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http://hdl.handle.net/2307/40872
Title: | LA LIBERTA' DI INFORMAZIONE NELL'AMMINISTRAZIONE TRASPARENTE | Authors: | DROGHINI, LEONARDO | Advisor: | SANDULLI, MARIA ALESSANDRA | Keywords: | TRASPARENZA ACCESSO CIVICO |
Issue Date: | 7-Apr-2020 | Publisher: | Università degli studi Roma Tre | Abstract: | L’introduzione del diritto di accesso di chiunque ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria, era intesa a realizzare, per espressa previsione della l. 124/2015, il “riconoscimento della libertà di informazione”. Su questa base, fermi gli obblighi di pubblicazione e l’accesso civico semplice, è stato introdotto all’art. 5, co. 2 del d.lgs. 33/2013 l’istituto dell’accesso civico generalizzato, che consente a chiunque, senza motivazione, di accedere a qualunque dato detenuto dalla P.a. L’obiettivo era quello di allinearsi ai paesi che già da tempo avevano adottato il paradigma freedom of information e realizzare così il passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere (from need to know to right to know), passaggio che ribalta completamente l’impostazione normativa in tema di trasparenza, al cui centro si pone ora non più l’interesse qualificato del singolo o gli obiettivi anticorruzione, ma, la libertà di chiunque di accedere alle informazioni detenute della P.a.: un diritto fondamentale direttamente legato al valore democratico della funzione amministrativa. È evidente la differenza tra tale sistema e quello tradizionalmente accolto nel nostro ordinamento, dove il diritto a conoscere l’attività amministrativa era inizialmente disconosciuto in via radicale, se non agli interessati, e, successivamente, nel decreto 33/2013, è stato riconosciuto solo in via riflessa e limitatamente ai dati, documenti e informazioni oggetto di pubblicazione obbligatoria. Le appena indicate novità di principio contenute nel decreto trasparenza, unitamente alle dichiarazioni degli esponenti politici circa l’introduzione del FOIA italiano, devono però essere stimate alla luce della concreta disciplina positiva, per come interpretata e applicata, al fine di stabilire se al nuovo principio della conoscibilità generalizzata abbia fatto seguito anche la sua chiara ed effettiva attuazione. A tal fine, un punto fermo della nuova disciplina da cui partire per valutare la concreta consistenza ed estensione della libertà di accesso nel nostro ordinamento, è rappresentato dagli strumenti che il legislatore ha posto a garanzia della libertà d’informazione: da una parte la pubblicazione (con l’accesso civico semplice), dall’altra l’accesso civico generalizzato. Partendo dall’analisi del sistema di trasparenza proattiva, il nostro ordinamento si distingue sia per aver seguito un percorso inverso rispetto agli altri ordinamenti - partiti dall’accesso, a cui poi si è aggiunta la pubblicità – sia per l’ampia estensione contenutistica delle pubblicazioni: una via tutta italiana alla trasparenza pubblica. Difatti, il legislatore italiano, restio a riconoscere l’accesso a chiunque, ha per anni tentato di costruire un sistema di conoscibilità diffusa sul solo pilastro degli obblighi di pubblicazione e, solo in un secondo momento, appurata l’inadeguatezza del modello, insostenibile per le amministrazioni e insoddisfacente per i cittadini, ha introdotto l’accesso generalizzato, allineandosi alla disciplina europea e a quella delle altre democrazie liberali. L’introduzione della nuova tipologia di accesso non è stata tuttavia accompagnata da una significativa riduzione dei numerosi e complessi obblighi di pubblicazione, nonostante la legge delega consentisse una più ampia riduzione e semplificazione, da molti auspicata in ragione delle serie difficoltà pratiche incontrate dalle amministrazioni nel periodo di prima applicazione del decreto trasparenza; scelta di mantenere gravosi obblighi di pubblicazione dettata essenzialmente da obiettivi anticorruzione piuttosto che per la migliore tutela del right to know. Sebbene sia assolutamente comprensibile e condivisibile prevenire la corruzione con tutti gli strumenti possibili – e la trasparenza è uno di questi – nei fatti ciò ha determinato una anomala costruzione complessiva del sistema di pubblicità, in cui le amministrazioni più che sostenere proattivamente la trasparenza sembrano subirla. Dai dati forniti dall’ANAC emerge, difatti, che anche a seguito del d.lgs. 97/2016 nel complesso persiste un insoddisfacente tasso di compliance alle pubblicazioni obbligatorie, specie in termini di qualità dei dati rilasciati, e ciò principalmente a causa della ancora incompleta digitalizzazione delle amministrazioni e della scarsità di risorse umane a supporto del RPCT. All’interno di questa cornice, fermo restando la necessità di una ulteriore razionalizzazione delle pubblicazioni, de iure condito, per far sì che con le pubblicazioni sia garantita, oltre la conoscibilità, anche l’effettiva conoscenza e la comprensione (necessaria anche per la politica anticorruzione), è in primis fondamentale portare a termine l’ancora incompleto processo di digitalizzazione della p.A e, in secondo luogo, è necessario che l’ANAC, attraverso i poteri di vigilanza e di controllo sugli obblighi di pubblicazione, agevoli e semplifichi il più possibile l’adempimento dei complessi e numerosi obblighi, specie attraverso la definizione di schemi standard e modelli per l'organizzazione, la codificazione e la rappresentazione dei documenti, essenziali sia per fornire dati di qualità sia per rendere più semplice l’adempimento degli obblighi. Passando ora ai profili di trasparenza reattiva, l’introduzione nel 2016 dell’accesso civico generalizzato non può che essere salutata con favore, permettendo a chiunque di sviluppare una propria conoscenza critica sull’organizzazione e sul funzionamento dell’amministrazione tramite l’accesso a qualunque dato e documento, al di là di quelli pubblicati, potendosi cosi davvero evocare la celebre immagine della P.a. come una “casa di vetro”, in cui tutto è trasparente e visibile, salvi gli ineliminabili e fisiologici casi di segreto giustificati dalla necessità di tutelare interessi pubblici e privati . Tutto ciò, però, più in teoria che in pratica, a causa di alcune criticità della disciplina positiva che minano profondamente l’effettività del diritto a conoscere le informazioni amministrative, con il rischio di ridurre il FOIA italiano a nient’altro che vuota retorica e declamazione di principio. Le questioni sono molteplici, essendo sufficiente richiamare la discutibile esclusione delle informazioni dall’oggetto dell’accesso generalizzato e la mancata previsione espressa del dialogo collaborativo, viceversa previsto nella disciplina sull’accesso alle informazioni ambientali e in molti altri ordinamenti. Ancora, è possibile esprimere riserve con riguardo alla frammentata governance della trasparenza e al sistema di tutela non giurisdizionale, non affidato all’ANAC ma ai singoli RPCT e difensori civici. Da ultimo, particolarmente problematica e foriera di incertezze è apparsa la formulazione dell’art. 5, co. 2 del d.lgs. 33/2013, nella parte in cui individua la funzione o il fine dell’accesso civico generalizzato, legittimando letture funzionalizzate che finiscono per trasformare il diritto individuale a conoscere, il right to know, a strumento di garanzia di buona amministrazione. Sotto differente profilo, l’effettività del FOIA italiano dipende in larga parte dalla coerente e omogenea applicazione dei limiti di cui all’art. 5-bis del d.lgs. 33/2013. Del resto, la disciplina sui limiti all’accesso è uno degli aspetti cruciali di ogni sistema FOIA, dovendo il legislatore trovare un punto di ragionevole equilibrio tra l’interesse del singolo e pubblico alla conoscenza di informazioni amministrative e la tutela di altri interessi rilevanti, pubblici e privati, parimenti meritevoli di protezione. Particolarmente problematica è la lettura del rapporto tra trasparenza amministrativa e protezione dei dati personali, la cui ordinata e chiara composizione rappresenta un tassello fondamentale per assicurare l’effettività sia del diritto a conoscere sia della privacy, quest’ultima da intendere come diritto a controllare la circolazione delle informazioni riferite alla propria persona. In aggiunta alle singole questioni normative e/o interpretative, occorre rilevare che un ruolo fondamentale per l’effettività del diritto a conoscere è giocato dalle amministrazioni e dai giudici amministrativi nella fase di attuazione della disciplina, i quali devono adattarsi al radicale ribaltamento di prospettiva insito in un accesso “desoggettivizzato” e privo di motivazione: la valutazione non è più di carattere soggettivo, ossia raffrontare i documenti richiesti con la posizione dell’istante, ma ha natura oggettiva, dovendosi stabilire solo se l’ostensione dei dati o documenti pregiudica gli interessi-limite individuati dalla legge. Rileva solo che cosa si può conoscere e non chi e perché vuole conoscere. L’auspicio generale, riprendendo le parole del parere del Consiglio di Stato sullo schema di d.lgs. 97/206, è che la garanzia della libertà d’informazione non si dissolva a causa del disordine della legge, di prassi amministrative conservative, del difetto di un’adeguata informatizzazione e della mancanza di comunicazione con i cittadini e le imprese, che non riescono a conoscere, e quindi a rivendicare, i loro nuovi diritti. | URI: | http://hdl.handle.net/2307/40872 | Access Rights: | info:eu-repo/semantics/openAccess |
Appears in Collections: | Dipartimento di Giurisprudenza T - Tesi di dottorato |
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