Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: http://hdl.handle.net/2307/4517
Titolo: Vendita di beni di consumo tra l'attuale disciplina e la prospettata riforma
Autori: D'Andria, Teresa Anna
metadata.dc.contributor.referee: Giampetraglia, Rosaria
Parole chiave: vendita di beni di consumo
Data di pubblicazione: 5-giu-2013
Editore: Università degli studi Roma Tre
Abstract: La disciplina sulla vendita dei beni di consumo e sulle connesse garanzie di conformità, dapprima introdotta nel nostro ordinamento con il d. lgs 24/2002 che ha novellato il codice civile agli articoli 1519bis-1519novies e successivamente integralmente confluita nel Codice del Consumo agli artt. 128-135, dovrebbe nell’immediato essere oggetto di modifiche. Il riferimento è alla recente direttiva 2011/83/UE adottata nell’ottobre 2011. Tale definitivo testo normativo trae le sue origini da una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sui diritti dei consumatori dell’ottobre 2008, nel corso del triennio trascorso più volte modificata in seguito ad un intensissimo lavoro di raffinamento delle norme ivi previste, sotto le diverse Presidenze che si sono susseguite alla guida dell’Unione Europea, in particolare quella spagnola e quella belga. Il testo originale del 2008 è oggi, dunque, molto cambiato. Il presente lavoro è stato avviato proprio quando ancora si discuteva della sola proposta di revisione, pertanto si è dato conto dell’evoluzione normativa frutto di molteplici incertezze e del dibattito dottrinale a partire dall’originaria proposta. Fin da subito è opportuno evidenziare che - rispetto alle auspicate previsioni degli ultimi anni - la direttiva 2011/83/UE ha fatto dei notevoli passi indietro essendo stati eliminati numerosi articoli inizialmente proposti, dunque - salvo alcune marginali novità – è rimasta sostanzialmente invariata la disciplina contenuta negli attuali artt. 128-135 cod. cons. Se si confronta il testo della nuova direttiva con quello della proposta del 2008 si può capire come dall’idea di redigere un mini codice sui contratti dei consumatori, che ambiva a sostituire ben quattro direttive incidendo sui punti nevralgici della materia, si è approdati ad una sorta di riordino della disciplina di alcuni frammenti già accomunati da alcune caratteristiche strutturali, al punto che l’intitolazione stessa ai «diritti dei consumatori» può apparire addirittura fuorviante. La dicitura “Consumer Rights” si rivela, dunque, ora sovrabbondante, dal momento che il provvedimento regola essenzialmente termini, modalità e conseguenze del cd. recesso di pentimento nei contratti B2C (business to consumer) conclusi fuori dai locali commerciali e a distanza, nonché gli obblighi informativi gravanti sul professionista a favore del consumatore. Rispetto alla prima versione della proposta di direttiva sui consumatori presentata nell’ottobre del 2008, il contenimento degli obiettivi è evidente; e ciò che balza subito agli occhi è l’assenza dei settori più rilevanti della disciplina dei contratti business to consumer, quelli che a livello tecnico avevano destato maggiori perplessità, ovvero le clausole abusive e le vendite di beni di consumo. Si tratta, dunque, di un intervento dal contenuto abbastanza limitato ed a macchia di leopardo, che incide prevalentemente sulla direttiva 85/577/CE in materia di contratti negoziati fuori dai locali commerciali e sulla direttiva 97/7/CE in materia di contratti a distanza, la cui abrogazione ex art. 31 è indotta dai forti mutamenti sociali che hanno investito entrambi i settori; mentre modifica ex artt. 31 e 32 soltanto alcuni aspetti davvero secondari della direttiva 93/13/CE in materia di clausole abusive e della direttiva 99/44/CE in materia di vendita di beni di consumo. Spetterà all’interprete, ancora, l’analisi e la verifica delle conseguenze che l’entrata in vigore della direttiva, una volta recepita, determinerà. Ciò per quanto concerne l’impatto della normativa nell’ambito degli ordinamenti statuali, in special modo riguardo alla disciplina del diritto dei contratti, nonché, in relazione al diritto comunitario, dal punto di vista del processo di evoluzione del cosiddetto diritto civile per l’Europa. Obiettivo dell’indagine è stato, pertanto, l’analisi delle principali novità che la direttiva contiene con specifico riguardo alla vendita dei beni di consumo in relazione alle citate prospettive di armonizzazione del diritto privato europeo. Lo studio è stato condotto su base comparatistica alla luce dell’attuale disciplina, tenendo presenti i problemi interpretativi in argomento già posti in luce dalla dottrina ed emersi nell’ambito delle decisioni della giurisprudenza. In particolare, sono stati analizzati, l’ambito applicativo, la nozione di conformità al contratto, i legami tra l’attuale disciplina della vendita dei beni di consumo con i principi civilistici del nostro ordinamento in tema di consegna e passaggio del rischio e si è passati poi allo studio del profilo della tutela e dei rimedi. Sebbene, infatti, la normativa di matrice comunitaria di cui alla direttiva 1999/44/CE non abbia intaccato la generale operatività dell’art. 1218 c.c., né dell’art. 1453 c.c., essa ha comunque rafforzato la tutela per l’acquirente, per cui la responsabilità del venditore dei beni di consumo nei confronti del consumatore si fonda non più, solamente, sulle disposizioni del codice civile, ma soprattutto sulla citata disciplina dettata nel Codice del Consumo. Si è proceduto, inoltre, a verificare come si pone la direttiva rispetto al processo di armonizzazione del diritto europeo, ciò in rapporto sia al cammino di revisione dell’acquis delineato nel libro verde, sia ai lavori di elaborazione del common frame of reference. In argomento val la pena di ricordare che la direttiva sulle garanzie nella vendita dei beni di consumo è espressione dell’approccio settoriale inizialmente seguito dalla Commissione per armonizzare il diritto europeo dei contratti, al fine di garantire il buon funzionamento del mercato interno. Si tratta di un approccio fortemente criticato da più parti poiché, come si è avuto modo di esaminare, responsabile di una difforme ricezione della normativa comunitaria negli Stati membri. Al riguardo va evidenziato che da tempo la dottrina rileva la necessità di un’estensione dell'armonizzazione oltre i profili attualmente disciplinati dal legislatore comunitario, necessità particolarmente sentita con peculiare riguardo a taluni aspetti della vendita come i diritti e gli obblighi del venditore e del compratore derivanti dal contratto con particolare riguardo ai rimedi a favore del consumatore in ordine alla conformità al contratto, il trasferimento della proprietà e il momento di passaggio del rischio di fortuito perimento dei beni venduti. Appare particolarmente sentita anche l’esigenza di rendere omogenea la disciplina sulla vendita dei beni di Consumo rispetto alla Convenzione di Vienna del 1980 riguardo ai suddetti profili che finalmente, con la direttiva in esame, sono stati presi in considerazione dal legislatore comunitario. Obiettivo principe della direttiva 2011/83/UE, come emergeva già dalla proposta del 2008, è ovviare al problema della frammentazione delle regole, problema già posto con il Libro verde sulla revisione dell’acquis comunitario in materia di protezione dei consumatori, adottato in data 8 febbraio 2007 dalla Commissione europea, e che al punto 3.2 ha precisato che di frammentazione si può parlare sotto un duplice aspetto. In primo luogo, è stato evidenziato che il recepimento delle direttive nei singoli Stati appare assai differenziato in considerazione della clausola di armonizzazione minima, che le ha costantemente accompagnate. In secondo luogo, è stato sottolineato che il prevalente uso di un approccio verticale, destinato a fornire soluzioni specifiche a problemi particolari, ha di fatto moltiplicato una serie di interventi del tutto privi di una reciproca correlazione. La direttiva, infatti, così come stabilito dall’art. 1 “tramite il conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori, intende contribuire al corretto funzionamento del mercato interno mediante l’armonizzazione di taluni aspetti delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di contratti tra consumatori e professionisti”, realizzando così un effettivo mercato interno tra imprese e consumatori. La nuova direttiva ha scelto, come base giuridica – accogliendo le critiche intervenute da più parti - l’art. 169 (ex art. 153 del TCE) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea stabilendo che bisogna contribuire al conseguimento di un livello elevato di protezione dei consumatori mediante misure adottate a norma dell’art. 114 (ex art. 95 del TCE) del medesimo. In attesa dell’approvazione definitiva del testo, come accennato, non sono mancate da subito critiche circa la scelta - operata dalla precedente proposta sui diritti dei consumatori del 2008 - di considerare quale base giuridica della proposta l’art. 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea (attuale art. 114 TFUE), che concerneva l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno e non già – come ci si poteva attendere – l’art. 153 sulla tutela dei consumatori (attuale art. 169 del TFUE). In Italia, il CNCU, esprimendo subito dopo la proposta di direttiva un parere, affermò che “nonostante il suo nome “diritti dei consumatori” la proposta si proponeva innanzitutto di eliminare le barriere per i “commercianti” che desideravano vendere all’interno del mercato unico europeo data la sua base legale”. Secondo tale parere sarebbe stato opportuno, fin da allora, introdurre le disposizioni più favorevoli ai consumatori contenute nei singoli ordinamenti nazionali, per evitare che il principio di armonizzazione completa auspicato dalla proposta dell’epoca determinasse un abbassamento dei livelli di tutela riconosciuti ai consumatori oggi negli Stati membri. Tutto questo era ed è fondamentale, secondo il Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti, in quanto è in gioco la fiducia dei consumatori non solo nei confronti del mercato europeo, ma anche delle stesse istituzioni comunitarie, nonché della stessa idea di una “Europa dei cittadini”. Anche il Comitato Economico e Sociale Europeo ha ritenuto, fin da subito, che la Commissione avrebbe dovuto adottare come base giuridica della proposta di direttiva l’articolo 153 TCE che impegna la Comunità a “promuovere gli interessi dei consumatori ed assicurare un elevato livello di protezione dei consumatori” e limita l’ampiezza dei suoi poteri di intervento in ragione della competenza condivisa degli Stati membri: il par. 5, non più presente nell’attuale art. 169 TFUE, infatti, prescriveva che le misure adottate dal Consiglio “non impediscono ai singoli Stati membri di mantenere o di introdurre misure di protezione più rigorose”. L’art. 95, invece – oggi art. 114 TFUE - concerne più propriamente la costruzione del mercato interno: “il consumatore europeo non può essere visto soltanto nella prospettiva del mercato interno o considerato un attore razionale, avveduto e informato, che prende le sue decisioni esclusivamente secondo una logica di concorrenza e la cui protezione potrebbe consistere, in sintesi, nel mettere a sua disposizione informazioni migliori e più ampie”. La ratio cui si ispira la direttiva in esame è da ravvisare proprio nel solco tracciato dal Libro verde del 2007. Sebbene, infatti, esso nulla dica riguardo al parallelo e complementare lavoro della Commissione circa la definizione di un Quadro Comune di riferimento (CFR in materia di principi di diritto contrattuale generale) e dei suoi rapporti con il progetto sulla revisione dell’acquis dei consumatori, il Libro apre, di fatto, la prospettiva dell’adozione di strumenti orizzontali per elaborare una normativa generale in materia contrattuale. Ancora una volta il diritto dei consumatori si offre quale utile terreno per sperimentare la costruzione del diritto contrattuale uniforme. Un serio tentativo volto a creare un diritto comune europeo dei contratti e delle obbligazioni è stato intrapreso dalle Istituzioni europee anche con la proposta di regolamento sul «diritto comune europeo della vendita». È vero che tale proposta rappresenta solo un primo e timido passo, per di più limitato al solo contratto di compravendita, ma è altrettanto vero che il legislatore europeo ha cominciato a gettare le basi per la creazione di un nuovo diritto comune. La revisione dell’acquis non è solo un’opera di sistemazione normativa che riguarda il diritto comunitario: proprio la maggior parte di queste regole investe i contratti e quindi il diritto civile, e, là dove i contratti, in generale e per tipi speciali, sono disciplinati in codici, investe anche i codici (civili e di settore). Si apre dunque il delicato problema di includere le regole sui rapporti dei consumatori nella parte generale del diritto civile, e quindi nei codici civili, oppure di accorparle in codici a sé, collegati con i codici civili. L’arduo obiettivo presuppone l’adozione di un nuovo approccio non più minimale e settoriale, né del tutto orizzontale, per non sacrificare la specificità dei singoli settori di riferimento, bensì un approccio misto, cioè che apporti modifiche settoriali nell’ambito di una generale e sistematica ridefinizione del contesto normativo. In quest’ottica il terreno su cui si sperimenta l’approccio è quello del diritto comunitario preesistente, cioè le direttive, dalle quali si parte enucleando il common core. La direttiva 2011/83/UE sembra proprio riflettere questa procedura, cioè, in un’ottica di semplificazione dell’acquis e di ordinamento sistematico della disciplina esistente, sembra prendere in considerazione le questioni comuni relative alle direttive oggetto di revisione (definizione di principi comuni, questioni che coinvolgono tutte o più direttive, allineamento delle definizioni esistenti, previsione di norme di interpretazione e/o coordinamento) enucleandole dalle direttive settoriali offrendo la base per la predisposizione di principi comuni e/o di carattere generale. Si ipotizza che le questioni comuni, in considerazione del loro carattere orizzontale, potrebbero costituire la parte generale del diritto poiché si applicano a tutti i contratti con i consumatori. Tuttavia si deve, e si dovrà, una volta recepita la direttiva, analizzare l’incidenza quantitativa delle questioni che in quanto reputate comuni sono fatte oggetto di una armonizzazione massima, in rapporto a quelle invece di carattere settoriale e verticale. Tale incidenza incontra sicuramente dei limiti e questi sono gli stessi limiti dell’armonizzazione. La disciplina della vendita, a livello interno dei singoli ordinamenti, a livello comunitario nonché internazionale, dal momento che il contratto di vendita è il più diffuso ed antico strumento di scambio, rappresenta e sintetizza in sé questa ambivalenza e questo duplice carattere del diritto contrattuale, che da un lato tende ad essere specifico rispetto al settore regolato, ma dall’altro si presenta con vocazioni comuni. Una ipotesi di armonizzazione massima delle direttive rivedute e del nuovo strumento orizzontale avrebbe senso solo se l’obiettivo della revisione in atto fosse principalmente quello non solo di uniformare la legislazione esistente, ma anche quello di prevedere un livello massimo di tutela del consumatore. Ciò considerato che, come si legge nel Libro verde, “il ricorso ad una piena armonizzazione non comporterebbe soltanto l’abrogazione delle clausole di armonizzazione minima ma implicherebbe anche l'eliminazione delle opzioni normative su aspetti specifici di cui godono gli Stati membri in virtù di certe disposizioni delle direttive, il che potrebbe modificare il livello di tutela dei consumatori in certi Stati membri”. La direttiva, concerne in verità quattro direttive, operando un ulteriore ridimensionamento rispetto al Libro Verde dell’8 febbraio 2007 sulla revisione dell’acquis relativo ai consumatori [COM (2007) 744 fin.], che individuava l’ambito della revisione dell’acquis in otto direttive. L’iniziativa comunitaria, dunque, che già partiva da una base apparsa ai più artificiosamente ristretta rispetto al complesso dei dati normativi rilevanti, è implosa per strada, allontanandosi dal disegno ambizioso con cui era cominciato l’acquis comunitario in materia di tutela dei consumatori. In relazione a tali direttive, tuttavia, essa mira a creare un complesso unitario di norme per disciplinare in modo uniforme alcune prescrizioni, anche semplificando e aggiornando le norme esistenti, nella prospettiva di creare un quadro unitario di regole valide per tutti gli Stati membri cercando di rispettare l’impegno assunto già con il Libro verde del 2007 teso a rifondare i rapporti di “sistema” in una logica di compatibilità e di integrazione. Emerge così, ancora una volta, la trasversalità del diritto dei consumatori che attraversa una pluralità di discipline tradizionali e che, al pari della politica dei consumatori, da disciplina settoriale diviene disciplina orizzontale.
URI: http://hdl.handle.net/2307/4517
Diritti di Accesso: info:eu-repo/semantics/openAccess
È visualizzato nelle collezioni:X_Dipartimento di Scienze aziendali ed economico-giuridiche
T - Tesi di dottorato

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