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Titolo: MATERIA PENALE E NE BIS IN IDEM: IL PROBLEMA DEL DOPPIO BINARIO SANZIONATORIO
Autori: PAGANI, ARIANNA
Relatore: MEZZETTI, ENRICO
Parole chiave: DOPPIO BINARIO SANZIONATORIO
Data di pubblicazione: 7-apr-2020
Editore: Università degli studi Roma Tre
Abstract: Il lavoro si pone l’obiettivo di indagare la tematica del cumulo sanzionatorio tra illeciti penali ed illeciti formalmente amministrativi ma sostanzialmente penali, avendo cura di soffermarsi sulle criticità ascrivibili al problema del doppio binario sanzionatorio in tema di market abuse, sia in riferimento alla responsabilità individuale che alla responsabilità dell’ente. Risulta imprescindibile, da questo punto di vista, perimetrare dapprima il concetto di materia penale, per poi ricercare un valido discrimen tra illecito penale ed illecito amministrativo. L’elaborato si premura quindi di vagliare, non prescindendo da osservazioni critiche, le diverse teorie sostenute nel corso del tempo dalla dottrina al fine di eleggere quali siano i criteri distintivi dell’illecito penale rispetto a quello amministrativo. Si parte, dunque, da una ricostruzione delle teorie ontologiche valoriali, sostenute dalla dottrina tradizionale, secondo cui solo il reato sarebbe posto a tutela di un’oggettività giuridica, fino a giungere all’analisi delle teorie quantitative. Ed invero, a fronte delle incertezze applicative paventate da concezioni fondate sul bene giuridico, si apprezza il loro superamento da parte di teorie che hanno valorizzato criteri distintivi di tipo quantitativo, secondo le quali a segnare la linea di confine tra i due tipi di illecito sarebbero, al contrario, solo il grado e la “modalità” di aggressione al bene protetto. Infine, di non minor rilievo appare l’esame delle soluzioni prospettate dalla dottrina amministrativista, che concentrano la loro indagine sulla natura della sanzione. Siffatte teorie si pongono evidentemente in linea con la giurisprudenza di Strasburgo, la quale, sebbene elabori molteplici criteri tra loro alternativi, finisce per dar prevalenza al terzo criterio Engel, fondato - appunto - sulla gravità della sanzione, per poi concentrarsi sulla sua stessa natura. Diversi i pregi delle teorie fondate sul concetto di sanzione di cui si dà conto nel corso della trattazione: queste, oltre a superare le criticità proprie delle teorie ontologiche, hanno il merito di valorizzare il principio sostanzialistico, evitando “truffe delle etichette” volte a sottrarre l’illecito proprie dalle garanzie della materia penale. Inoltre, tale criterio evidenzia la stretta correlazione che sussiste tra sanzione penale e finalità rieducativa, consentendo di chiarire l’importanza che il principio di colpevolezza assume nella materia penale. La perimetrazione del concetto di materia penale risulta, del resto, prodromica rispetto all’operatività di tutta una serie di garanzie individuali, tra cui emerge lo stesso principio del ne bis in idem. La seconda parte del lavoro si concentra – quindi – sulle diverse declinazioni del ne bis in idem, partendo dalla fondamentale distinzione tra concorso apparente e convergenza effettiva di norme, per poi indagare la complessa questione del concorso di norme inter-ordinamentale. A tal fine, viene preliminarmente compiuta una summa divisio tra teorie che si contraddistinguono per la valorizzazione di criteri di tipo qualitativo (da cui vengono elaborati indici di carattere valutativo, naturalistico o strutturale) e di tipo quantitativo (cui consegue la tradizionale distinzione tra teorie pluraliste e moniste). Dopo aver passato in rassegna i criteri proposti dalla teoria pluralista ed aver, quindi, analizzato compiutamente il criterio di sussidiarietà e quello di consunzione, si giunge a ravvisarne la loro inutilità, in ossequio alle conclusioni cui giunge la teoria monistica, per la quale l’unico criterio dirimente del concorso apparente di norme sarebbe quello di specialità. Il principio di specialità, sebbene sia l’unico a trovare una sua base nel diritto positivo, pone comunque dei rilievi problematici in relazione ai limiti della sua estensione. Si nota, al riguardo, come con il concetto di “stessa materia” il legislatore intenda indicare solo i presupposti del concorso, richiedendo – per la configurabilità di un concorso apparente – che lo stesso fatto appaia astrattamente riconducibile sia alla norma generale che alla norma speciale. Si suggerisce così un confronto strutturale tra fattispecie astratte, escludendo che il concetto di “stessa materia” possa significare medesimezza del bene giuridico tutelato, data l’inevitabile evanescenza di una tale categoria dogmatica. Oltre a ciò, si evidenzia come la specialità possa essere intesa solo in senso unilaterale, in ragione delle difficoltà interpretative che conseguirebbero dall’accoglimento della cosiddetta specialità bilaterale, la quale rappresenta un criterio certamente inidoneo ad individuare quale sia in concreto la norma prevalente. Dal principio di specialità discendono, infine, delle interessanti questioni dogmatiche anche in ordine alla sua possibile estensione nell’ambito del concorso inter ordinamentale. Si procede, quindi, ad analizzare l’art. 9 della legge 689/1981, attraverso cui il legislatore ha espressamente previsto l’operatività della specialità anche in caso di concorso tra norma penale e norma amministrativa, avendo cura di evidenziare quali siano le analogie e le differenze rispetto al tradizionale criterio di specialità disciplinato dall’art. 15 c.p. Si giunge così alla conclusione, non priva di difficoltà interpretative, secondo cui l’art. 9 della legge 689/81 possa in realtà considerarsi riferibile, per espressa voluntas legis, al solo concorso tra norma penale e norma amministrativa punitiva. Per le altre sanzioni sostanzialmente penali invece potranno, in via residuale, essere applicati esclusivamente i criteri risolutivi del concorso apparente di norme elaborati dalla Corte EDU. Il che conduce ad approfondire i rapporti tra ne bis in idem interno, nella sua duplice accezione di ne bis in idem sostanziale o processuale, e ne bis in idem eurounitario, utilizzato proprio al fine di superare i problemi conseguenti al cumulo sanzionatorio tra norme sostanzialmente penali. Sempre in un’ottica eurounitaria si pone, quindi, l’accento sul criterio della close connection, e sulla differenziazione tra la declinazione assunta dal ne bis in idem nella disposizione di cui all’art. 4 prot. 7 CEDU e quella assunta dal medesimo principio nella disposizione di cui all’art. 50 CDFUE. Innegabile, in questa prospettiva, l’importanza assunta dal principio di proporzionalità: tale canone, valorizzato con forza dalla stessa giurisprudenza europea, costituisce un valido presupposto non soltanto del ne bis in idem processuale, ma dello stesso ne bis in idem sostanziale, rappresentando un collegamento diretto col principio di colpevolezza e con la finalità rieducativa della pena. Del resto, la valorizzazione del principio di proporzionalità e, con esso, della finalità rieducativa della pena rappresenta un’esigenza sentita anche negli ordinamenti di common law, ove la double jeopardy rule, che viene analizzata in chiave prettamente comparatistica, assume connotati parzialmente sovrapponibili al ne bis in idem interno. Una volta chiariti quali siano i principi generali in tema di doppio binario sanzionatorio e divieto di bis in idem, la trattazione si concentra sul profilo, maggiormente settoriale, della disciplina dei cumuli sanzionatori tra illecito penale ed illecito amministrativo in tema di market abuse. In questo senso, l’analisi delle riforme legislative ivi intervenute si rivela prodromica rispetto al problema del doppio binario sanzionatorio, realizzato a partire dalla riforma del 2005. Di fondamentale importanza appare, inoltre, l’interpretazione della clausola “fatte salve sanzioni penali”, che non può che esser letta come chiaro indice dell’operatività di un concorso effettivo tra fattispecie. Con ciò ponendosi in evidente contrasto rispetto alla regola stabilita dall’art. 9 della legge 689/81, che richiederebbe – al contrario – l’applicazione della sola norma speciale. Ed ecco, dunque, che il problema dell’operatività del ne bis in idem tra sanzioni penali e sostanzialmente penali emerge con forza anche nel nostro ordinamento, così come censurato dalla storica sentenza Grande Stevens. Né, al fine di risolvere un tale empasse, appare dirimente la valorizzazione del criterio della sufficient close connection in substance and time, consacrato dalla sentenza A e B c Norvegia, per la quale la contiguità temporale e funzionale tra i due procedimenti consente di ritenere compatibile con il divieto di bis in idem l’irrogazione congiunta di sanzioni penali e sostanzialmente penali. A ben vedere, tra gli indici elaborati dalla giurisprudenza europea per valutare l’ammissibilità di un siffatto cumulo, emerge in primo luogo la complementarietà tra i procedimenti; in subordine il fatto che la duplicazione dei procedimenti non comporti un eccessivo dispendio di risorse processuali; infine la circostanza che venga comunque rispettato il principio di proporzionalità della pena. Ebbene, proprio in applicazione di un tale indice, si evidenzia come il criterio della connessione sufficientemente stretta non serva a legittimare cumuli sanzionatori in tema di market abuse, atteso che la sanzione complessivamente irrogata risulterebbe comunque non proporzionata alla gravità dell’illecito e alla colpevolezza dell’autore. D’altra parte si evidenzia anche l’impossibilità di procedere ad un’interpretazione convenzionalmente orientata della norma, che richiederebbe di concentrarsi sulla medesimezza del fatto storico, esulando dal confronto astratto tra le fattispecie, unico reale baluardo del ne bis in idem sostanziale interno. Di qui la sola possibilità di procedere ad una dichiarazione di incostituzionalità della norma ai sensi dell’art. 117 Cost., in relazione all’art. 4 prot. n. 7 CEDU, ovvero di disapplicare le norme in quanto contrastanti con l’art. 50 CDFUE. La previa dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma, di certo preferibile, consentirebbe infatti di procedere ad una riformulazione della fattispecie; oppure, laddove una tale opzione fosse ritenuta impraticabile, di valorizzare il principio di specialità. La questione, già di per sé complessa, assume connotati maggiormente problematici qualora si discuta di responsabilità degli enti. Tale sistema, proprio in applicazione dei cosiddetti criteri Engel (con particolare riguardo alla finalità dell’illecito e alla natura della sanzione) appare riconducibile al concetto di materia penale, postulando quindi il necessario rispetto del ne bis in idem, volto a salvaguardare la proporzionalità tra l’offesa arrecata e la risposta sanzionatoria comminata. Ciononostante, a partire dalla riforma del 2005, il legislatore ha non soltanto introdotto una responsabilità cumulativa in tema di abusi di mercato, ma anche inserito tali illeciti nel catalogo dei reati presupposto della responsabilità dell’ente. Pertanto, a fronte di un unico fatto di reato, all’ente potrebbero comminarsi tre distinte sanzioni, previste, rispettivamente, dagli artt. 187 quinquies T.U.F. e 25 sexies del D.Lgs. 231/2001, nonché dall’art. 6 della legge 689/81 (norma che esprime la responsabilità solidale dell’ente per la violazione commessa da uno dei suoi organi). Si legittima, in tal modo, un’ipotesi non solo di bis, ma di ter in idem, cui potrebbe aggiungersi la sanzione della confisca per equivalente prevista dall’art. 187 sexies del D.Lgs. 231/2001, e quella sussidiaria contemplata dall’art. 197 c.p., determinando l’abnorme esito di una quadruplicazione (o addirittura di una quintuplicazione) della risposta sanzionatoria. Qualora, poi, l’ente sia di piccole dimensioni o l’illecito sia commesso dal soggetto apicale, la violazione del ne bis in idem rischia di divenire ancora più grave. Per effetto della teoria dell’immedesimazione organica, in capo alla persona fisica e all’ente, identificati nel medesimo soggetto, si considerano infatti ascrivibili sia le sanzioni previste dai rispettivi illeciti penali ed amministrativi, che le sanzioni pecuniarie comminate dall’art. 25 sexies del D.lgs. 231/2001, e dall’art. 187 quinquies T.U.F. A ciò si aggiunge la possibilità di comminare la confisca di cui all’art. 187 sexies, nonché l’obbligazione solidale prevista dall’art. 6 della legge 689/81, e quella sussidiaria disposta dall’art. 197 c.p. Con la conseguenza - di non poco conto - della possibile realizzazione di un quater o addirittura di un septies in idem, che tradirebbe non solo i precetti stabiliti a livello interno dal ne bis in idem sostanziale e dal ne bis in idem processuale, ma anche i postulati che, a livello comunitario, vengono consacrati dagli artt. 4 protocollo n. 7 CEDU e dall’art. 50 CDFUE. I cumuli sanzionatori che possono derivarne appaiono, infatti, contrari non solo al principio rieducativo, ma alle stesse tradizionali istanze di retribuzione, che fanno della proporzionalità il loro principale criterio dirimente. In un siffatto contesto si evidenzia come non sia risolutivo un mero attenuamento del rigore sanzionatorio in sede di commisurazione della pena; dovendo auspicare, de iure condendo, un intervento del legislatore teso ad eliminare alcune delle sanzioni attualmente irrogabili nei confronti dell’ente, ovvero ad introdurre clausole volte a cristallizzare sistemi di doppio binario alternativo
URI: http://hdl.handle.net/2307/40854
Diritti di Accesso: info:eu-repo/semantics/openAccess
È visualizzato nelle collezioni:Dipartimento di Giurisprudenza
T - Tesi di dottorato

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