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Title: La cooperazione internazionale allo sviluppo e il ruolo dell'Italia : premesse storiche e primo decennio (1960 - 1970)
Authors: Rusca, Maria
Advisor: Breccia, Alfredo
Issue Date: 2-Jul-2009
Publisher: Università degli studi Roma Tre
Abstract: Questa ricerca si propone di ricostruire le origini storiche delle politiche di cooperazione internazionale allo sviluppo e il ruolo assunto dall'Italia dagli anni in cui furono adottati i primi programmi di aiuti allo sviluppo alla fase della sua affermazione, con il primo Decennio per lo sviluppo, inaugurato nel 1960. In linea con gli obiettivi presentati, il primo capitolo è stato dedicato all'individuazione dei fattori che costituirono le premesse storiche della nascita della cooperazione allo sviluppo e, in particolare, all'analisi dei mutamenti internazionali avvenuti a seguito del secondo conflitto mondiale, che crearono un terreno fertile per la nascita delle politiche di cooperazione internazionale allo sviluppo. Da un lato si è guardato all'influenza che la guerra fredda e, quindi, le relazioni tra est e ovest ebbero sulla nascita degli aiuti allo sviluppo; dall'altro è stato ricercato il ruolo che il processo di decolonizzazione e, quindi, le relazioni tra nord e sud ebbero non solo sulle potenze europee e sugli Stati Uniti, che ne temevano le conseguenze, ma anche sui paesi arretrati, i quali presero coscienza del loro peso e potere contrattuale, divenendo un importante ago della bilancia nel nuovo sistema internazionale. E' stato, infine, analizzato l'inserimento e il ruolo svolto dall'Italia negli anni Cinquanta. L'Italia del secondo dopoguerra fu, infatti, portata a ritenersi un paese beneficiario di aiuti più che donatore, tanto che pur auspicando una presenza attiva nei PVS, questa è rimasta a lungo solo sulla carta. In questo capitolo si è, quindi, cercato di individuare e ricostruire il momento del difficile passaggio dell'Italia da paese beneficiario degli aiuti internazionali a paese donatore, capace, seppure con evidenti limiti, di realizzare concretamente una politica di sostegno ai paesi di nuova indipendenza come parte integrante della sua politica estera. Nel secondo capitolo l'attenzione è stata concentrata sul ruolo che la cooperazione allo sviluppo assunse nella politica estera italiana nel corso degli anni Sessanta. L'obiettivo principale è stato quello di esaminare come Roma si inserì in questo contesto emergente che vide la definitiva affermazione di questa direttrice sul piano internazionale. In particolare, l'attenzione è stata rivolta al ruolo che la cooperazione allo sviluppo assunse nelle relazioni tra l'Italia e il Sud del mondo e all'impatto che l'azione italiana ebbe nelle sue relazioni con gli alleati occidentali. Nell'ambito delle relazioni bilaterali è stata riservata particolare attenzione alle relazioni italo-somale, che hanno rivestito, nell'arco periodo analizzato in questo studio, un ruolo di primo piano nella cooperazione allo sviluppo dell'Italia. Le relazioni con le Nazioni Unite e, in generale, con gli organismi internazionali parte del sistema ONU hanno costituito il nodo centrale dello studio della cooperazione multilaterale dell'Italia. L'analisi della cooperazione allo sviluppo dell'Italia è stata suppurata dalla comprensione di come questa direttrice della politica estera si andava evolvendo nel sistema internazionale, sia in termini di strategie e di priorità assegnate ad alcune regioni sia in termini di modalità di intervento e di relazioni tra gli stati donatori e tra questi ultimi e i paesi beneficiari degli aiuti internazionali. Le attività italiane di cooperazione allo sviluppo si inserivano, infatti, in un contesto internazionale al quale l'Italia doveva riferirsi e al quale doveva rispondere. Ragioni di ordine storico e necessità di carattere economico condussero la Comunità a riservare nelle relazioni esterne un ruolo privilegiato a alcuni paesi in via di sviluppo. L'ultimo capitolo di questo studio si concentra su questa terza direttrice della cooperazione allo sviluppo dell'Italia. L'Italia, infatti, quale stato firmatario dei Trattati di Roma, divenne anche un dei paesi donatori attraverso il versamento di contributi al Fondo Europeo per lo Sviluppo. L'obiettivo di questa parte dello studio è, quindi, quello di analizzare da un lato il percorso diplomatico e i negoziati che condussero l'Italia alla firma dei Trattati di Roma e, in particolare, ad accettare l'Associazione dei territori d'Oltremare, dall'altro le posizioni assunte in seguito dall'Italia riguardo al Fondo e alle relazioni economiche con i TOM. La ricerca ha rilevato come i fattori chiave che determinarono la nascita e la progressiva crescita del ruolo della cooperazione allo sviluppo nella politica estera dei paesi sviluppati furono le mutate relazioni tra est e ovest e tra nord e sud del mondo, che portarono alla definizione di un nuovo assetto globale, nel quale il ruolo dei paesi del Terzo mondo acquisì via via maggiore importanza. Il processo di decolonizzazione determinò la lenta fine dei grandi imperi coloniali e spinse i paesi di nuova indipendenza a cercare assistenza per i loro processi di sviluppo. Sul versante opposto, le nazioni europee con un forte e recente passato coloniale videro nella cooperazione allo sviluppo uno strumento efficace per dare continuità alle relazioni con le ex colonie con una modalità più congeniale al nuovo quadro mondiale e al sistema di valori che con esso era emerso. L'altra dimensione che ebbe un ruolo di primo piano nella nascita della cooperazione allo sviluppo fu quella delle relazioni tra est e ovest. Nell'arco del periodo intercorso tra la Conferenza di Yalta e il discorso inaugurale di Truman del 1949, l'amministrazione americana passò da una politica di appeasment, a una politica di containment, che segnò la definitiva svolta nelle relazioni tra Washington e Mosca. La cooperazione allo sviluppo divenne in questo contesto un younger sibling del containment, che aveva l'obiettivo di evitare il contagio del comunismo nei paesi di nuova indipendenza, di cui molti erano ritenuti a rischio. Gli stati di nuova indipendenza divennero non solo un banco di prova tra due sistemi economici, ma anche e soprattutto lo strumento per allargare la propria sfera di influenza nel Sud del mondo. La cooperazione allo sviluppo divenne così una potente arma nel confronto tra est e ovest nella fase di coesistenza competitiva. L'analisi del sistema internazionale ha, quindi, evidenziato come i moventi politici abbiano avuto priorità anche su quelli economici nel determinare la nascita e lo sviluppo di questa direttrice della politica estera, poiché la scelta dei mercati su cui investire fu generalmente legata a interessi di carattere politico-strategico. In particolare, le considerazioni di natura politica furono, per quanto riguardava le due superpotenze, legate al confronto delle loro influenze a livello globale, mentre per i paesi europei influirono soprattutto la volontà e l'impegno dei paesi colonizzatori a mantenere particolari legami politici, economici e culturali con le ex colonie. L'aiuto bilaterale era lo strumento economico ideale per raggiungere tale obiettivo. In questo contesto emergente, la cooperazione allo sviluppo dell'Italia ha rappresentato anzitutto uno dei mezzi per "esserci" nel sistema internazionale. L'obiettivo di questa presenza non era tanto quello di contribuire quanto più possibile in termini economici e di incisività, ma piuttosto, per così dire, quello di produrre la massima impressione con il minimo sforzo economico. La cooperazione allo sviluppo poteva rappresentare lo strumento ideale per "andare oltre il Patto Atlantico" e, quindi, una risposta a questa esigenza, aiutando l'Italia a evadere da una subalternità troppo rigida all'Alleanza Atlantica. Non solo: questa innovativa direttrice della politica estera era uno mezzo ideale di penetrazione nel sud del mondo, ma rispondeva anche a bisogni connessi alla realtà strutturale dell'Italia, quali la necessità di sopperire alle limitazioni delle sue fonti energetiche e dell'acciaio, il suo bisogno di acquisire materie prime e di trovare sbocchi all'esportazione. La nascente industria italiana poteva trovare nei paesi del Terzo Mondo uno sbocco importante e i governi italiani compresero rapidamente le potenzialità della cooperazione allo sviluppo nel veicolare la penetrazione economica nei paesi arretrati. Questo interesse era, inoltre, alimentato dalla forte presenza di emigrati italiani sia nell'Africa settentrionale sia nell'America Latina. Era, infine, evidente che l'Italia si trovava in una posizione geografica e politica particolarmente favorevole per svolgere un ruolo di rilievo nei paesi arretrati. L'Italia, quindi, pur con i limiti del caso si avvicinò a questa direttrice della politica estera sin dagli anni Cinquanta. D'altro canto, la cooperazione allo sviluppo italiana fu, nell'arco di tempo analizzato, fortemente limitata dalla sua condizione economica interna. La propensione dell'Italia a esserci senza, tuttavia, assumersi impegni finanziari rilevanti spiega, quindi, perché l'Italia abbia prediletto il multilateralismo alla cooperazione bilaterale. Allo stesso tempo, obiettivo prioritario dell'Italia fu quello di dare vita a una politica di cooperazione con i paesi arretrati che "rendesse", quanto più possibile all'Italia. A tale fine diveniva, quindi, essenziale non solo individuare le modalità di intervento e di finanziamento che potessero garantire il maggiore ritorno all'Italia, ma anche concentrare i propri sforzi verso quelle aree geografiche nelle quali si concentravano i maggiori interessi economici dell'Italia. E' proprio in questi elementi, già presenti nei pur sporadici e poco incisivi interventi della cooperazione allo sviluppo dell'Italia degli anni Cinquanta che è possibile scorgere la natura ed il ruolo di strumento politico che la cooperazione allo sviluppo già aveva in parte assunto. Non si vuole, tuttavia, con questo affermare che la cooperazione allo sviluppo sia stata negli anni Cinquanta e Sessanta una direttrice prioritaria della politica estera italiana. Questo studio evidenzia, al contrario, che l'approvazione sul piano ideale della cooperazione allo sviluppo non si sia sempre tradotto in un sostegno altrettanto convinto sul piano degli interventi realizzati e dei fondi stanziati. Le limitate capacità economiche dell'Italia, unite alla particolare natura della cooperazione allo sviluppo -gli aiuti si presentavano come interventi politici che, almeno nell'immediato, non determinavano vantaggi chiari e visibili. Apparivano, dunque, soprattutto all'opinione pubblica, come atti politici che non producevano alcuna contropartita- fecero sì che questa direttrice rimanesse un elemento minore nella politica estera italiana degli anni Cinquanta e Sessanta. Bisogna, inoltre, rilevare che questo approccio era, soprattutto per quanto riguardava la cooperazione bilaterale, comune a tutti gli stati donatori. La ricerca ha, infatti, evidenziato che una delle più comuni caratteristiche delle politiche di cooperazione allo sviluppo, fossero queste implementate attraverso doni, finanziamenti o crediti a condizioni più o meno favorevoli, fu quella di essere impegnata a soddisfare, anzitutto, l'interesse del paese offerente, attraverso la concentrazione degli interventi in programmi di sviluppo utili alle produzioni nazionali o a creare nel paese beneficiario il potere di acquisto necessario per procurarsi prodotti originari dal paese finanziatore. Questo spiega perché l'aiuto finanziario, soprattutto quello italiano, fosse concesso sotto forma di crediti all'esportazione, mentre l'assistenza tecnica, come evidenziato in sede parlamentare, fu utilizzata come un potenziale incentivo a scegliere determinate prodotti del paese donatore. Nel 1960 l'Italia entrò a fare parte come stato fondatore del DAC e divenne membro della International Development Assistance (IDA) con una quota di sottoscrizione pari 18.16 milioni di dollari. Nel luglio del 1960, inoltre, a seguito della conclusione, con sei mesi di anticipo, dell'Amministrazione fiduciaria, l'Italia decise, solo dopo un acceso dibattito politico sul gravoso impegno economico che questa scelta avrebbe comportato, di continuare a sostenere e finanziare lo sviluppo della Somalia, intensificando la già stretta relazione tra i due paesi e dando così 5 concretamente avvio a una vera e propria politica di cooperazione bilaterale allo sviluppo. Se, quindi, può apparire ambizioso cercare di individuare una data di inizio della cooperazione allo sviluppo dell'Italia, certamente il 1960 rappresentò un anno decisivo che segnò la definitiva accettazione dello status di donatore al pari degli altri paesi industrializzati e, conseguentemente, l'obbligo a intensificare il suo impegno in materia di cooperazione allo sviluppo. Nella pratica, tuttavia, nonostante la volontà manifestata dal governo e l'ampia area geografica di intervento, lo sforzo dell'Italia in materia di cooperazione allo sviluppo continuò a essere modesto e limitato, tanto da apparire un impegno preso più sulla carta, mediante dichiarazioni di intento e una partecipazione di basso profilo agli organismi internazionali di settore, piuttosto che nella sostanza. La strumentalizzazione della condizione del Mezzogiorno venne sempre più criticata dagli alleati e in sede DAC, dove cominciò a apparire come una strategia adottata per sollevarsi del compito assunto a livello diplomatico di partecipare allo sviluppo dei paesi arretrati. In ambito comunitario, infine, l'Italia si dichiarò, in linea di principio, a favore dell'inclusione dei territori d'oltremare nel MEC e approvò l'istituzione di un Fondo di investimenti, destinato a favorirne lo sviluppo. Obiettivo principale era tuttavia, quello di fare in modo che tale partecipazione non recasse pregiudizio allo sviluppo interno italiano. Il dibattito interno sulla Convenzione fu, tuttavia, molto acceso in occasione di entrambi i rinnovi sui quali la classe dirigente italiana si dovette confrontare. Se, quindi, è innegabile che esistesse un consenso di principio sulla necessità e il dovere morale di sostenere lo sviluppo dei paesi arretrati, che avrebbe potuto rappresentare un importante punto d'incontro tra sinistra e destra cattolica, nella pratica questa opportunità non fu colta e anche gli aiuti allo sviluppo divennero tema di scontro tra i due schieramenti. Il dibattito parlamentare interno, quindi, ha evidenziato la cooperazione allo sviluppo, come affermato dalla storiografia più recente, fu effettivamente un tema sul quale era possibile trovare un terreno d'intesa tra destra e sinistra, dall'altro nella pratica questa intesa si trasformò costantemente in un disaccordo sulle modalità e le politiche da adottare. La sinistra accusava il sistema di aver sostenuto e alimentato un sistema che non era diverso da quello coloniale, cui fu affibbiata l'etichetta di neocolonialismo, mentre la coalizione al governo ne difendeva l'efficacia e la validità. Allo stesso tempo, il dibattito interno evidenziò i margini di opposizione dell'Italia in questo ambito erano, in realtà, molto ristretti. L'approvazione degli accordi di associazione era, infatti, un atto quasi dovuto, per effetto della ratifica da parte dell'Italia degli accordi presi con i Trattati di Roma, i quali comprendevano l'Associazione dei Tom e una serie di diritti/doveri nei loro confronti. Era, quindi, evidente che il margine di dissenso e la libertà di manovra di cui l'Italia disponeva in questo ambito fossero molto limitati.
URI: http://hdl.handle.net/2307/454
Appears in Collections:X_Dipartimento di Studi storici geografici antropologici
T - Tesi di dottorato

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