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http://hdl.handle.net/2307/4269
Title: | La condizione ebraica nel novecento letterario in Italia e in Romania : da Italo Svevo a Giorgio Bassani e da Mihail Sebastian a Nicu Steinhardt | Authors: | Ioanoviciu, Mirona | Advisor: | Meghnagi, David Ruggieri, Franca Mocan, Mira |
Keywords: | ebraismo condizione ebraica emancipazione shoah |
Issue Date: | 3-Jun-2013 | Publisher: | Università degli studi Roma Tre | Abstract: | Il presente lavoro di ricerca analizza la condizione dello scrittore ebreo dalla sua emancipazione - in Italia tra il 1848 e il 1870 e, più tardi, dopo la Grande Guerra, in Romania - fino al secondo dopoguerra in due contesti dove l’esperienza ebraica è stata diversa per molti aspetti. Ciò nonostante, i temi individuati nelle due letterature offrono una visione comparativa e trasversale, assicurano il legame tra opere, periodi e paesi diversi e delineano due mondi che a volte si sovrappongono illuminando i reciproci punti di contatto, ma anche, inevitabilmente, le reciproche contraddizioni. La condizione ebraica è, nelle scansioni storiche e geografiche individuate, oggetto di una indagine e di una riflessione storica e, al contempo, letteraria. La tesi si articola in due sezioni. Nella prima parte, La condizione ebraica dello scrittore dopo l’emancipazione in Italia e in Romania, si illustra come l’integrazione degli ebrei nella società della maggioranza, anche se si è manifestata in tempi differenti e in modo disuguale, ha avuto per lo più gli stessi effetti sia in Italia che in Romania. Ciò viene confermato dalle tematiche approfondite nei tre capitoli di questa prima parte, che accomunano gli scrittori presi in considerazione: Italo Svevo, Primo Levi, Mihail Sebastian e Nicu Steinhardt. Nella loro opera, i temi letterari che rispecchiano la loro condizione dopo l’emancipazione - la doppia identità, la conversione, l’antisemitismo - si manifestano, secondo le vicende storiche, in tempi differenti. Con l’emancipazione, la condizione ebraica cambia notevolmente: gli scrittori tendono ad allontanarsi dalla tradizione e dalla religione ebraiche e a rinunciare in apparenza alla loro identità per essere semplicemente letterati che scrivono per il mondo intero e non solo per il pubblico ristretto del ghetto, come in precedenza. Il bisogno di anonimato mediante la proiezione di sé sul piano universale si traduce, in ambito letterario, nella scelta del silenzio sulla propria condizione di ebrei. Questo spiega anche il ricorso a pseudonimi. Il gusto del segreto sulla propria condizione ebraica è una caratteristica importante, ad esempio, dell’opera, ed anche dell’esistenza, di Italo Svevo: nella vita e nell’opera di Ettore Schmitz alias Italo Svevo l’ebraicità si percepisce, dietro le apparenze, con una inaspettata vitalità. Testimonianza di ciò sono le lettere dello scrittore alla moglie e agli amici, i romanzi, i racconti, le favole in cui emergono alcune caratteristiche e tematiche tipicamente ebraiche. Lo scrittore triestino era un ebreo emancipato e integrato nella società a tal punto da trascurare, a prima vista, la sua origine ebraica. Infatti, il suo ebraismo “nascosto” è stato argomento di polemica tra vari critici dell’opera sveviana. La personalità di Svevo è più in ombra rispetto agli altri autori presi in esame, ma la sua reticenza sulla propria condizione ebraica è certamente un connotato distintivo dell’ebreo occidentale del periodo post-emancipazione, una caratteristica che, negli scrittori romeni, e in particolare in Mihail Sebastian, si manifesta soprattutto di fronte alle manifestazioni antisemitiche come strumento di protezione della propria individualità. Ciò che accomuna questi scrittori è un fenomeno che si è manifestato dopo l’emancipazione - in Italia molto prima rispetto alla Romania: nel caso di Italo Svevo e di Primo Levi, come in quello di Mihail Sebastian, l’integrazione ha portato alla formazione di una doppia o multipla identità - tematica presente nel capitolo iniziale della prima parte. Svevo era italiano per lingua e fede politica, austriaco per cittadinanza, ebreo per religione, mitteleuropeo per cultura e formazione, commerciante di professione e scrittore per passione. Invece Primo Levi era ebreo, piemontese e italiano, chimico di professione. E non è stato solo un testimone della Shoah, ma anche scrittore, autore realistico e fantastico. Il suo ibridismo viene a manifestarsi soprattutto dopo il periodo vissuto ad Auschwitz, momento in cui inizia a raccontare, a testimoniare e a scrivere le sue esperienze, per poi meditare sul significato della Shoah nei giorni nostri. Come per altri ebrei italiani, la dimensione antisemita ha portato lo scrittore alla coscienza della propria ebraicità. Per altro verso, Iosef Hecter alias Mihail Sebastian era ebreo, romeno e uomo del Danubio, europeo per formazione, avvocato e scrittore, testimone della Shoah: nel romanzo autobiografico De două mii de ani egli ha affermato e vissuto la propria identità multipla, ma questo modello identitario che si è manifestato per la prima volta nel periodo interbellico, ha provocato dubbi e ha subito negazioni nella cultura romena. Se in una società moderna, basata sui principi liberali, le identità non si escludono ma si completano a vicenda, come è il caso dell’Italia risorgimentale, nella Romania degli anni Venti e Trenta, dominata dalla xenofobia, dall’antisemitismo e dalle correnti politiche dell’estrema destra, la creazione di questo tipo identitario è respinta in quanto l’identità nazionale romena si concentrava sull’aspetto etnico invece che su quello civile. Con l’assimilazione nel tessuto sociale della maggioranza, gli ebrei optano non solo per una sorta d’indifferenza religiosa o per l’affermazione del loro ibridismo, ma scelgono, nelle manifestazioni più “estreme” di integrazione, la conversione - argomento trattato nel secondo capitolo della prima parte. Se Ettore Schmitz si è fatto battezzare cattolico per pura formalità, Nicu Steinhardt ha abbracciato la fede ortodossa cristiana, scegliendo in seguito la vita monacale. Se la conversione dello scrittore triestino ha creato perplessità da parte della critica letteraria, il battesimo dell’autore romeno, proprio per le ragioni che hanno determinato questo atto, ha suscitato una forte polemica nel milieu della cultura romena. Il suo “caso” si è dimostrato difficile e le fonti orali utilizzate nel corso della ricerca sono state un prezioso strumento di comprensione. Le interviste da me realizzate ad alcuni prestigiosi critici, infatti, hanno contribuito a chiarire gli atteggiamenti controversi dello scrittore, tra cui, paradossalmente, la sua ammirazione per i legionari, gli esponenti dell’ortodossia e dell’estrema destra romena. L’emancipazione è stata accompagnata, in Italia come in Romania, da nuove forme di antisemitismo, che hanno coinciso con l’affermazione degli ideali nazionali - problematica dedicata al terzo capitolo della prima parte. La presenza dell’antisemitismo nella società triestina può essere, per esempio, una delle spiegazioni del riserbo di Italo Svevo sulla propria condizione ebraica e sulla presenza dei temi ebraici nella sua opera narrativa. In ambito romeno, durante il periodo interbellico segnato da manifestazioni di un forte nazionalismo e di un esuberante antisemitismo, Mihail Sebastian, violentemente attaccato per aver scritto un libro “irritante” sulla sofferta condizione dell’intellettuale ebreo nel contesto antiebraico romeno fra le due guerre mondiali, ritornerà sui temi ebraici solo in modo allusivo. Così si è cercato di spiegare la polemica creata intorno al romanzo De două mii de ani: la più dura controversia del periodo interbellico che rivela la presenza di un’élite intellettuale in preda all’antisemitismo e al nazionalismo estremista. Si precisa che diversamente dall’Italia risorgimentale dove l’antisemitismo era quasi assente, in Romania esisteva una tradizione antisemita sin dalla metà dell’Ottocento. La presenza dell’antisemitismo nella società di accoglienza è la prova che, ancor prima delle leggi razziali e delle deportazioni, l’assimilazione sia stata un’utopia. Nonostante l’integrazione, l’antisemitismo continuava ad esistere e a manifestarsi nella società della maggioranza fino a concludersi nel genocidio nazista. Così la “emancipazione” ebraica può essere vista come un momento di passaggio dall’età dei ghetti alla Shoah, come un ponte che, pur credendosi essere solido, ha portato a La distruzione degli Ebrei d’Europa. Nella seconda parte della ricerca, La condizione ebraica dello scrittore negli anni della guerra e della Shoah in Italia e in Romania, si mostra come, dopo il processo di emancipazione e di integrazione, per gli ebrei si apre, con il fascismo e il nazismo, un nuovo “capitolo” di esclusione dalla società che determina il loro reingresso non nel tradizionale ghetto imposto, ma in quello concentrazionario. Il tragico evento della Shoah ha cambiato totalmente la condizione ebraica e il modo di esprimersi degli scrittori ebrei. La persecuzione ebraica ha reso possibile il recupero dell’ebraismo rimosso con la riscoperta e l’affermazione del loro essere ebreo. L’immenso trauma subito determina gli scrittori ebrei a scrivere, come mai è avvenuto in precedenza, opere con una forte impronta autobiografica che aiutassero, per quanto possibile, a liberarsi dall’ossessione dell’esperienza vissuta e che permettessero di testimoniare gli eventi in cui sono stati coinvolti, affinché si sapesse di cosa fosse stato capace di compiere l’uomo in una società civile e moderna e si capisse che una simile tragedia non sarebbe mai più dovuta accadere in alcun luogo o tempo, perché la vera pace dipende dalla profondità con cui sono stati esplorati gli abissi di ieri. Queste sono le premesse per creare una società migliore e per educare meglio le nuove generazioni. Da queste riflessioni, è evidente che gli scrittori vedano nella loro testimonianza una missione utile alla collettività, perché convinti che si debba ricordare e capire gli eventi tragici della Shoah per evitare, in futuro, la ripetizione dell’orrore: Quando l’ebreo […] ha narrato le sofferenze che lui o lei che fosse avevano sopportato, non lo ha fatto semplicemente come ebreo, ma come qualcuno che stesse dando testimonianza a nome di tutte le vittime dell’oppressione, di qualsiasi paese e confessione religiosa essi fossero1. Qui vengono analizzati tre tipi diversi di testimonianza - romanzo, memoriale, diario - che appartengono agli scrittori presi in esame: Giorgio Bassani, Primo Levi e Mihail Sebastian. Ognuno di loro ha un proprio modo di dare testimonianza dell’esperienza vissuta. Bassani abbina realtà e finzione per raccontare la condizione di esclusione dell’ebreo dalla società italiana in seguito alla promulgazione delle leggi razziali. Invece, Primo Levi usa un linguaggio chiaro e preciso, trasparente e obiettivo per testimoniare la situazione-limite vissuta nel Lager, per cercare di far comprendere al lettore quest’unico evento della storia, la Shoah. Per canto suo, Mihail Sebastian testimonia in tono neutro, senza essere ambiguo o retorico, gli eventi del decennio 1935- 1944, con particolare riferimento alla Romania. Inoltre, gli scrittori offrono testimonianze diverse, secondo la propria esperienza vissuta. Così, diversamente da Primo Levi o da Mihail Sebastian, Giorgio Bassani non presenta mai la Shoah, ma consacra tante pagine dei suoi racconti e dei suoi romanzi agli anni ‘37 e ‘38, al periodo di discriminazioni precedenti alla guerra, e indaga minuziosamente il disadattamento posteriore del superstite. Lo scrittore ferrarese non si sofferma quasi mai sugli eventi bellici stessi. È questa una differenza importante fra lui e Primo Levi, differenza di esperienza poiché lo scrittore piemontese è stato deportato e, invece, Bassani no. Nella sua opera memorialistica Primo Levi racconta la propria esperienza vissuta ad Auschwitz per poi trarne riflessioni utili per il lettore d’oggi. Invece, Mihail Sebastian, nel suo Jurnal 1935-1944, testimonia l’adesione degli intellettuali, anche quelli di spicco, al movimento legionario, l’emanazione delle leggi razziali in Romania, i pogrom di Bucarest e di Iași, la deportazione in Transnistria2 degli ebrei della Bessarabia3 e della Bucovina4. Il Jurnal 1935-1944 di Sebastian che non è stato tradotto nella lingua italiana, è uno dei documenti storici, umani e letterari più importanti del clima del periodo interbellico romeno e delle condizioni che hanno portato alla Shoah. E, infine, tra gli scrittori è diversa anche la concezione di ciò che vuol dire testimoniare, diverso modo di interpretare la responsabilità storica dell’artista, diversa visione di quella realtà su cui deve essere portata testimonianza. Nonostante queste differenze, le testimonianze che appartengono alle vittime, accanto al loro valore di documento storico, esprimono soprattutto lo stato d’animo degli ebrei. I documenti ufficiali, infatti, non hanno mai reso nota l’esperienza vissuta dagli oppressi: senza i testimoni-vittime non avremmo avuto accesso alla dimensione morale e all’immensa sofferenza subita dagli ebrei, a una più profonda comprensione della natura e dell’evoluzione della condizione ebraica durante la Seconda Guerra Mondiale. Per concludere, l’analisi dell’opera narrativa degli scrittori ebrei, italiani e romeni, e le tematiche individuate, oggetto di questa ricerca, sottolineano pur tenendo conto delle diverse sfumature, una comune condizione dell’essere ebreo in due contesti diversi: condizione indispensabile per la comprensione dei cambiamenti esistenziali, culturali e sociali che rispecchiano il destino storico della diaspora dall’emancipazione fino al secondo dopoguerra. Queste trasformazioni e, successivamente, quelle tragiche della Shoah hanno determinato gli atteggiamenti letterari dell’ebraismo italiano e di quello romeno. | URI: | http://hdl.handle.net/2307/4269 | Access Rights: | info:eu-repo/semantics/openAccess |
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