Adeegso tilmaantan si aad u carrabbaabdo ama ugu samayso link qoraalkan http://hdl.handle.net/2307/508
Cinwaan: Conflitto colombiano: conflitto postmoderno?
Qore: Rosato, Valeria
Tifaftire: Maniscalco, Maria Luisa
Taariikhda qoraalka: 14-May-2009
Tifaftire: Università degli studi Roma Tre
Abstract: Compiere oggi un'analisi sui conflitti contemporanei comporta inevitabilmente una riflessione sui nuovi assetti societari derivanti dall'ormai inarrestabile processo di globalizzazione. Per globalizzazione si intende, infatti, un processo che investe molteplici aspetti della realtà, culturale, politico, sociale, militare, ecologico e si caratterizza per una stretta connessione tra particolare e universale, tra locale e globale, omogeneità e differenziazione1 . L'effetto principale di tale processo è quello di interconnettere Stati e società e di accrescerne notevolmente la loro interdipendenza, modificando la vita sociale di tutti i paesi coinvolti e creando, da una parte, forti disuguaglianze, ma dall'altra, anche nuove opportunità di emancipazione sia a livello individuale che sociale2 . Uno degli aspetti fondamentali legato al processo di globalizzazione è la costante riarticolazione della sovranità statale che però, secondo alcuni studiosi, seguirebbe due percorsi differenti: mentre nei paesi sviluppati porterebbe alla nascita di reti di cooperazione economica e sistemi regionali transnazionali, nei paesi più poveri innesterebbe processi di frammentazione e conflitto3 . Negli ultimi anni si è sviluppato un dibattito su quelle che alcuni analisti hanno definito "nuove guerre"4 per indicare gli attuali conflitti sulla scena mondiale. In questo lavoro viene preso in considerazione il modello sviluppato di recente da Mark Duffield come possibile chiave interpretativa del conflitto colombiano5 . Il filone delle "nuove guerre", in cui in parte rientrerebbe lo stesso Duffield, tende ad evidenziare gli aspetti di novità degli attuali conflitti rispetto a quelli precedenti la fine della Guerra Fredda. La caduta del sistema bipolare e il consolidamento e l'espansione del processo di globalizzazione, vengono considerati dei veri e propri spartiacque. Ma se da una parte tale filone di studi ha il riconosciuto merito di aver evidenziato reali e profonde trasformazioni dei conflitti contemporanei, dall'altra ha ceduto il fianco a numerose critiche. Alcuni studiosi non concordano con tale interpretazione delle guerre basata sostanzialmente su una radicale frattura tra pre e post Guerra Fredda, al contrario insistono nel far emergere i numerosi elementi di continuità. Una delle principali critiche mossa alla letteratura delle "nuove guerre" è quella di raffigurare i conflitti attuali come apolitici, ossia come espressione di nuove forme di violenza privata, criminale e priva di qualsiasi motivazione ideologica o politica6 . L'attuale conflitto colombiano potrebbe allora essere definito "postmoderno" secondo l'accezione data da Duffield che, rifiutando la lettura evoluzionista e etnocentrica degli odierni conflitti, tipica del paradigma della modernizzazione, parla dello sviluppo all'interno delle società colpite dalla guerra di "sistemi politici emergenti" capaci di adattarsi razionalmente ai nuovi e cambianti assetti globali. Il conflitto colombiano, infatti, può essere considerato un conflitto sui generis, una delle guerre civili più lunghe dell'età contemporanea che non può superficialmente essere liquidato attraverso interpretazioni semplicistiche che misconoscono il peso politico degli aspetti e delle motivazioni che lo alimentano ancora oggi. Il crescente fenomeno del narcotraffico e la persistente esistenza di una attiva e estesa formazione insurgente ha portato alcuni analisti, soprattutto sulla scia del nuovo clima internazionale post 11 settembre 2001, a bollare il conflitto colombiano come guerra contro il terrorismo e il narcotraffico. Al contrario, attraverso un'analisi più attenta, è possibile cogliere la complessità di un conflitto che dura da più di sessanta anni all'interno del quale i suoi attori principali hanno mostrato una grande capacità di trasformazione e adattamento ai profondi mutamenti economici, politici e sociali accorsi sia a livello nazionale che internazionale7 . Se da una parte è incontestabile l'enorme peso che, a partire dagli anni '80, ha avuto il crescente traffico di droga nell'alimentare sia l'azione delle guerriglie sia l'azione delle formazioni paramilitari sorte negli anni '90, dall'altra però sarebbe approssimativa un'analisi che individuasse il narcotraffico, e dunque esclusivamente l'impresa criminale, come l'unica causa del persistere del conflitto odierno in Colombia. I due attori illegali principali del conflitto colombiano, guerriglia e paramilitari, si configurerebbero quindi come dei veri e propri "complessi politici". Dominano ampi territori al cui interno svolgono tutte le funzioni proprie dello Stato stabilendo rapporti complessi e ambigui con le popolazioni sotto il loro controllo. All'interno di un simile contesto definibile di "ordine nel disordine" in cui, di fronte alla storica assenza dello Stato, altri attori hanno imposto rispettivamente il loro "ordine" perlopiù di tipo violento, alla popolazione civile si prospettano poche alternative: o subire lo sfollamento forzato soprattutto nelle zone contese dagli attori armati; o accettare in modo più o meno volontario l'autorità dell'attore armato che controlla il territorio; oppure sviluppare forme di resistenza pacifica e di neutralità rispetto agli attori armati al fine di proteggere la popolazione. Mentre le prime due sono le situazioni più comuni e diffuse nel contesto colombiano, la terza è la via più difficile e coraggiosa dal momento che "sfida" l'imposizione violenta di qualsiasi autorità. L'esperienza della Comunità di Pace di San Josè de Apartadò è la prima esperienza di questo tipo sorta in Colombia e viene analizzata attraverso il modello elaborato da Mitchell e Hancock delle cosiddette Local Zones of Peace8 . Questi nuovi "santuari" del XX secolo si configurano come particolari processi di protezione della popolazione civile che, data la natura delle nuove guerre, si è inevitabilmente trasformata in uno dei protagonisti principali dei conflitti interni. L'esperienza della Comunità di San Josè rientrerebbe all'interno dei processi di protezione cosiddetti "bottom up", ossia di quei processi che vengono attivati e portati avanti dalla stessa popolazione coinvolta piuttosto che diretti dall'alto, ossia innescati e guidati da istituzioni e organismi preposti. L'efficacia di questo tipo di processo "dal basso" viene valutata attraverso l'analisi di alcuni fattori fondamentali: le funzioni che il santuario ricopre e il ruolo del cosiddetto patronage, ossia del supporto di entità esterne. Attraverso l'analisi del caso della Comunità di pace colombiana si intende verificare quanto funzioni come quella di sancire nuovi patti di convivenza e regolazione sociale e di portare avanti progetti di sviluppo alternativi incidano sulla durata e efficacia di questa esperienza di protezione. Inoltre viene verificato il fondamentale ruolo del patronage svolto da organizzazioni e istituzioni nazionali e internazionali che supportano il processo attraverso una fondamentale opera di monitoraggio e denuncia delle violazioni subite dalla popolazione civile. Sia il patronage che l'intero processo di riscatto sociale di queste popolazioni coinvolte negli odierni conflitti interni possono essere letti solo all'interno del processo di globalizzazione che, come abbiamo visto, dato il suo carattere complesso e contraddittorio tipico dell'attuale epoca "postmoderna"9 o "tardomoderna"10 , offre anche nuove opportunità di emancipazione sia a livello individuale che sociale11 . All'interno di contesti caratterizzati da alti e prolungati livelli di violenza questa particolare esperienza colombiana, che va avanti da più di un decennio, potrebbe allora configurarsi come un possibile efficace esempio di santuario "postmoderno". Conclusioni L'obiettivo che ci siamo prefissati all'inizio del presente lavoro consisteva nell'analizzare uno dei tanti conflitti attualmente attivi nello scenario mondiale: il conflitto colombiano. L'attenzione è ricaduta su un conflitto raramente al centro dei riflettori della scena internazionale ma che rappresenta uno degli attuali conflitti interni più longevi della nostra epoca. La guerra colombiana nasce agli inizi degli anni Sessanta con il sorgere delle prime formazioni guerrigliere sulla scia delle rivoluzioni postcastriste, inserendosi così perfettamente nel contesto internazionale caratterizzato dalla contrapposizione bipolare Est-Ovest. Proprio la fine della Guerra Fredda segna un passaggio cruciale verso un nuovo assetto globale e all'interno del dibattito sulla natura delle guerre viene considerato da molti analisti come un vero e proprio spartiacque tra "vecchie" e "nuove". Per la maggior parte di questi studiosi la natura delle guerre attuali si è trasformata in modo talmente profondo da mettere radicalmente in discussione il classico modello clausewitziano. La natura prevalentemente interna e la conseguente proliferazione e centralità di attori non statali in qualità di protagonisti principali dei nuovi conflitti hanno portato molti analisti a definirli come dei fenomeni prettamente irrazionali, criminali e apolitici. Altri approcci, in risposta a tali interpretazioni evidenziano, al contrario, i tanti elementi di continuità esistenti, primo fra tutti il carattere razionale e politico di ogni guerra. Motivazioni politiche e estremamente razionali sembrerebbero essere alla base anche dei conflitti attuali, ancor più in un contesto globalizzato che apre continuamente nuovi spazi e opportunità di azione. Attraverso l'analisi del lungo conflitto colombiano abbiamo verificato l'applicabilità di quest'ultimo modello interpretativo evidenziando la complessità del contesto e delle relazioni che si sviluppano a livello locale, nazionale e internazionale. Gli attori armati illegali, guerriglia e paramilitari, hanno mostrato negli anni grandi capacità di trasformazione e adattamento ai mutamenti accorsi sia in ambito nazionale che mondiale. In questo senso, piuttosto che individuare una netta frattura temporale dovuta al crollo del sistema bipolare, potremmo definire il conflitto colombiano, riprendendo l'acuta definizione clausewtziana, come una vera e propria guerra "camaleontica", data la sua spiccata abilità nel mutare e adattarsi ad ogni nuova situazione. Se da una parte, infatti, gli attori armati hanno mantenuto per decenni un forte, seppur ambiguo, radicamento nel tessuto sociale di vaste zone del paese, dall'altra hanno magistralmente colto le opportunità offerte dal nuovo assetto mondiale globalizzato sfruttando i nuovi canali di comunicazione e soprattutto l'elasticità e il potenziale delle economie non- formali. Il conflitto colombiano mostra così una dimensione che potremmo definire "glocale"12 , in cui è evidente la forte interpenetrazione delle due dimensioni, locale e globale, tipica della società "post-moderna" o "tardo-moderna". Tale aspetto non è riscontrabile solo all'interno dell'analisi inerente la configurazione degli attori armati illegali ma è evidente anche all'interno di quei particolare processi di protezione della popolazione civile sorti di recente nei contesti di conflitto violento. In tal senso il caso della Comunità di Pace colombiana che abbiamo analizzato è emblematico: da una parte, attraverso il ruolo del patronage, mostra chiaramente la crescente penetrazione del "globale" in ogni interstizio del globo; dall'altra evidenzia come le influenze provenienti da fonti globali attivino dei processi di assimilazione e adattamento a seconda dei particolari contesti locali. In conclusione, i due esempi riportati, sia quello che concerne gli attori armati che quello inerente il particolare caso di santuario "postmoderno", ci inducono a definire il conflitto colombiano un conflitto "glocale" a conferma della sua natura "camaleontica" frutto, appunto, di una peculiare sintesi tra globale e locale.
URI : http://hdl.handle.net/2307/508
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