Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: http://hdl.handle.net/2307/5251
Titolo: La responsabilità ambientale e gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie
Autori: Di Tillo, Pasquale
Relatore: Grisi, Giuseppe
Parole chiave: responsabilità
danno
ambiente
transazione
Data di pubblicazione: 29-mag-2013
Editore: Università degli studi Roma Tre
Abstract: Gli interessi in materia di ambiente e la necessità di attivare forme efficaci di tutela ha costretto l’adattamento degli istituti tradizionali del diritto, sviluppando un’analisi che si fonda sull’elaborazione e individuazione anche di nuovi istituti. Il panorama del rapporto tra la tutela degli interessi ambientali ed il diritto è forse troppo vasto per consentire una sintesi. I nodi di fondo restano quelli della responsabilità pubblica e privata di fronte all’emergere delle drammatiche conseguenze dello sviluppo tecnologico e la necessità di individuare un nuovo modo di concepire gli strumenti giuridici per dare una risposta soddisfacente a tali emergenze. Si è cercato di trovare, anche nella materia della responsabilità ambientale, una prospettiva diversa dai tradizionali modi di tutela giurisdizionale attualmente vigenti, ricercando forme alternative di risoluzione delle controversie. Si è dunque preso in esame il nuovo istituto della transazione ambientale, introdotto dall’art. 2 del d.l. n. 208/2008, convertito nella l. n. 13/2009, il tutto nell’ottica degli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, con particolare attenzione alla materia trattata, e cioè quella ambientale, che indubbiamente presenta delle peculiarità. Quando si parla di risoluzione alternativa delle controversie o, più correttamente, di strumenti non giurisdizionali di risoluzione delle controversie, si intende riferirsi a tutti quegli istituti attraverso i quali si può raggiungere un risultato analogo a quello del processo di cognizione, e quindi si può produrre un effetto simile, se non addirittura identico, a quello della sentenza. La nuova transazione in materia di danno ambientale, introdotta dall’art. 2 cit. rappresenta una procedura alternativa di risoluzione extragiudiziale del contenzioso relativo alle procedure di rimborso delle spese di bonifica e ripristino di aree contaminate e al risarcimento del danno ambientale. 3 In virtù della recente innovazione legislativa, pertanto, l’art. 2, comma 1, nell’ambito degli strumenti di attuazione di interventi di bonifica e messa in sicurezza di uno o più siti di interesse nazionale (cd. SIN), concede la facoltà al Ministero dell’ambiente di predisporre lo schema di contratto per la stipula di una o più transazioni globali, con una o più imprese interessate – pubbliche o private – in ordine alla spettanza e alla quantificazione degli oneri di bonifica e di ripristino, nonché del danno ambientale di cui all’art. 18 della l. 8 luglio 1986, n. 349 (ora abrogato) e all’art. 300 del d.lgs. n. 152/2006, oltre agli altri eventuali danni di cui lo Stato o altri Enti pubblici territoriali possano richiedere il risarcimento. È evidente il favor del legislatore verso un ampliamento dell’utilizzo del contratto di transazione, che, quanto agli effetti, comporta l’abbandono del contenzioso pendente e la preclusione per ogni ulteriore azione risarcitoria. La regolamentazione pubblicistica incide indubbiamente sulla garanzia della partecipazione e sulla convenienza del cittadino all’incontro contrattuale; oltre che sulla tutela dell’interesse dell’amministrazione, che mediante tale contratto deve essere realizzato. Tuttavia, va considerato che l’attuazione di questo istituto presenta dei contrasti con i principi sottesi alla direttiva 2004/35/CE, in particolare con il principio di precauzione recepita nella Parte VI del Codice dell’ambiente, volta ad affermare che il responsabile del danno ambientale è obbligato in via prioritaria al ripristino della precedente situazione ovvero, in mancanza, a misure sostitutive e complementari di ripristino ambientale, o in ulteriore subordine al risarcimento per equivalente patrimoniale. Il favor che incontrano i contratti di transazione nell’ordinamento interno, che si sostanziano in reciproche concessioni delle parti e dunque in un vantaggio per il responsabile dell’inquinamento, potrebbero condurre ad una sostanziale elusione della normativa comunitaria, qualora la transazione abbia come oggetto la sola prestazione patrimoniale del soggetto responsabile, e ciò senza che siano state percorse le vie privilegiate dell’ordinamento delle misure ripristinatorie dell’ecosistema deteriorato. Sebbene la transazione introdotta dall’articolo in commento miri a garantire, oltre che una efficace tutela dell’ambiente ed il più celere riutilizzo delle aree inquinate, una riduzione dei costi ambientali intesi non solo come oneri di bonifica o ripristino, ma anche come spese amministrative e di giudizio, altrimenti gravanti sulla collettività, il circoscritto ambito oggettivo della sua applicazione non consente di raggiungere i più ambiziosi obiettivi di ridurre l’ormai sempre più frequente contenzioso in materia ambientale ed i costi che ne conseguono, se non nelle limitate ipotesi di inquinamento-contaminazione dei SIN, né quello di consentire la localizzazione dei compiti di tutela dell’ambiente. La stessa presenta anche alcune criticità sia dal punto di vista economico che normativo. Dal punto di vista economico, la transazione anziché essere utile strumento per contenere la spesa1, corre il rischio di diventare, in spregio al principio “chi inquina paga”, un vero e proprio strumento di commercializzazione del degrado ambientale2. Il timore è che tale strumento possa essere riservato a pochi operatori. Il soggetto “inquinatore” potrebbe avvantaggiarsi di una rilevante riduzione dei costi per sanzioni, risarcimento e spese di ripristino, addossando allo Stato tutti i costi ed i rischi derivanti dall’accordo transattivo, sebbene la transazione determini un risparmio di spesa, in quanto evita alla collettività di sostenere i costi ed i tempi della giustizia ordinaria. È importante sottolineare che a carico del trasgressore l’onere ripristinatorio e risarcitorio è limitato al danno già prodotto, con esclusione, quindi, dei cd. danni futuri, causati dalla medesima condotta inquinante e che non sono agevolmente prevedibili ovvero che non costituiscono conseguenza diretta di quelli già manifestatisi3. La stipula ed il successivo adempimento dell’accordo transattivo comportano l’abbandono del contenzioso pendente e precludono ogni ulteriore azione di rimborso delle spese per la bonifica ed il ripristino, nonché l’azione risarcitoria per il danno ambientale. C’è quindi il rischio che rimangano impuniti i danni ambientali prodotti a lunga distanza di tempo dal compimento della condotta inquinante. Ciò che viene risarcito è esclusivamente il danno intrinseco valutato sulla base dei costi necessari per ripristinare la situazione ambientale ovvero, in presenza di danni irreversibili, l’equivalente patrimoniale. Dal punto di vista normativo, la transazione potrebbe precostituire – eludendo il principio “chi inquina paga” – una strada alternativa per l’operatore che pone in essere la condotta inquinante nel convincimento di poter inquinare e poi pagare un importo ridotto. Sul punto, sarebbe opportuno prevedere adeguati strumenti che fungano da deterrente, come ad esempio l’obbligo per il trasgressore di costituire un deposito cauzionale di importo elevato al fine di attivare il procedimento transattivo oppure escludere la possibilità di accedere allo strumento transattivo in caso di recidiva, stabilire criteri univoci ed universali di quantificazione non solo economica del danno. Vi è poi il problema dell’eccessivo accentramento delle competenze in capo al Ministro dell’ambiente, che continua a costituire n limite all’estensione dell’applicazione degli strumenti a tutela dell’ambiente, e devolvendo ai dirigenti maggiori competenze e poteri nell’azione a salvaguardia dell’ambiente. Infine, sarebbe opportuno attribuire nuovamente alle Regioni ed agli Enti locali i poteri di azione per il risarcimento del danno ambientale quantomeno per quelli che si ripercuotono cu circoscritti ambiti territoriali. La soluzione potrebbe essere quella di attribuire all’istituto una portata residuale, coniugando le esigenze dello sviluppo sostenibile del territorio con la tutela del mercato e dell’attività di impresa.
URI: http://hdl.handle.net/2307/5251
Diritti di Accesso: info:eu-repo/semantics/openAccess
È visualizzato nelle collezioni:X_Dipartimento di Diritto Europeo. Studi Giuridici nella dimensione nazionale, europea, internazionale
T - Tesi di dottorato

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