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Titolo: Storia e libertà. Hegel e Marx nel pensiero dialettico di Sartre : una lettura delle conferenze di Roma
Autori: Pasquini, Chiara
Relatore: Farina, Gabriella
Parole chiave: dialettica
storia
libertà
marxismo
Data di pubblicazione: 10-giu-2013
Editore: Università degli studi Roma Tre
Abstract: La riflessione sartriana sulla dialettica che si instaura tra la libertà ontologica costitutiva dell’esistenza umana e la necessità di una Storia pesantemente condizionata dal pratico-inerte, in cui in virtù della controfinalità, l’energia della nostra praxis è ritorta contro di noi, è senz’altro di stretta attualità: essa abbraccia un lungo arco di tempo, dagli anni della drôle de guerre in cui Sartre dichiara di aver conosciuto per la prima volta la Storia e di aver “scoperto il sociale” fino alla fine della vita di Sartre, quando il filosofo dichiarava che “ribellarsi è giusto”. In particolare il periodo più significativo per l’evoluzione in senso storico-dialettico del suo esistenzialismo è quello compreso tra il 1960, data di pubblicazione del primo volume della Critique de la raison dialectique, dedicato alla teoria degli insiemi pratici, e il 1972, quando uscì L’Idiot de la famille, monumentale ricostruzione della biografia di Gustave Flaubert in cui viene applicato il metodo progressivo-regressivo teorizzato nelle Questions de méthode e banco di prova di “cosa si può conoscere di un uomo”. In questi anni (1958-1962) Sartre scrive la parte del secondo tomo della Critique pubblicata postuma e dedicata al problema dell’intelligibilità della storia e tiene, nel 1961 e nel 1964 le due conferenze di Roma sulla questione della soggettività e sulle possibilità di un’etica nel pensiero marxista. Obiettivo del mio lavoro di ricerca, intitolato Storia e libertà: Hegel e Marx nel pensiero dialettico di Sartre. Una lettura delle Conferenze di Roma, è una ricostruzione storico-filosofica della prospettiva dialettica del pensiero di Sartre, un lungo e combattuto percorso di riflessione sul rapporto fra individuo e società e fra libertà umana e necessità storica culminato nella pubblicazione del primo volume della Critique, che mirava a superare gli errori prodotti in campo culturale dallo strutturalismo e in campo politico dallo stalinismo, e quindi a riportare il marxismo alla sua matrice umanistica, rileggendone le categorie alla luce dei nuovi saperi del Novecento. Per ricostruire il legame che unisce il primo e il secondo tomo della Critique e chiarire il senso dell’ultima parte della produzione sartriana, ho scelto di concentrarmi in modo particolare sui due testi delle Conferenze di Roma, interventi sartriani ancora parzialmente inediti in traduzione italiana e di cui in questi anni l’équipe Sartre dell’ITEM (Institut des textes et manuscrits modernes) di Parigi, fondata e a lungo animata da Michel Contat e attualmente coordinata da Jean Bourgault e Gilles Philippe, sta preparando un’edizione critica completa. Il percorso che ho seguito per sviluppare la mia tesi, ricostruendo la genesi delle due Conferenze e offrendone un contesto interpretativo, è articolato in tre capitoli e un’appendice. Il primo capitolo, intitolato Dalla libertà in situazione alla ricerca di un senso della storia: Sartre e la “questione morale”, è dedicato a una ricostruzione della genesi della Critica della ragione dialettica sartriana – a partire dall’impossibilità di realizzare una morale conseguente con le acquisizioni sulla realtà-umana de l’Essere e il nulla – e dei suoi contenuti fondamentali a proposito del rapporto tra l’insopprimibile spontaneità della coscienza umana e l’ineluttabilità di un processo storico condizionato dalla penuria e ostacolato dal pratico-inerte. Il capitolo inizia con una presentazione critica del dibattito storiografico sui temi storico-morali nel pensiero di Sartre, iniziato nel 1947 con l’uscita di Le problème moral dans la pensée de Sartre di Francis Jeanson e culminato nel lavoro di Arno Münster, Sartre et la morale (2007), la prima opera all’interno della quale è dedicato uno spazio significativo alla Conferenza Etica e società, considerata non solo come prova della centralità della morale nella filosofia di Sartre, ma anche come momento essenziale della riflessione sulla dialettica storica. A ciò fa seguito la ricostruzione dell’origine dell’interesse di Sartre per tali temi. L’indagine è compiuta sulla scorta delle testimonianze autobiografiche e biografiche (da Les Mots all’Autoportrait à soixante-dix ans, passando per le numerose interviste e le testimonianze di Simone de Beauvoir e Michel Contat), delle opere letterarie (specialmente la raccolta di racconti Le Mur e il romanzo la Nausée, ma anche le opere teatrali come Les Mouches e Le Diable et le Bon Dieu), degli scritti di matrice fenomenologica e, soprattutto, dei Carnets de la drôle de guerre, documento in presa diretta dell’incontro di Sartre con la Storia. L’individualista d’anteguerra, l’autore de La nausea che sognava una morale della redenzione tramite l’opera d’arte, viene congedato per far spazio a un Sartre più responsabile, socialmente consapevole e politicamente impegnato, consapevole del suo posto nella storia e dell’enormità degli eventi in cui si trova coinvolto. Su queste nuove basi Sartre innesta la riflessione sull’ambiguità della Storia, centrale nei Cahiers pour une morale e preparatoria rispetto alle Questions de méthode e al confronto con il marxismo. Quando la possibilità di una struttura intersoggettiva aperta alla sola trascendenza (cioè capace di infrangere la catena delle alienazioni che costituiscono la storia) si rivela infondata, l’unica autentica possibilità di liberazione sarebbe l’eliminazione dell’alterità in tutte le sue forme, impossibile per la struttura esistenziale dell’uomo: «Non si può fare la conversione da soli. In altre parole, la morale è possibile solo se tutti sono morali». È proprio da questa sorta di impasse che matura in Sartre la necessità di interrogarsi sulle possibilità della propria filosofia, interamente basata sul concetto di libertà assoluta dell’individuo, di dar conto della logica opprimente della storia. La sua riflessione avrà come esito l’abbandono del progetto di pubblicare un saggio compiuto sulla morale e l’avvio di un’impresa sistematica per fondare una dialettica della storia per il XX secolo. L’analisi che ho sin qui intrapreso procede allora con la ricostruzione delle categorie dell’antropologia storica (come il rapporto circolare tra serie e gruppo e lo statuto di contro-finalità tipico del pratico-inerte) della Teoria degli insiemi pratici, il primo volume della Critica della ragione dialettica, per concludersi con le riflessioni sulla Histoire trouée e sulla totalisation d’enveloppement, caratteristiche del secondo volume su L’intelligibilità della storia. Nel secondo capitolo della tesi, intitolato Alle fonti della dialettica sartriana: Sartre lettore di Hegel e di Marx, ho analizzato in che modo – in modo particolare attraverso la mediazione di Kojève e di Hyppoliyte – Sartre abbia respirato il clima della Hegel-Renaissance nella Parigi della prima metà del Novecento e sia in questo modo entrato in contatto con la Fenomenologia dello spirito. Figure come la dialettica servo-padrone e la coscienza infelice non si limitano a lasciare un’eco importante ne L’essere e il nulla, come documenta l’importante opera di Judith Butler Subjects of Desire, dedicata alla ricezione di Hegel nella filosofia francese del XX secolo, ma sono altresì materiale essenziale per la comprensione delle categorie antropologiche della Critica quali il gruppo in fusione o il pratico-inerte. Inoltre ho esaminato l’influenza della dialettica della storia, la cui centralità caratterizza il sistema di Hegel, nello sviluppo del pensiero sartriano. Passando al rapporto tra il pensiero di Sartre e la dialettica marxiana della storia, ho evidenziato come uno degli aspetti più controversi della figura di Sartre come marxista “eretico” sia il suo continuo tentativo di separare il materialismo storico dal materialismo dialettico, oltre all’aver privilegiato gli scritti giovanili, senza però trascurare il Capitale. Ho utilizzato le Questions de méthode e i materiali sulla Rivoluzione Francese mai confluiti nella Critique e ora pubblicati dalla rivista «Études Sartriennes» per mostrare come la “scoperta” sartriana del marxismo sia avvenuta grazie al 18 brumaio di Luigi Bonaparte. Inoltre ho messo in evidenza – sulla scorta della Critica del programma di Gotha – i punti di contatto tra l’immagine dell’uomo “onnilaterale” di Marx e la riflessione sartriana sulla réalité-humaine. Il terzo e ultimo capitolo della tesi, intitolato La “dialettica in cammino”: le Conferenze di Roma, ho ripreso le fila del discorso sartriano alla luce dei testi successivi alla Critica e in particolare delle due conferenze tenute all’Istituto Gramsci di Roma, dedicate rispettivamente a Marxismo e soggettività (12 dicembre 1961) e a Etica e società (23 maggio 1964). La mia scelta è stata motivata dal fatto che le note per le conferenze di Roma – delle quali ci sono pervenute 165 pagine manoscritte e 139 pagine dattiloscritte – restano indubbiamente le più compiute fra le pagine dedicate da Sartre all’etica dialettica e si aprono con questa frase, che contiene già in sé l’indirizzo programmatico dell’intero corpus concernente questa “seconda etica”: «La nostra riunione prova che per il socialismo è venuto il momento storico di ritrovare la sua struttura etica, o meglio di alzare il velo su di essa». La convinzione profonda di Sartre – abbozzata in modo ancora embrionale nei Quaderni per una morale, e poi alla base del progetto sviluppato nella Critica della ragione dialettica, portato in seguito ancora avanti negli scritti successivi, raccolti in edizione italiana in un’antologia dal titolo L’universale singolare, e infine testimoniato dalle due conferenze di Roma – era che il marxismo fosse l’«insuperabile filosofia del nostro tempo». Sartre, però, riteneva anche – e con altrettanta forza – che il pensiero originale di Marx fosse stato sepolto e dimenticato sotto interpretazioni che ne avevano deformato i tratti costitutivi per farlo divenire funzionale alla conservazione di regimi politici autoritari e basati sul capitalismo di Stato. La Critica doveva dunque servire a coniugare col marxismo le fondamentali acquisizioni che Sartre aveva laboriosamente maturato attraverso la sua formazione fenomenologica e la costruzione di una prospettiva esistenzialista. Seguendo l’esempio di Marx che, nella Tesi su Feuerbach, aveva sintetizzato l’intuizione feuerbachiana della natura concreta dell’uomo con quella hegeliana della sua storicità, Sartre nell’ultimo decennio della sua produzione filosofica tenta l’impossibile: mira cioè a fondare il sistema salvando l’individuo, trovare un senso alla storia umana senza rendere il singolo sacrificabile in nome di un’ideologia, pensare una rivoluzione che non trasformasse il gruppo in fusione in serialità e che determinasse un rinnovamento anche ontologico dell’essere umano, finalmente liberato dall’orizzonte della penuria. Con il passaggio dai Cahiers alla Critique de la raison dialectique, l’impostazione globale di Sartre è cambiata, divenendo più complessa. In particolare, il suo punto di vista sulle tematiche dell’oppressione e della rivolta ormai include anche la realtà socio-economica. Ogni filosofia viva è azione ed implica l’impegno pratico di uno o più uomini che tentino di realizzarla; da questo consegue che la sola ragione analitica non può più essere, per il Sartre della Critique, lo strumento adeguato per una ricerca attiva della verità umana. Soltanto una ragione dialettica permette di oltrepassare il livello della mera accumulazione di conoscenze parziali, al fine di tentare di comprendere la realtà concreta nel suo significato globale per poi migliorarla. Il metodo da seguire per giungere alla costituzione di una tale antropologia strutturale e storica è ugualmente un metodo dialettico, l’unico a giudizio di Sartre in grado di tener conto della complessità dei rapporti che legano gli uomini fra loro e con il mondo. Nella conferenza del 1961, Sartre fa notare che, nello spirito stesso dei testi di Marx, i concetti restano aperti ed appaiono al lettore come idee regolatrici, come principi direttivi e che in nessun caso si può tacciare il marxismo di essere una filosofia del sapere già totalizzato. La prima acquisizione del marxismo fatta propria da Sartre è l’aver definito la praxis un progetto incarnato nel mondo materiale, sociale e storico: da questo si desume il peso determinante della vita materiale e del lavoro dell’uomo sulla materia. La Storia umana deve globalmente essere compresa come storia della lotta di classe. Marx ha avuto inoltre ragione contro Hegel, avendo sostenuto la specificità e l’irriducibilità dell’esistenza umana, che il filosofo della Fenomenologia dello spirito aveva trascurato; e lo stesso Marx ha ragione anche contro Kierkegaard, che aveva sì considerato l’uomo concreto, ma trascurandone l’oggettiva realtà storica. Il marxismo avrà completato la sua funzione soltanto quando per tutti gli uomini del mondo esisterà un margine di libertà reale al di là della produzione e della sottomissione al mondo materiale. Nelle Questions de méthode che costituiscono l’introduzione ai due tomi della Critica della ragione dialettica, Sartre manifesta il proprio accordo con il materialismo storico: il corpo dell’opera avrà il ruolo di fondare filosoficamente e praticamente questa adesione. In particolare, il primo volume porrà le basi dialettiche di un’antropologia strutturale, ed il secondo – rimasto incompiuto – porrà la questione dell’intelligibilità della Storia concreta. La Conferenza del 1964 è dedicata al paradosso della necessità/impossibilità della morale nella società dell’oppressione, in seno alla quale l’uomo diviene inevitabilmente il prodotto dei suoi prodotti, dato che il senso delle azioni è suscettibile di essere pervertito dall’alienazione. Il pratico-inerte ha un’esistenza reale poiché la praxis vissuta è legata alla materia ed ogni società è attraversata dalla passività. Nel pratico-inerte la reciprocità dei rapporti umani è il più delle volte negata a vantaggio della serialità. Nella serialità domina la mutua indifferenza, e l’eventuale raggruppamento è solo la riunione di una pluralità di solitudini: gli individui sono assolutamente intercambiabili. Ciascuno è di troppo per gli altri. Le conclusioni (provvisorie) di Sartre in ambito etico sono oggetto delle riflessioni che concludono il terzo capitolo di questa tesi. Nell’ambiguità del pratico-inerte, in cui ogni morale è per forza di cose contraddittoria, la coscienza di classe è la sola manifestazione di lucidità, il riconoscimento che la società si trova ad essere divisa in classi antagoniste per il fatto contingente e storico del règne de la rareté. In ogni istante possono verificarsi prima una rottura e poi l’oltrepassamento dell’essere seriale. Negando l’exis seriale, la classe sociale assume una nuova dimensione, incentrata non più sulla passività, ma sull’organizzazione attiva. L’atto comune – che è l’atto costitutivo del gruppo e la cui responsabilità è condivisa dagli agenti individuali – si realizza a partire dal rifiuto radicale della separazione, della distruzione collettiva che minaccia in ogni istante la fragile e dispersa molteplicità seriale. Nella Critique, Sartre aveva introdotto il concetto di Apocalisse, per indicare la dissoluzione – sempre possibile, anche se mai necessaria – della serie nel gruppo in fusione. Sotto la pressione esterna di una praxis consapevolmente vissuta come terza, i membri di una classe oppressa possono passare dall’informe stato collettivo alla praxis rivoluzionaria di gruppo. Non c’è nulla di magico o di irrazionale in questo processo che porta a concepire la serialità non più come un destino, ma come una passività superabile: si tratta della reinteriorizzazione di una reciprocità fra i diversi individui che formano il gruppo. I limiti della praxis di gruppo sono tanto dei limiti esterni, ovvero tutte le resistenze materiali proprie di certe situazioni particolari, così come dei limiti interni. Il gruppo in fusione è ancora senza strutture e senza gerarchie, e si caratterizza come l’esatto opposto della serialità. Se in precedenza, difatti, l’unità era del tutto esterna alla serie, realizzata soltanto dallo sguardo reificante del Terzo, che è l’evoluzione del concetto di alterità de L’essere e il nulla, ora l’unità è interna al gruppo e fondata sulla reciprocità delle relazioni al suo interno. Nel gruppo i progetti liberi e singolari convergono e si identificano in un progetto comune, secondo i canoni di una reciprocità mediata. L’ulteriore caratteristica distintiva del gruppo nella visione sartriana è che esso è orientato a uno scopo ben preciso – e condiviso –, e una volta che lo ha raggiunto, deve fissarne di ulteriori oppure è ineludibilmente condannato a ricadere nell’anonimato della serialità. Se nella Critique il paradigma del rapporto circolare tra inerzia della serialità e vitalità della praxis del gruppo in fusione era quasi completamente affidato all’analisi della Rivoluzione Francese, nella Conferenza del 1964 ampio spazio viene dedicato alla lotta contro la dominazione coloniale francese intrapresa pochi anni prima dai rivoluzionari algerini. Il lavoro si chiude con un’Appendice dedicata a un lessico sartriano per le Conferenze di Roma in cui mi sono impegnata a ricostruire l’evoluzione del linguaggio di Sartre, contraddistinto dal forte potere evocativo, ma anche da una costitutiva e rivendicata ambiguità, e a creare in questo modo un glossario che contenesse tutti i termini caratteristici della fase “dialettica” del suo pensiero, il cui significato è il presupposto implicito per una lettura filosofica delle Conferenze, che in questo senso rappresentano un documento inestimabile della stretta relazione che intercorre tra i due tomi della Critique.
URI: http://hdl.handle.net/2307/4080
Diritti di Accesso: info:eu-repo/semantics/openAccess
È visualizzato nelle collezioni:Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo
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