Please use this identifier to cite or link to this item: http://hdl.handle.net/2307/4221
Title: Dinamiche politiche interne al PCR e conflitto con l'intelligencija e la società romena negli anni di Ceausescu
Authors: Diviso, Daniele
Advisor: Guida, Francesco
Issue Date: 19-May-2011
Publisher: Università degli studi Roma Tre
Abstract: La presente tesi dottorale si propone di definire e illustrare la correlazione manifestatasi - nel corso dei quasi cinque lustri di potere ceausista - tra le trasformazioni intervenute in seno al partito e alla fisionomia assunta dalla leadership e i contestuali cambiamenti in ambito sociale e nella dialettica culturale. Negli anni in cui Nicolae Ceausescu detenne le redini del potere, il sistema politico romeno corrispose - in misura significativamente maggiore rispetto ad altri coevi regimi comunisti dell’Est Europa - al concetto di “Stato patrimoniale”. Al fine di assicurare il consolidamento della propria autorità sul partito e sullo Stato, il conduc tor si avvalse, in misura sempre più ampia, di un sistema di relazioni e logiche distributive caratteristiche di un’economia di clientela e patronato. Sul piano politico, egli costruì un assetto di potere basato su una strutturazione gerarchica ‘informale’, in larga misura non corrispondente a quella “ufficiale” del partito. Nicolae Ceausescu “ereditò” almeno in parte tale sistema dal proprio predecessore alla guida del partito, Gheorghe Gheorghiu-Dej. Quest’ultimo incarnò - nel contesto staliniano e post-staliniano - un caso inconsueto seppure non eccezionale (si pensi ad Enver Hoxha in Albania) di longevità politica, dacché egli fu alla guida del partito dal debutto del regime fino alla metà degli anni Sessanta; pochi giorni dopo la morte di Gheorghiu-Dej (nel marzo 1965) la leadership del Paese venne assunta da Nicolae Ceausescu, senza che intervenissero conflitti di rilievo o lotte intestine in seno alla gerarchia del partito comunista romeno. In epoca ceausista la burocrazia del partito e dell’esercito (e, in parte, degli stessi servizi segreti) fu progressivamente divisa, indebolita e svalutata nell’esercizio delle proprie funzioni. Già a partire dalla metà degli anni Settanta gli organismi dirigenti del partito cessarono di svolgere un ruolo di rilievo nel quadro della direzione politica del Paese. Il sistema politico così delineatosi – imperniato sull’indiscusso primato del conduc tor sul piano politico-istituzionale – si abbinò, in campo socio-economico, all’adozione di provvedimenti perniciosi per il tenore di vita della popolazione, accompagnati da una più rigida vigilanza dell’apparato repressivo e ad una riduzione degli spazi di libertà sociale e personale concessi all’individuo; l’insieme di questi elementi concorsero a produrre una disgregazione ed atomizzazione del tessuto sociale che ebbe pochi termini di paragone nel coevo contesto dei regimi comunisti dell’Europa centro-orientale. In questo quadro, era estremamente difficile che il rovesciamento del regime potesse venire ‘dall’interno’della società. La “detronizzazione” di Ceausescu – e lo sbrigativo processo ed esecuzione riservato a questi e alla sua consorte - si configurarono principalmente come l’esito dell’intervento di un gruppo di opposizione coagulatosi in seno al partito e alle forze armate. In una certa misura, un’“eccezionalità” romena nell’ambito dei regimi comunisti dell’Europa centro-orientale si manifestò sia in relazione alla capitolazione del regime sia nel quadro degli incerti sviluppi democratici avutisi durante il primo decennio della transizione post-totalitaria. Tale transizione fu infatti caratterizzata da una persistente influenza (ed ingerenza) esercitata nelle leve della politica e dell’economia da ex apparatnick comunisti, emblematicamente rappresentati da Ion Iliescu - il quale è stato capo dello Stato durante ben tre mandati (1990-1992; 1992-1996; 2000-2004). Al fine di assicurare una maggiore chiarezza d’analisi ed espositiva, nell’ambito dottorale viene proposta una suddivisione della lunga leadership ceausista in tre fasi distinte che vengono rispettivamente denominate come ‘liberale’ (1965-70), autoritaria (1971-77) e sultanista (1978- 89). Nel corso della fase ‘liberale’– sviluppatasi, nei suoi lineamenti essenziali, già nell’anno precedente all’ascesa al potere di Nicolae Ceausescu – ebbe termine la coercizione di massa che aveva caratterizzato il regime comunista romeno nei suoi primi quindici anni di vita; a tale ‘disgelo’ si accompagnarono interessanti fermenti in ambito culturale, ai quali viene riservata adeguata attenzione nel lavoro della tesi. Nella presente ricerca si assume il punto di vista secondo il quale sussisterebbe una fondamentale coerenza negli intendimenti programmatici espressi dalla leadership politica - pur nel quadro di visibili cambiamenti nel contesto - durante le tre summenzionate fasi. Un approccio autoritario, scarsamente flessibile e dirigistico negli intendimenti di fondo venne manifestandosi piuttosto rapidamente nella direzione impressa da Nicolae Ceausescu al modo di governare il Paese. La visione ideologica del conduc tor si compendiò in ambito culturale in un’interpretazione tardozhdanovista del ruolo degli intellettuali e in una concezione ‘realsocialista’ della funzione dell’arte, pur nel quadro di una declinazione ideologica corroborata da potenti elementi nazionalistici. Sul piano politico-istituzionale, l’accentramento delle funzioni politiche perseguito da Nicolae Ceausescu (riproducendo una strategia analoga a quella condotta dal proprio predecessore) ebbe visibile attuazione fin dal 1967 – anno nel quale il conduc tor associò alla carica di segretario del partito quella di presidente del Consiglio di Stato. Un debutto similmente precoce ebbe il culto del dirigente (propedeutico all’affermazione del vero e proprio culto della personalità) il quale venne affermandosi nel 1968, allorché Ceausescu – in seguito alla condanna dell’invasione sovietica della Cecoslovacchia – assunse su di sé l’archetipo di garante dell’unità e integrità nazionale.Durante la stagione ‘liberale’ del regime, in ragione di fattori interni e internazionali, le caratteristiche dirigistiche e autoritarie correlate alla leadership ceausista non poterono dispiegarsi pienamente: una certa ‘tolleranza’ si manifestò segnatamente nel settore culturale, ove si poneva l’esigenza, per il segretario del partito, di assicurare il sostegno degli intellettuali all’ideologia ‘nazionale’ in corso di affermazione Nel corso della fase autoritaria, inaugurata dalle cosiddette “Tesi di Luglio” e dalla correlata “minirivoluzione culturale” promossa da Nicolae Ceausescu nel 1971 (dopo un viaggio in Cina e in Corea del Nord – da molti osservatori ritenuto d’importanza emblematica in relazione al nuovo orientamento ideologico propugnato dal leader romeno) si vennero delineando alcune caratteristiche proprie della fase “matura” del regime ceausista: tali caratteristiche si espressero attraverso la promozione di un orientamento neodogmatico sul piano culturale, la vigorosa riaffermazione di politiche rigidamente dirigistiche in campo socio-economico e parimenti mediante una più nitida strutturazione verticistica e leaderistica del potere detenuto dal conduc tor, coadiuvato dal suo emergente ‘clan’ familiare. La terza fase del regime ceausista (1978-1989) viene definita nella ricerca con l’appellativo di sultanista, ricollegandosi alla definizione di sultanismo coniata dal politologo Juan Linz. Tale fase si caratterizzò per il compiuto trapasso dal culto del dirigente al culto della personalità in relazione alla rappresentazione pubblica di Nicolae Ceausescu, per la caratterizzazione vieppiù arbitraria e personalistica dell’esercizio del potere da parte del leader supremo e del suo clan familiare (coerentemente con una visione “dinastica” del socialismo) e, in conseguenza di ciò, per l’attribuzione al partito di un ruolo ancillare nei confronti della suprema autorità del partito e dello Stato. La progressiva involuzione che il regime conobbe sul piano politico si accompagnò al predominio progressivamente assunto da un modello di controllo sociale di natura coercitiva, nel cui ambito il culto della personalità costituì un surrogato ideologico volto a sostenere una legittimazione popolare del regime divenuta sempre più periclitante. Alle tre differenti fasi del regime corrispose sostanzialmente lo sviluppo di differenti fenomeni e dinamiche nell’ambito della vita culturale ed intellettuale. Durante l’epoca liberale, la moderata apertura agli scambi internazionali promossa dalle autorità concorse a favorire lo sviluppo di un dibattito culturale e di una produzione poetica e narrativa sovente contraddistinta da esiti brillanti ed innovativi. La fase autoritaria apparve invece contrassegnata dal debutto (e successivamente, dalla piena affermazione) di quella che la studiosa Katherine Verdery definisce come “letteratura dei nuovi clichés”: si trattava di una produzione letteraria (segnatamente nella narrativa a sfondo ‘storico’) che faceva propria la polemica – lanciata dallo stesso segretario generale del partito - contro le caratteristiche ‘antinazionali’ assunte dal regime comunista romeno durante gli anni dello stalinismo; nel medesimo tempo, gli esponenti della “letteratura dei nuovi clichés” esprimevano tendenze spiccatamente corrive – e non di rado esplicitamente encomiastiche – nei confronti del nuovo modello ideologico di impronta personalistica che accompagnò la sempre più pronunciata affermazione del culto della personalità nella scena pubblica e nella retorica propagandistica. Infine, negli anni Ottanta ebbe luogo una crescente desertificazione culturale: in questa fase, la leadership del regime si adoperò per ridimensionare il ruolo precedentemente svolto dagli intellettuali (ivi compresi gli scrittori non sommariamente definibili come ‘aedi di corte’) nel contesto di un crescente sostegno accordato a un arte “popolare” e “nazionale” che si ricollegasse esplicitamente all’ethos del popolo (o a quello che il conduc tor intendeva accreditare come tale). In questo contesto, la storia (interpretata in modo teleologico per sostenere il consolidamento di un’ideologia leaderistica e nazionalistica) fu tra le poche discipline “umanistiche” il cui sviluppo fu incoraggiato dalle autorità del regime. Nella Romania ceausista il nazionalismo non rappresentò un mero espediente discorsivo adottato dalla retorica del regime; esso si configurò piuttosto come una lingua franca in grado di promuovere un’intesa tra leadership, intellettuali e popolo. Nella ricerca dottorale viene adeguatamente analizzato il ruolo assunto dalla nazione nella sincretica ideologica ceausista e l’impatto che esso ebbe sul piano interno, segnatamente nel rapporto tra regime e minoranze nazionali. Affermazione dell’indipendenza nazionale e rifiuto dell’egemonia sovietica furono elementi che assicurarono al regime e al suo leader un significativo consenso popolare, almeno fino a quando l’efficacia del richiamo ai valori nazionali non venne oscurata (a partire dagli anni Ottanta) dal peso che assunsero, per la maggioranza dei romeni, i problemi concretamente posti da una politica in campo sociale ed economico dai contorni chiaramente fallimentari.
URI: http://hdl.handle.net/2307/4221
Access Rights: info:eu-repo/semantics/openAccess
Appears in Collections:X_Dipartimento di Studi Internazionali
T - Tesi di dottorato

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