Please use this identifier to cite or link to this item: http://hdl.handle.net/2307/40429
Title: Il rito sacrificale nella filosofia di Giamblico e Giuliano Imperatore
Authors: Zeper, Eleonora
Advisor: Chiaradonna, Riccardo
Keywords: Sacrificio
Giamblico
Giuliano imperatore
Anima
Issue Date: 8-May-2017
Publisher: Università degli studi Roma Tre
Abstract: Nella tarda antichità la riflessione filosofica sul tema del sacrificio animale assume una forma più definita rispetto al passato. Con l’affermazione del cristianesimo, infatti, la questione dell’intervento del filosofo ellenico nella realtà politico-sociale è anche quella del culto. Il presente lavoro ha lo scopo di studiare la concezione del sacrificio in Giamblico di Calcide (~250-ante 325) e in Flavio Claudio Giuliano (331-363). Nell’introduzione si presenta un problema al quale si offrirà soluzione solo alla fine del percorso, quello cioè del rapporto fra statuto dell’anima umana e atto sacro. La dottrina dell’anima mediatrice risulterà, infatti, intimamente legata alla rivalutazione giamblichea del mondo fisico e dell’intervento dell’uomo in esso. Il tentativo finale sarà quello di capire le ragioni profonde dell’importanza che i due autori attribuiscono al sacrificio e di comprenderne appieno il significato in relazione alla vicenda dell’anima. Il testo si struttura in cinque capitoli di diversa lunghezza: due dedicati a Giamblico, due a Giuliano Imperatore e infine un capitolo conclusivo. I primi due sono più lunghi rispetto agli altri poiché sarà necessario, per ragioni letterarie e storiche, far costante riferimento a Porfirio di Tiro (~234-304/305). Nel primo capitolo ci si occupa nello specifico della concezione giamblichea di sacrificio. Il testo di riferimento è il De mysteriis/Ad Porphyrium. Si parla dapprima del valore anagogico e del potere autonomo e bidirezionale del rito, capace tanto di inserirsi nel mondo della manifestazione quanto di condurre, in virtù della sua posizione intermedia fra sfera umana e divina, il teurgo al dio. Si prende poi in esame il discorso di Giamblico sul tema della preghiera, esponendo le differenze fra la sua concezione e quella porfiriana. Nella seconda parte del capitolo si offre una breve analisi della teoria sacrificale che Porfirio propone nel secondo libro del suo De Abstinentia e si passa poi a illustrare nel dettaglio la sezione del De mysteriis/Ad Porphyrium dedicata al sacrificio. Si paragonano le due trattazioni, dando particolare risalto al dibattito sul sacrificio animale. Ci si sofferma poi sull’antropologia giamblichea in relazione al culto, ponendo a confronto la tripartizione del genere umano operata da Giamblico con il dualismo antropologico porfiriano. Si tenta infine di spiegare le differenze fra i due pensatori in merito all’atto sacro tanto da una prospettiva più specificamente filosofica quanto da una storico-politica e letteraria. La parte finale del capitolo ruota attorno al valore che Giamblico attribuisce al concetto di µεσότης nella sua teoria sacrificale e alla portata filosofica che tale concetto assume per la considerazione del mondo fisico. Si osserva come la soluzione giamblichea al rapporto Mondo-mondo – inteso come l’insieme delle reciproche relazioni fra la rivalutazione filosofica della realtà sensibile (Mondo) e la necessità di salvare la propria realtà culturale (mondo) – consista nell’importanza che il filosofo attribuisce al piano intermedio: il ruolo che assegna al sacrificio cruento si iscrive in questo disegno. Nel secondo capitolo l’intenzione è quella di dimostrare come la teoria sacrificale di Giamblico abbia valore politico. Dopo una breve esposizione della politica religiosa imperiale del periodo, si prende in esame il ben noto anticristianesimo di Porfirio e il suo supposto coinvolgimento nei prodromi della Grande Persecuzione dioclezianea (302-311/313). Secondo l’interpretazione che si propone la politica religiosa giamblichea si articola per contrasto con quella porfiriana e il pensiero politico dei due risulta sempre legato al rispettivo pensiero filosofico. Si osserva infatti come Giamblico offra delle indicazioni di natura politica non solo nel suo epistolario, ma anche tramite la sua teoria sacrificale: fare politica con la filosofia è infatti una condotta che ben si accorda con quel neoplatonismo politico del quale in molti hanno giustamente parlato negli ultimi decenni. L’importanza che Giamblico attribuisce all’atto sacro come intervento necessario tanto per la comunità quanto per il singolo ha dunque delle notevoli implicazioni politiche. Nel terzo capitolo si intende dimostrare come Giuliano abbia intenzione di mettere in pratica nella sua azione di governo quelle indicazioni politico-religiose rilevate nelle opere di Giamblico. L’imperatore si ispira infatti al filosofo per la sua concezione del sacrificio, per la volontà di applicazione di un modello divino alla società umana e per l’idea del sovrano come mediatore fra uomini e dèi. Si considera in primo luogo la concezione giulianea del tempo e della storia, ponendo particolare attenzione al ruolo che in essa il princeps si assegna. Si propone poi, al fine di stabilire con precisione la funzione centrale del sacrificio all’interno di tale visione del mondo, un’analisi del lessico giulianeo relativo alla sfera semantica del tempo. Il fine del capitolo è di determinare il ruolo del sacrificio nel pensiero di Giuliano e di dimostrare come, attraverso la sua politica religiosa, questi voglia attuare una sorta di filosofia attraverso gli atti: dalla politica con la filosofia di Giamblico si passa dunque alla filosofia con la politica di Giuliano. La via attiva del re sacerdote si configura pertanto come forma in atto della rivalutazione giamblichea del piano della µεσότης come luogo della κοινωνία fra uomini e dèi. Nel quarto capitolo si continua a parlare della concezione giulianea del sacrificio, ma da una prospettiva differente, ossia come strumento privilegiato di ὁµοίωσις θεῷ, “assimilazione al dio”, e dunque come primo mezzo per raggiungere quell’εὐδαιµονία che tale assimilazione comporta: lo scopo è quello di provare come il fine dell’esistenza di un filosofo al potere come Giuliano coincida naturalmente con quello della comunità di cui è a capo. Si esamina dapprima l’uso della formula in Plotino e in Giamblico; poi, considerando le debite somiglianze e differenze, si passa al suo impiego in Giuliano e in Saturnino Secondo Salustio (floruit 360-367), fido collaboratore del princeps e suo portavoce. Si ha così occasione di presentare nel dettaglio la giustificazione teorica del sacrificio animale fornita dalla cerchia giulianea. Il quinto capitolo ha valore conclusivo e si propone di indagare il ruolo di protagonista del sacrificio che ha l’anima in entrambi gli autori considerati. Dopo aver ripreso in breve la dottrina giamblichea dell’anima mediatrice, ci si occupa della trattazione del tema in Giuliano: anche in questo caso il pensiero giulianeo viene fatto derivare, sebbene per via indiretta e con le debite semplificazioni, da quello giamblicheo. Si intende studiare il rapporto fra posizione intermedia del culto e posizione intermedia dell’anima e scoprire le ragioni per le quali il sacrificio sia occasione di salvezza tanto per l’uomo singolo quanto per la comunità umana nel suo complesso. A partire dall’analisi fin qui condotta si punta infine ad esprimere un’opinione sulla questione del rapporto fra statuto dell’anima umana e importanza conferita al rito dai tardi neoplatonici. Il fine ultimo sarà la piena comprensione del significato del sacrificio: a partire da Giamblico e Giuliano, massimi teorici dell’argomento, sarà infatti possibile un discorso più generale sul suo più intimo valore.
URI: http://hdl.handle.net/2307/40429
Access Rights: info:eu-repo/semantics/openAccess
Appears in Collections:Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo
T - Tesi di dottorato

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