Please use this identifier to cite or link to this item: http://hdl.handle.net/2307/40455
Title: Le "pericolose" : detenute e internate negli archivi del Santa Maria della Pietà (1900-1915) : una ricerca socio-antropologica
Authors: Crognale, Maria Bambina
Advisor: Fusaschi, Michela
Keywords: DONNE
PERICOLOSITA'
FOLLIA
INTERNAMENTO
DETENZIONE
Issue Date: 12-Jun-2017
Publisher: Università degli studi Roma Tre
Abstract: La ricerca nasce sfogliando le “carte della follia”, conservate presso l’archivio storico del manicomio Santa Maria della Pietà di Roma e analizza l’esperienza della follia intesa “come mezzo con cui gli uomini, nel gesto di sovrana ragione che chiude il prossimo in manicomio, comunicano e si riconoscono attraverso il linguaggio spietato della non-follia” . La ricerca si concentra sull’esperienza di internamento di 18 donne, condannate dalla giustizia, e rinchiuse nel manicomio romano, tra il 1900 e il 1915, per pericolosità sociale. Cerca attraverso le parole usate dai medici, nella compilazione dei diari e dei registri nosografici, attraverso i documenti amministrativi prodotti dalle istituzioni carcerarie e mediche, attraverso la corrispondenza che le ricoverate hanno intrattenuto con i propri familiari, di far emergere delle soggettività, delle personalità attive che hanno vissuto la malattia mentale come un momento di rottura con il proprio contesto culturale. La traduzione dei documenti presenti nei fascicoli personali, delle lettere scritte a mano, delle note e delle analisi riportate nelle cartelle cliniche, permette di osservare come le detenute rinchiuse presso il Santa Maria della Pietà hanno subito, nell’esperienza dell’internamento, un processo di riduzione del sé e una successiva oggettivazione , tale da renderle, agli occhi dei medici, semplici oggetti di conoscenza, corpi inermi da neutralizzare, osservare e analizzare, in virtù di un ordine discorsivo che proponeva stereotipi e modelli tesi a limitare l’esercizio della libertà. L’esperienza della follia per le detenute internate, appare quindi, come l’esperienza del diverso, tra i presunti uguali, che vivono dentro la stessa società. In questo senso le detenute, internate al Santa Maria della Pietà di Roma, sono portatrici di un antagonismo, a volte nascosto dalla storia, che ha messo in evidenza le disfunzioni, le contraddizioni e le pretese dei dispositivi incaricati di controllarla. Le loro storie saranno analizzate cercando un punto di incontro tra due momenti differenti, quello dell’ esclusione sociale e quello dell’emersione delle soggettività, che implicano la necessità di uno sguardo poetico sull’esperienza della follia, di una poetica della relazione, che diventa necessariamente etica dell’accettazione, del riconoscimento e dell’accoglienza dell’altro e del suo “entour” . La sofferenza psichica delle detenute-internate è una sofferenza che non può essere ridotta né a un’interpretazione biologica del dolore, né alla sola interpretazione culturale. E’ una sofferenza che si manifesta nei significati personali e nelle relazioni interpersonali del contesto locale e che non può non tenere conto dell’esperienza della presunta malata, di come vive se stessa nel mondo che la circonda, del suo corpo. Il corpo della detenuta internata non viene osservato, nella ricerca, come una semplice entità passiva chiusa nel mondo della psichiatria e dell’organicismo, ma come soggetto di processi culturali, produttore di significati. L’esperienza corporea appare, in questa prospettiva, una modalità di posizionamento delle detenute nel mondo sociale e la malattia, la follia, un ambito in cui emerge la dimensione dinamica del corpo. Ed è a questo livello che la malattia mentale può essere letta come un momento di resistenza all’ordine costituito, come un linguaggio in grado di mostrare il disagio, in assenza di altri canali per manifestare la propria indignazione nei confronti dell’ordine sociale. La malattia mentale, la follia, assurge così a prodotto e forma di resistenza a ideologie dominanti. “Prodotto delle ideologie dominanti perché conseguenza del disagio derivante dal sistema sociale”, ma “anche forma di resistenza a quelle stesse ideologie dominanti nella misura in cui il disagio somatico emerge come forma di critica incarnata dell’egemonia, come un riposizionamento soggettivo rispetto al mondo sociale iscritto nel corpo stesso”.
URI: http://hdl.handle.net/2307/40455
Access Rights: info:eu-repo/semantics/openAccess
Appears in Collections:Dipartimento di Scienze Politiche
T - Tesi di dottorato

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