Adeegso tilmaantan si aad u carrabbaabdo ama ugu samayso link qoraalkan http://hdl.handle.net/2307/439
Cinwaan: Come si costruisce un romanzo utopico : struttura e logica del racconto di Atlantide in Platone
Qore: Mosconi, Gianfranco
Tifaftire: Ragone, Giuseppe
Dibueege: Ferraro, Vittorio
Taariikhda qoraalka: 15-Apr-2009
Tifaftire: Università degli studi Roma Tre
Abstract: Scopo della presente Dissertazione di Dottorato è procedere ad una analisi del logos atlantideo nel Timeo e nel Crizia che ne evidenzi la struttura interna, la ratio con la quale Platone ha costruito le due rappresentazioni contrapposte dell'Atene primitiva e dell'isola Atlantide e le ha arricchite di una mole di particolari che solo apparentemente hanno come mero scopo quello di dare `colore' al racconto, mentre invece possono essere ricondotti ad una spiegazione unitaria della loro ragion d'essere. Il ricco commento al Crizia di Platone uscito per le cure di Heinz-Gunther Nesselrath1 ha indotto chi scrive ad optare per la forma del testo monografico organizzato in capitoli dedicati a singoli temi (tuttavia legati da un unico filo conduttore: vd. infra), cadendo ogni necessità di procedere per parte mia ad un commento; è stato per òredatto un capitolo - con status di Appendice, intitolato Approfondimenti esegetici su singoli passi: pp. 299 ss.): in diversi casi, infatti, la precisa esegesi di vari passi dal Timeo/Crizia risulta soggetta a dubbi e discussioni da parte degli studiosi (in qualche caso, anche per effetto di possibili guasti testuali), e si è perciò reso necessario, da parte di chi scrive, illustrare e giustificare le scelte esegetiche presupposte nel corso della trattazione; d'altra parte, si può dire che in genere le alternative esegetiche di cui si è detto non sono mai tali da incidere più di tanto sull'interpretazione complessiva portata nella dissertazione. 1 Platon. Kritias, Ubersetzung und Kommentar von Heinz-Gunther Nesselrath (Platon Werke VIII, 4, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 2006. Su tale testo è in corso di stampa un articolo di discussione da parte del sottoscritto in `Rivista di cultura classica e medievale', 2008, 2, dal titolo: Come interpretare il Crizia di Platone. A proposito di un recente commento al Crizia. Università degli Studi `Roma III' - Dipartimento di Studi sul Mondo Antico - Dottorato di Ricerca in `Civiltà e Tradizione Greca e Romana' - XXI Ciclo Il Capitolo I (Come interpretare il racconto di Atlantide in Platone?) introduce la questione passando in rassegna i tre principali approcci al `mito'. Il primo approccio - che, seguendo Vidal-Naquet, potremmo definire `realista' - è stato quello di ragionare sulla base del presupposto che il `racconto' platonico sia un vero e proprio `mito', ovvero un racconto di carattere tradizionale, giunto per vie più o meno ipotizzabili alla conoscenza di Platone: sulla base dell'idea - peraltro anch'essa indimostrabile - che ogni mito tradizionale conservi un nucleo di verità storica - il compito dello studioso sarebbe allora quello di rintracciare l'evento storico o il luogo realmente esistito di cui il mito di Atlantide conserverebbe deformata memoria. Al di là delle identificazioni più o meno pseudoscientifiche ben note al grande pubblico, in tale filone rientra l'identificazione di Atlantide con la Creta minoica, sconvolta dalla catastrofica esplosione della caldera vulcanica di Thera; è l'ipotesi di J.V. Luce, che ha riscosso un certo (pur minoritario) apprezzamento fra gli antichisti; altri hanno voluto rintracciare tracce del `mito' di Atlantide in fonti egiziane, che sarebbero state effettivamente fonti della saga trasmessa a Platone e da quest'ultimo a noi (Griffiths). Come viene da noi illustrato nel testo (ma si tratta di argomenti già spesso richiamati: vd. ad es. vari saggi in Ramage, ed., Atlantis: Fact of Fiction), il presupposto di tale filone interpretativo è semplicemente inaccettabile: il `mito' di Atlantide non è un mito; nessuno ne parla prima di Platone, e nessuno dopo di lui se non facendo riferimento a Platone stesso; per di più, ogni volta che si propone una qualche identificazione, ciò è possibile solo a costo di modificare in gran parte tutti i dati spaziotemporali forniti da Platone, senza contare che restano privi di spiegazioni i tantissimi particolari minuti con cui Platone intesse la sua esposizione. Il secondo approccio seguito dagli studiosi è stato quello di riconoscere che, certo, il mito di Atlantide è esclusivamente creazione di Platone, ma che esso alluda, in qualche modo, ad una qualche realtà statuale contemporanea, di cui il filosofo vorrebbe evidenziare l'intimo carattere imperialistico e il conseguente, inevitabile, destino di autodistruzione; ovvero, la guerra fra Atlantide e Atene sarebbe mimesi, in un mitico passato, di un evento storico definito (ad es. le guerre persiane). La più nota - e la più seguita - versione di tale approccio interpretativo è costituita dall'esegesi di Vidal-Naquet, secondo cui l'Atlantide platonica altro non sarebbe che l'Atene dell'età di Platone, talassocrazia imperialistica volta ad estendere il proprio dominio senza limiti; altri studiosi hanno proposto - come bersaglio polemico di Platone - l'impero persiano, o Cartagine, o la tirannide di Dionisio I di Siracusa. Il limite di tutte queste interpretazioni risiede in un fatto molto semplice: ognuna di esse spiega solo alcuni elementi della descrizione platonica (e a volte non spiega, ma si limita cogliere analogie che possono essere spiegate in molti altri modi), ma inevitabilmente finisce per essere del tutto inadatto a spiegare il complesso dei particolari, a volte anche minuti, con cui Platone ha arricchito la propria descrizione (così, ad es., lo stesso Vidal-Naquet, dopo aver proposto l'equzione Atlantide=Atene democratica, si trova poi a dover dire che in Atlantide vi sono molti elementi `persiani', senza che si riesca a capire perché tale `con-fusione' o perché siano scelti proprio alcuni elementi da un ambito e proprio altri da un altro). Il terzo approccio, poi, particolarmente seguito da studiosi con un retroterra filosofico (Brisson, Mattéi, in parte Vidal-Naquet), è stato quello di voler vedere, nel racconto platonico, l'esemplicazione icastica di principi ontologici (ad es. l'opposizione fra Limitato e Illimitato, fra Dispari e Pari, ecc.): il che dimentica totalmente la ragion d'essere dell'esposizione del mito, che si propone come `messa in scena' sul piano della realtà (sia pure una realtà solo fittizia, e solo fittiziamente reale) della politeía illustrata da Platone come ipotesi nell'omonimo dialogo. Università degli Studi `Roma III' - Dipartimento di Studi sul Mondo Antico - Dottorato di Ricerca in `Civiltà e Tradizione Greca e Romana' - XXI Ciclo Il nostro punto di partenza - curiosamente trascurato negli studi e nelle pur numerose interpretazioni - è costituito proprio dalla `richiesta' di Socrate, nelle battute iniziali del Timeo, da cui prende avvio il racconto di Crizia: vedere in azione la polis ideale, e quindi vederla mentre affronta, nel modo suo proprio, quelle competizioni che ogni Città solitamente affronta con altre Città, cioè le guerre. La II parte del Capitolo I, intitolata appunto Perché il racconto di Atlantide, prende in considerazione la `richiesta di Socrate' e illustra la valutazione polemologica delle politeiai propria del pensiero antico, e platonico in particolare. Soprattutto, viene proposta l'interpretazione del `racconto della guerra fra Atene e Atlantide' come `romanzo utopico', genere di cui l'Atlantide di Platone costituisce il primo vero esempio e di cui `segue', inevitabilmente, le leggi non scritte, dettate dalla logica stessa di tale tipo di narrazione, che Platone stesso contribuisce a fondare: il confronto euristico con altri esempi del genere utopico, sia antico sia d'età moderna (More, Campanella, Bacone, in primis, con sporadici riferimenti ad altri esempi) costituisce un leitmotiv della trattazione, e serve a confermare in più punti l'interpretazione da noi proposta (fatto salvo il principio che Platone viene sempre spiegato attraverso Platone stesso, o i riferimenti ideologici e culturali a lui disponibili, essendo invece il confronto con testi successivi esclusivamente una conferma a posteriori, volta a confermare l'esistenza di una logica interna immanente al genere utopico e che viene a condizionarne le manifestazione - compresa appunto l'Atlantide). Chiariti questi aspetti di carattere complessivo, si può dunque procedere all'analisi del testo, tenendo sempre presente l'originaria richiesta di Socrate: vedere in azione (in guerra), la polis ideale. Capitolo II. Viene in primo luogo presa in considerazione la cornice della narrazione. Infatti, nell'inventare un racconto che si pretende `storico', cioè che proclama di essere esposizione di fatti realmente avvenuti (come dice Crizia, egli si accinge a narrare un racconto atopos, ma assolutamente vero) Platone aveva in primo luogo la necessità di conferire credibilità alla propria narrazione (è il problema di ogni narratore utopico, risolto in modi vari ma strutturalmente analoghi). Si tratta di tre distinti problemi, che sono però fra loro intrecciati: 1) rendere non falsificabile il suo racconto e quindi porsi al riparo da ogni possibile smentita (a ciò mirano la dislocazione spaziale e quella temporale che caratterizzano congiuntamente il racconto, e che costituiscono notoriamente tipici tratti del genere utopico); 2) giustificare il fatto che il racconto si sia potuto preservare e sia giunto a lui; 3) giustificare il fatto che egli solo, e nessun altro Ateniese del suo tempo, ne sia venuto a conoscenza. Per questo grande attenzione è data nel testo del Timeo-Crizia alle modalità di conservazione e trasmissione del logos: il Capitolo II (Come non farsi smentire e come farsi credere) è dedicato appunto a mostrare i meccanismi con i quali Platone ottiene i tre obiettivi sopra indicati, nonché la scelta di Crizia come narratore del logos stesso. Definite le condizioni di credibilità del logos, il compito di Platone era quello di descrivere dunque le due entità che egli contrappone, l'Atene primigenia e l'Atlantide (opportunamente collocata fuori del mondo, in Atlantico appunto). Il punto di partenza è dato da quello che è appunto l'oggetto del racconto: il racconto di una guerra fra due entità statali caratterizzate da due opposte politeiai: l'una, quella ideale, Università degli Studi `Roma III' - Dipartimento di Studi sul Mondo Antico - Dottorato di Ricerca in `Civiltà e Tradizione Greca e Romana' - XXI Ciclo incarnata dall'Atene primigenia; l'altra, quella sorta di tirannide a base clanica che regge Atlantide. E' chiaro - è questo il presupposto di tutta l'interpretazione della minuziosa geografia atlantidea - che più l'avversario della polis ideale è potente, maggiore sarà il valore della politeía ideale capace di sconfiggere ogni avversario. Ciò permette di spiegare agevolmente gran parte delle caratteristiche della geografia atlantidea, fin nei più minuti particolari: a ciò è dedicato il Capitolo III (Atlantide, la potentissima), ove si mette in evidenza come le caratteristiche assegnate da Platone ad Atlantide mirano a presentarla come una terra dotata di ogni risorsa, in particolare di quelle utili alla potenza militare, e per di più strutturata in modo tale da permettere un intenso sfruttamento delle risorse locali, nonché da poter affrontate facilmente ogni nemico (tanto più allora risulterà glorificata la vittoria dell'Atene primigenia, che non solo respinge gli invasori, ma addirittura sbarca sul loro stesso territorio). Nello stesso tempo, la topografia dell'isola-continente di Atlantide è soggetta - sul piano delle forme geometriche che la caratterizzano - all'intento di tradurre in forma topografica il regime politico che la caratterizza: è quanto viene illustrato nel Capitolo IV (Topografia e regime politico nell'Atlantide: struttura e significato; già in parte pubblicato in D. Musti, Lo scudo di Achille, Laterza 2008). In entrambi i capitoli, numerosi i confronti con altri testi utopici a mostrare la logica interna della costruzione platonica. La sezione finale di questo capitolo è dedicata ad analizzare la topografia dell'Atene primigenia disegnata da Platone, le cui motivazioni risultano evidenti proprio a confronto con la costruzione della topografia atlantidea: questo argomento riceve una trattazione più breve, in quanto molto minore è lo spazio dato da Platone all'Atene primigenia rispetto a quello dedicato ad Atlantide. Per Atene Platone non poteva, ovviamente, stravolgere i dati topografici di un luogo reale, e per di più perfettamente noto, in ogni particolare, ai suoi lettori: lo scrittore, tuttavia, introduce alcuni scarti rispetto alla realtà a lui ovviamente ben nota; anche in tal caso non è mancato chi ha portato avanti un approccio interpretativo di tipo `realista': non sono mancati, cioè, tentativi di vedere, in certi particolari della descrizione, la memoria di antichissimi dati reali, perfino di lontana origine micenea. In realtà le deformazioni del territorio attico che Platone introduce nella sua descrizione si possono - si devono - spiegare in primo luogo attraverso le esigenze proprie del racconto stesso: Platone descrive una Atene politicamente corrispondente alla politeia della Repubblica, e il territorio attico è `riformato' da Platone proprio allo scopo di adeguare il più possibile la conformazione e le risorse del territorio alla politeía ideale che egli vi vuole collocare; nello stesso tempo, secondo la medesima logica di correlazione fra forme politiche forme topografiche ampiamente illustrata nel cap. IV per Atlantide, anche nell'Atene primigenia disegnata da Platone le forme topografiche risultano espressione tangibile della struttura sociale e politica. Dopo l'aspetto delle qualità, si passa poi all'aspetto delle quantità, con il Capitolo V (Platone dà i numeri). In questo capitolo viene affrontato, a parte, il tema specifico dei `numeri' (cifre, misure lineari, somme) fornite senza sosta da Platone nella sua Università degli Studi `Roma III' - Dipartimento di Studi sul Mondo Antico - Dottorato di Ricerca in `Civiltà e Tradizione Greca e Romana' - XXI Ciclo descrizione di Atlantide (per l'Atene primigenia v'è un unico dato numerico, quello dei ventimila guerrieri). Può parere curioso aver affrontato a parte i numeri che Platone di volta in volta collega ad aspetti diverso (distanza geografiche, dimensioni di edifici o strutture idrauliche, composizione dell'esercito atlantideo, ecc.): una trattazione unitaria è però giustificata da una parte dal fatto che molti studiosi hanno tentato - a parere di chi scrive, a torto - una intepretazione `simbolica' complessiva di tali numeri; dall'altro dal fatto che comunque esiste un criterio tendenzialmente unitario con cui Platone sceglie le sue `misure' e le sue `quantità': ma è un criterio non astrattamente simbolico, bensì legato da un lato alle esigenze della narrazione (coerenza strutturale, effetti di realtà), dall'altro a magnificare vieppiù la potenza atlantidea; quanto poi a molte delle cifre scelte da Platone, esse si sinseriscono perfettamente nelle preferenze numeriche proprie della tradizione greca a lui precedente. In relazione alla eccezionale prosperità di Atlantide, v'è però un aspetto da tener presente: che l'abbondanza di risorse e prodotti naturali, e l'eccezionale vantaggiosità della conformazione naturale sul piano dell'accumulo di ricchezze, sono in realtà, nella visione platonica, caratteri distopici, perché - secondo un tipico schema di pensiero della cultura greca arcaica e poi classico-ellenistica - l'eccesso (di beni, di lussi) corrompe. E, difatti, la sconfitta finale di Atlantide nasce dalla corruzione morale dei suoi potentissimi re: Platone, dunque, prepara il crollo finale della potentissima isola-continente proprio attraverso l'esposizione minuziosa delle sue (sovra-)abbondanti ricchezze. La questione viene richiamata già nel capitolo III, ma viene affrontata più da vicino nel Capitolo VI (I peccaminosi frutti di Atlantide)2 attraverso l'esegesi in particolare di Criti. 115b-c, passo dedicato ai frutti di cui abbonda l'isola e la cui esegesi - in ragione del dettato volutamente allusivo di Platone - è stata tormentatissima. Chi scrive propone una soluzione al rebus platonico che da un lato muove dall'analisi di tutti gli indizi forniti dal breve testo, e dall'altro si collega, nel contempo, all'interpretazione complessiva del racconto utopico su Atlantide e Atene: la potentissima Atlantide ha tutto, sì, ma quel tutto è anche troppo, perché stimola all'avidità e quindi alla guerra; così, attraverso l'esposizione delle risorse geografiche, Platone spiega anche l'involuzione imperialistica della politica atlantidea. L'ultimo capitolo (Capitolo VII: I re di Atlantide: ovvero, che discendere da un dio non basta a ben governare), infine, viene ad affrontare da vicino la figura e le attribuzioni dei re di Atlantide, cercando di capire il senso della loro origine semidivina, la funzione narrativa della loro quintuplice gemellarità, le caratteristiche e il significato delle prerogative loro attribuite da Platone, il ruolo della elaborata descrizione del sacrificio-giuramento che occupa buona parte della sezione del Crizia dedicata ai re (119c-121a; sul giuramento 119d-120c; sul declino morale 120d ss.): come emerge dal corso della trattazione, si coglie come scopo di Platone è quello di evidenziare che, il vero, grande, immenso limite della potentissima e ricchissima Atlantide - ciò che segna in ultima analisi la sua sconfitta di fronte alla minuscola e modestamente 2 Questo capitolo è in c.s. come articolo per il prossimo fascicolo, 2009, 1, della Rivista di cultura classica e medievale. Università degli Studi `Roma III' - Dipartimento di Studi sul Mondo Antico - Dottorato di Ricerca in `Civiltà e Tradizione Greca e Romana' - XXI Ciclo prospera Atene - è la struttura politica primitiva che caratterizza Atlantide, e in particolare la mancanza, in essa, di ogni attenzione alla paideia. In primis da parte di Poseidone, che dà tutto ai suoi protetti, perfino il suo sangue divino, perfino leggi incise su una stele d'oro e giuramenti, ma non un'adeguata educazione per rispettare quelle poche leggi e quei pur severi giuramenti, rinnovati in cerimonie tanto solenni e impressionanti quanto inefficaci, sulla lunga distanza, allo scopo. E' infatti la paideía dei suoi governanti l'elemento che, in ultima analisi, caratterizza ogni politeía e ne assicura il fututo successo. Il che è una conclusione perfettamente in linea con il pensiero platonico, e in particolare con l'antefatto dialogico del Timeo-Crizia costituito dalla Repubblica, visto che la politeía della Repubblica si sostanzia in ampia parte con l'esposizione della paideía destinata ai custodi e ai reggitori. Chiude la dissertazione, come anticipato, una Appendice di Approfondimenti esegetici3 e la Bibliografia. Dott. Gianfranco Mosconi 3 Nel frattempo è stato pubblicato firma di chi scrive, L'Atlantide novissima. Il mito platonico di Atlantide nell'immaginario contemporaneo come saggio di psicologia collettiva, nel volume, a cura di Benedetto Coccia, Il mondo classico nell'immaginario contemporaneo, Ape Edizioni Roma 2008, pp. 449-526. In questo studio viene analizzato il modo con cui la cultura contemporanea recepisce il racconto platonico su Atlantide, con l'attenzione volta ad evidenziare, al di là dei (pochi) aspetti ripresi in modo fedele, le differenze, le innovazioni (spesso inconsapevole), il diverso peso dato a certi aspetti piuttosto che ad altri. Ciò nella consapevolezza che proprio gli scarti rispetto al racconto platonico (presentato invece come indiscusso modello) riflettano atteggiamenti, timori, speranze, aspettative della contemporaneità come scriveva una ventina d'anni fa Vidal-Naquet avviandosi a concludere un suo contributo dedicato ad illustrare le molteplici Atlantidi nazionali via via succedutesi nel corso degli ultimi cinque secoli Dinanzi a tanto delirare, che fare dell'Atlantide? Farne la storia, anzitutto, come storia dell'immaginario umano. Nello stesso tempo, le discrepanze fra Platone e i suoi lettori contemporanei permettono in certi casi, per contrasto, di cogliere con maggiore chiarezza alcuni aspetti interessanti dello stesso racconto platonico, che si inseriscono nella `mentalità' propria di un Greco (e che invece sfuggono o risultano estranei alla mentalità dell'uomo postclassico, sia per effetto dell'eredità giudaico-cristiana sia per elementi legati ad età a noi più vicine).
URI : http://hdl.handle.net/2307/439
Wuxuu ka dhex muuqdaa ururinnada:X_Dipartimento di Studi sul mondo antico
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