Please use this identifier to cite or link to this item: http://hdl.handle.net/2307/40337
Title: La società che ride
Authors: Galella, Luigi
Advisor: D'Angelo, Paolo
Keywords: riso
umorismo
spettacolo
comicità
Issue Date: 22-Oct-2018
Publisher: Università degli studi Roma Tre
Abstract: Ho affrontato qui il tema del riso sia in una prospettiva antropologica ed evoluzionistica, interrogandomi sulle sue origini, sia in una dinamica sociale ed estetica, riguardo al presente. Il concetto è enigmatico e potente e lega l'ambito scientifico a quello filosofico-letterario. L'ipotesi che si avanza è che l'indagine sulla natura della risata aiuti a comprendere l'evoluzione della scimmia bipede e la nascita del linguaggio. Secondo recenti teorie, infatti, diventare bipedi è stato necessario per imparare a parlare. Ma se il riso, come sembra, precede e prepara la stessa struttura del linguaggio, essendo ricondotto a una sorta di suono vocalico balbettato, esso diviene una sonda che consente di relazionare il meccanismo ilare-linguistico degli scimpanzé, come modello ancestrale, con la variante umana, collocabile a circa sei milioni di anni fa, dopo il distacco dagli altri primati. Lo studio della risata suggerisce pertanto una feconda strada da percorrere, che connette l'evoluzione dell'andatura eretta, della respirazione e del linguaggio. In tal modo, se sono vere queste premesse, anche l'interpretazione del presente cambia di segno. Ma c'era un'altra questione preliminare da affrontare: non quando nasca il riso, ma perché si ride. Ad esempio di un uomo che scende le scale e improvvisamente scivola e cade. L'andatura bipede, definita dagli antropologi “bizzarra” o “fragile”, mi è parsa offrire di per sé una risposta, che ho sintetizzato nella formula del “quadrupede che ride del bipede”, a significare la compresenza negli uomini di due nature, e del desiderio di abbassare la seconda al livello della prima, quando se ne presenta l'opportunità, come risposta istintuale all'ambizioso affronto del distacco bipede. Riguardo al presente sono partito dalla fortunata definizione di “società dello spettacolo” o altrimenti detta “umoristica”. E dalle difformi interpretazioni che se ne danno, alcune di natura apocalittica, come nel caso di Postman e di Vargas Llosa. Il mio personale punto di vista è molto meno critico e individua nel riso e nel “comico” contemporaneo una sorta di “saggezza”, che ricorda quella del Democrito apocrifo del Romanzo di Ippocrate: il filosofo che ride. La “società che ride”, grazie ai media elettronici, è di sicuro meno “colta” di quella precedente. Avviata com'è verso quella che Ong definisce l'era dell' “oralità secondaria”, concentrata sul presente e sulla “mistica partecipatoria”. Ma è una società che ha appreso a ridere di sé. Dell'aspetto complesso e illusorio della realtà, di fronte al quale manifesta una saggezza preventiva. Che la induce a ridere o sorridere, prima ancora che cada sulla buccia di banana, che la insidia quotidianamente. Meno verticistica. Una società che ha rotto la barriera fra sala e palco e in cui spettatore e attore si confondono. In una volontà di rinnovamento, che ricorda la festa carnevalesca descritta da Bachtin.
URI: http://hdl.handle.net/2307/40337
Access Rights: info:eu-repo/semantics/openAccess
Appears in Collections:Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo
T - Tesi di dottorato

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