Please use this identifier to cite or link to this item: http://hdl.handle.net/2307/442
Title: Figure dell'estasi : dalla riflessione di Ejzenštejn alla teoria della performance
Authors: Panfili, Riccardo
Advisor: Albano, Lucilla
Issue Date: 4-May-2009
Publisher: Università degli studi Roma Tre
Abstract: 1) In primis il nucleo da cui prende avvio la presente ricerca è dato dalla riflessione dell'ultimo Ejzenstejn, in particolare dai concetti irrelati di Estasi e Pathos - espressi soprattutto in modo organico nel volume La natura non indifferente. Abbiamo tentato di mettere a fuoco le contraddizioni inerenti alla formulazione ejzenstejniana del concetto di pathos: in quest'ottica ci siamo soffermati nel tratteggiare una sorta di genealogia della teoria della ricezione spettatoriale, convulsamente elaborata da Ejzenstejn durante tutta la sua vita (Intermezzo I). Ci è servito per mettere in luce le radici da cui germina - come una pianta contraddittoria e frastagliata - il concetto stesso di pathos, elaborato nell'ultima parte della vita del regista. In secondo luogo si è trattato di dimostrare alcuni pregnanti punti di contatto esistenti tra il concetto di messa in scena del procedimento elaborato da Victor Sklovskij e alcuni aspetti della riflessione estetica ejzenstejniana, a partire dal processo di estasi dei codici linguistici per finire con le riflessioni sul colore. Nell'ottica di un'arte che palesa i suoi stessi processi compositivi - e li rende tangibilmente percepibili allo spettatore - abbiamo preso ad analisi le riflessioni sviluppate da Ejzenstejn intorno alla musica di Alexander Skrjabin, considerata, dallo stesso Ejzenstejn, come modello aureo di messa in scena del procedimento e di arte organica che si basa sulla legalità interna dei fenomeni naturali (Intermezzo II). 2) Abbiamo cercato di dimostrare - tramite l'analisi del processo percettivo della pars-pro-toto e la conseguente dialettica tra Rappresentazione (izobrazenie) e Immagine (obraz) - come l'Estasi in realtà sia un "procedimento", una "figura" centrale anche nel pensiero di Ejzenstejn precedente alla Natura non indifferente (e presente soprattutto, implicitamente, nelle riflessioni di Teoria generale del montaggio: in realtà Ejzenstejn ne accenna già nelle Integrazioni all'Articolo di Stoccarda del 1929). 3) In particolar modo nella produzione teorica ejzenstejniana della metà degli anni '30 - i due volumi La natura non indifferente e Teoria generale del montaggio, i saggi Montaggio 38, Organicità e Immaginità e Il montaggio verticale - il corpo umano assurge a modello assoluto nella concezione di un'opera d'arte organica che si configura come corpo e organismo. Come cercheremo di dimostrare, non si tratta di un corpo neutro e generico (per usare categorie tratte dalla Antropologia della performance), bensì di un corpo estatico, in definitiva di un corpo performativo: sia esso il corpo dell'attore (con particolare riferimento all'attore stanislavskijano) o il corpo del mistico (con particolare riferimento agli "esercizi spirituali" di Ignacio di Loyola). Quindi, il modello dell'Estasi e dell'opera d'arte organica, sembra nascere da una profonda osservazione, da un accanito studio del corpo performativo, sia esso il corpo estatico del mistico, o, in misura maggiore, il corpo attoriale immerso nella fucina del "lavoro su di sé". Detto in altri termini si tratta della puntuale comparazione tra il corpo dell'opera d'arte e il corpo estatico del performer. In questa direzione Ejzenstejn (soprattutto in Teoria generale del montaggio) ci offre uno studio puntuale della teoria e della pratica dell'attore in Stanislavskij: è noto l'interesse costante dimostrato da Ejzenstejn nei confronti del teatro e in particolar modo dell'arte dell'attore. 4) L'ultimo passaggio teorico consiste, quindi, nell'approfondimento - sottolineiamo: già totalmente presente nella riflessione di Ejzenstejn - del confronto fra l'estasi performativa, l'ex-stasis conquistata dal performer per mezzo del lavoro su di sé, e l'estasi dell'opera d'arte organica, quindi la comparazione fra il corpo performativo e il corpo dell'opera d'arte organica auspicata da Ejzenstejn. Si tratterà, dunque, di "rileggere" l'Estasi di Ejzenstejn attraverso gli strumenti della "Teoria della performance". All'interno della variegata e vasta produzione gravitante attorno alla "Teoria della performance" abbiamo scelto dei precisi modelli teorici: da una parte l'Antropologia della performance elaborata da Victor Turner, dall'altra le riflessioni di Jerzy Grotowski, di Carmelo Bene e di Eugenio Barba, e infine le analisi condotte dall'antropologo Piergiorgio Giacché, analisi che partendo dallo studio dell'attorialità di Carmelo Bene giungono a tratteggiare un'originale fenomenologia delle tecniche, delle "posture" messe in atto dal performer. Segue un'appendice che incarna una sorta di tentativo di applicazione analitica della teoria, attraverso l'analisi di alcune caratteristiche dell'opus filmico di Serghej Paradzanov, e alcune riflessioni rapsodiche sull'uso "estatico" dello spazio nei film di Friedrich Wilhelm Murnau.
URI: http://hdl.handle.net/2307/442
Appears in Collections:X_Dipartimento di Comunicazione e spettacolo
T - Tesi di dottorato

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