, sui beni o servizi che presta e sui suoi dati di contatto e non anche sulle modalità di conclusione del contratto. Per l’aspetto che qui interessa, nel considerando n. 51 della suddetta direttiva si legge che particolarmente problematico e fonte di contenzioso è proprio il frangente attinente alla consegna dei beni, compresi quelli persi o danneggiati durante il trasporto, e la consegna parziale o tardiva. Intento palesato dal legislatore comunitario è proprio quello di armonizzare la normativa nazionale in ordine al momento in cui dovrebbe avvenire la consegna, facendo in modo, però, che le condizioni e il momento del trasferimento della proprietà dei beni rimangano assoggettati alla normativa nazionale. Con specifico riguardo all’ipotesi in cui i beni vengono spediti al consumatore dal professionista (nel caso di perdita o danneggiamento), la direttiva predispone una tutela più ampia e concreta nei riguardi del primo, stabilendo che egli debba essere tutelato contro ogni rischio di perdita o danneggiamento dei beni che avvenga prima che abbia preso fisicamente possesso dei beni medesimi. Con riguardo a tale momento di trasferimento del rischio, è opportuno considerare che può dirsi entrato in possesso di un bene, il consumatore che lo abbia materialmente ricevuto; quando, in altri termini, abbia acquisito un controllo su di esso, avendone accesso, anche tramite un terzo da lui 9 indicato, per utilizzarlo come proprietario. Viene però fatto salvo il caso in cui il consumatore abbia incaricato il vettore del trasporto dei beni, dal momento che, in tale ipotesi, il legislatore comunitario sposta il trasferimento del rischio della perdita o danneggiamento, in capo al consumatore, al momento della consegna dei beni al vettore. La medesima disciplina è applicabile nel caso in cui spetti al consumatore stesso prendere in consegna i beni, dal momento che in tale caso l’assunzione del rischio coinciderebbe con l’apprensione materiale del bene oggetto di contratto. Della consegna si occupa l’art. 18 della direttiva di cui si discorre, il quale, fatto salvo un diverso termine pattuito dalle parti, stabilisce che il professionista debba consegnare i beni “mediante il trasferimento del possesso o del controllo fisico” sugli stessi senza indebito ritardo e comunque non oltre trenta giorni dalla conclusione del contratto. Ove tale adempimento non venga compiuto dal professionista è riconosciuto al consumatore il diritto di sollecitare il primo ad effettuare la consegna entro un termine supplementare appropriato alle circostanze; ove la consegna non avvenga neppure entro tale termine, il consumatore ha diritto di risolvere il contratto. Nell’ipotesi in cui per la consegna sia stato fissato un termine e questo debba, tenuto conto delle circostanze, essere considerato essenziale, non trova applicazione il termine legale di trenta giorni e se il professionista omette di effettuare la consegna entro tale termine, il consumatore ha diritto alla risoluzione del contratto ipso iure. Al verificarsi di tale conseguenza, il professionista è tenuto al rimborso, senza ritardo, di tutti gli importi versati dal consumatore in esecuzione del contratto, fatti salvi, in ogni caso, gli ulteriori rimedi riconosciuti al consumatore dalla legislazione nazionale. L’attuazione della direttiva de qua è intervenuta a seguito del D. Lgs. 21 febbraio 2014, n. 21 il quale ha novellato, tra gli altri, gli artt. 60-61 e 63 del codice del consumo, dettati in tema di consegna dei beni e al passaggio del rischio di perdita o danneggiamento degli stessi, introducendo una regolamentazione più analitica delle conseguenze 10 dell’inadempimento anche sotto il profilo della responsabilità connessa alla consegna. Le disposizioni di cui agli artt.61 e 63 fanno esclusivo riferimento al contratto di vendita e vanno ad aggiungersi agli artt. 128-135 già presenti nel codice del consumo. La direttiva svincola il trasferimento dal conferimento del possesso, prevedendo che sia sufficiente che il consumatore abbia anche solo il “controllo fisico” sui beni acquistati; tale formulazione potrebbe rendere idonea quale prova dell’avvenuta consegna anche il conseguimento della semplice detenzione del bene, anche ad opera di un terzo incaricato dal consumatore stesso. Il momento della consegna (di cui si occupa l’art. 61, che recepisce quasi testualmente il disposto dell’art. 18 della direttiva) rappresenta un punto cruciale della fase esecutiva del contratto, fonte di numerose controversie generate dalla necessità tanto del legislatore comunitario, quanto di quello nazionale, di fornire una tutela effettiva al contraente più debole. In deroga a quanto disposto dal codice civile, ove il bene oggetto del contratto debba essere trasportato da un luogo all’altro (o essere spedito), non rileva il momento in cui il bene è affidato al vettore, ma il momento in cui esso giunge a destinazione, nelle mani dell’effettivo proprietario. Eccezione a tale regola si riscontra solo nel caso in cui il vettore sia stato scelto dal consumatore e tale scelta non sia stata proposta dal professionista, salvi naturalmente i diritti riconosciuti dal sistema codicistico al consumatore nei confronti del vettore. La finalità di tale recentissima novella legislativa, su impulso del legislatore comunitario, sembra riscontrabile nell’intento, da un lato, di allocare i rischi inerenti alla cosa in capo ad un soggetto che abbia consapevolmente acquisito fisicamente il possesso dei beni oggetto del contratto e dall’altro, di sollecitare il professionista nell’individuazione di un vettore effettivamente affidabile, in ossequio al principio di diligenza nell’adempimento delle obbligazioni.
URI: http://hdl.handle.net/2307/5921
Access Rights: info:eu-repo/semantics/openAccess
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T - Tesi di dottorato

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