Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: http://hdl.handle.net/2307/495
Titolo: La certezza del diritto "costituzional-europeo" nei complessi rapporti tra giudicato interno e comunitario
Autori: Di Seri, Chiara
Relatore: Torchia, Luisa
Data di pubblicazione: 5-mag-2009
Editore: Università degli studi Roma Tre
Abstract: ABSTRACT Continuiamo a proclamarci interpreti della legge e ad elaborare teorie sulla sua interpretazione; ma ci troviamo di fatto ad operare, sempre più frequentemente, come interpreti della sentenza (Galgano, L'interpretazione del precedente giudiziario, in Contratto ed impresa, 1985). A distanza di vent'anni, questa acuta presa di coscienza risulta ancora più veritiera e può essere attualizzata aggiungendo che le sentenze, cui il giurista è sempre più spesso tenuto a riferirsi, sono quelle del giudice comunitario. Fin dagli albori del processo di integrazione europea, alla "funzione interpretativa" svolta dalla Corte di giustizia è stato attribuito un ruolo fondamentale nel raggiungimento dell'obiettivo di garantire l'uniformità e l'effettività nell'applicazione del diritto europeo da parte degli Stati membri ed, in particolare, da parte dei loro organi giurisdizionali. Tale posizione di "privilegio ermeneutico" è garantita mediante il riconoscimento dell'esclusività delle competenze attribuite alla Corte dal Trattato ex art. 220 T.C.E. e la previsione di un obbligo, in capo ai giudici nazionali di ultima istanza, di sottoporre alla Corte le questioni comunitarie. Il sistema del rinvio pregiudiziale previsto dall'art. 234 T.C.E. consente, infatti, al giudice comunitario un controllo sull'interpretazione del diritto comunitario più incisivo di quello di una Corte di Cassazione, in quanto, a differenza di quest'ultimo, non è un mezzo di impugnazione delle sentenze di merito rimesso all'interesse della parte soccombente, ma costituisce un procedimento incidentale attivabile, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio. Analogamente a quanto avviene per le pronunce di un giudice di legittimità, il potere di interpretare in via pregiudiziale le norme comunitarie, pur non comprendendo anche quello di pronunziarsi direttamente sulla compatibilità tra norme interne e norme comunitarie, manifesta tutta la sua incidenza nella necessità per i giudici nazionali di "conformarsi al principio di diritto" enunciato dalla Corte, disapplicando le norme interne eventualmente configgenti. 1 L'autorità riconosciuta alle sentenze interpretative sembrerebbe dunque avvicinarsi al principio dello stare decisis, del precedente obbligatorio con efficacia generale che oltrepassa il caso di specie, nel senso che l'interpretazione fornita integra il contenuto della norma comunitaria e condiziona la sua applicazione da parte di qualsiasi giudice nazionale, oltre a far venir meno l'obbligo di rinvio dei giudici di ultima istanza. E non solo. L'interpretazione autoritativa fornita dalle sentenze pregiudiziali è stata gradualmente posta nelle condizioni di influire anche sull'interpretazione e l'attuazione del diritto interno, stante l'affermazione dell'obbligo di interpretazione conforme al diritto comunitario e della responsabilità dello Stato per le violazioni del diritto comunitario imputabili agli organi giurisdizionali. Al "valore interpretativo" delle pronunce è stato così associato il riconoscimento della loro valenza normativa di ius superveniens retroattivo di origine giurisprudenziale. Tale conclusione, calata in ordinamenti come il nostro, ha comportato, secondo la più acuta dottrina, l'accoglimento del principio dell'"interpretazione giurisprudenziale autentica" ed, in definitiva, conferma la progressiva attenuazione della distinzione tra civil law e common law, quali tradizioni giuridiche parallele, e non contrapposte, se collocate nel quadro unitario di riferimento costituito dal diritto europeo. Di qui muove l'ipotesi di questo lavoro che può essere esposta, in estrema sintesi, come segue. Nella crescente valorizzazione della funzione nomofilattica della Corte di giustizia si profila la necessità di una rimeditazione dei caratteri di alcuni istituti del diritto nazionale, ed, in particolare, della discrezionalità dell'annullamento d'ufficio per le ipotesi di violazione della "legalità comunitaria" e del principio dell'intangibilità del giudicato. A tale rimeditazione si associa l'esigenza di valutare l'adeguatezza degli strumenti di tutela posti a garanzia della certezza del diritto costituzional-europeo. Alla luce di questa premessa, il presente lavoro si propone di analizzare il sistema della pregiudizialità comunitaria nella prospettiva dei suoi rapporti con l'ordinamento costituzionale italiano (capitolo I) e, successivamente, di approfondire la tematica dell'efficacia delle sentenze della Corte di giustizia, esaminando la portata del vincolo 2 che, a seguito delle decisioni adottate in sede di rinvio, si determina in capo ai giudici nazionali e allo stesso giudice comunitario, gli effetti temporali delle pronunce ed il potere della Corte di modularne gli effetti a fronte di situazioni consolidate di diritto interno (capitolo II). Viene poi presa in considerazione la giurisprudenza della Corte di giustizia che ha riconosciuto il principio dell'intangibilità del giudicato nazionale fondato su una non corretta interpretazione del diritto comunitario ed ha al contempo affermato l'obbligo di riesame di atti amministrativi "anticomunitari", anche qualora costituiscano oggetto di una decisione definitiva. Se ne esaminano i riflessi sull'ordinamento nazionale, dimostrando la compatibilità dell'esercizio del potere di annullamento d'ufficio "doveroso" per il ripristino della legalità comunitaria con la tradizionale configurazione dell'istituto ed evidenziando i profili problematici in relazione alla prevalenza delius superveniens comunitario sul giudicato costituzionale (capitolo III). Viene, infine, posto l'accento sulla tendenza al superamento del principio dell'intangibilità del giudicato reso in violazione delle competenze comunitarie "riservate", partendo dall'analisi della normativa in materia di aiuti di Stato e della sentenza Lucchini (C-119/05) ed ipotizzandone la sua la vis espansiva fino all'eventuale affermazione dell'opposto principio della cedevolezza del giudicato nazionale (capitolo IV). Si cerca, quindi, di valutare se una tale ossimorica "assoluta relativizzazione" sia in armonia con il valore assegnato, negli ordinamenti giuridici europei, alla certezza nella stabilità dei rapporti definiti con una sentenza non più soggetta a gravame e, a tal fine, si esporranno i risultati di un'analisi comparatistica delle discipline positive dei paesi che rappresentano i principali modelli costituzionali di riferimento (Germania, Francia, Spagna, Inghilterra, Italia). Muovendo dalla constatazione che la tutela o il superamento della "certezza" connessa alla stabilità dei rapporti oggetto di una decisione definitiva costituiscono sempre il punto di equilibrio del bilanciamento con altri valori di pari rilevanza costituzionale, si giunge alla conclusione che la "relativizzazione" del principio dell'intangibilità del giudicato non può essere "assoluta" a vantaggio della primauté del diritto comunitario. Nell'individuazione di adeguati strumenti di tutela, si propone quindi l'operatività 3 della dottrina dei "controlimiti": prospettiva che, vista nell'ottica del progressivo abbandono di una visione "dualistica" dei rapporti tra ordinamento nazionale ed europeo e dell'auspicato "dialogo" tra le Corti, costituirebbe un'ulteriore tappa nel "cammino comunitario" della Corte costituzionale, in adesione alla inaugurata tendenza a rileggere i rapporti interordinamentali con gli strumenti della teoria dell'interpretazione. 4
URI: http://hdl.handle.net/2307/495
È visualizzato nelle collezioni:X_Dipartimento di Diritto Europeo. Studi Giuridici nella dimensione nazionale, europea, internazionale
T - Tesi di dottorato

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