Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: http://hdl.handle.net/2307/3882
Titolo: Nomi deverbali nel continuum nome/verbo : il caso del greco antico
Autori: Civilleri, Olga Germana
Relatore: Simone, Raffaele
Data di pubblicazione: 7-apr-2011
Editore: Università degli studi Roma Tre
Abstract: Questo lavoro si propone di analizzare le strategie di derivazione di nomi a partire da basi predicative – che chiameremo semplicemente “nomi deverbali” – nel greco antico, nel duplice intento di associare ad ognuna di queste uno specifico valore semantico (laddove esistente) e di sistematizzarle all’interno di un quadro coerente sulla base di parametri determinati. Una singola porzione del cosiddetto continuum nome/verbo – cioè la formazione dei nomi deverbali – è stata studiata al suo interno piuttosto che nella relazione con altri fenomeni del continuum. In questa categoria, al suo interno ricca ed eterogenea, si è cercato di individuare delle classi omogenee e di sistematizzarle sulla base di criteri che ne rivelassero il grado di verbalità. Si è cioè tentato di ordinare le diverse regole di derivazione di nomi deverbali su una scala di verbalità. Allo scopo di fornire, quindi, un adeguato sfondo teorico a questa operazione, nel Cap. 1 sono stati innanzitutto delineati i contorni della questione del continuum nome-verbo: dopo una ricognizione – per quanto possibile snella – della principale letteratura prodotta in merito, il focus è stato subito posto in modo più specifico sulle nominalizzazioni. È stata quindi fornita un’adeguata definizione di ciò che si intende per nominalizzazione partendo dalla prima formulazione di questo concetto ad opera di Lees (1960), passando per le rielaborazioni di Chomsky (1970), Comrie (1976), Lehmann (1982), Hopper-Thompson (1985), Langacker (1987), Koptjevskaja-Tamm (1993), fino ad arrivare a definizioni più moderne come quelle di Givón (2001) e Simone (2007). Nel resto del capitolo, quindi, lo sguardo si restringe sulle nominalizzazioni che chiamiamo morfologiche, in cui si collocano appunto i nomi deverbali. Viene inoltre evidenziata la funzione “creativa” di questo tipo di nominalizzazioni nel lessico, che esse contribuiscono ad arricchire in maniera più o meno sistematica. Nel Cap. 2 viene illustrata la straordinaria ricchezza morfologica del greco antico, che lo rende una lingua particolarmente interessante per analizzare le strategie di derivazione. Nel corso del capitolo si affronta il problema dell’articolazione delle parole complesse in livelli morfologici e ci si sofferma a lungo sul concetto di radice predicativa come base di partenza per la formazione di nomi deverbali. Infine, nella seconda parte del capitolo, si entra nel merito delle specifiche strategie morfologiche che formano nomi deverbali in greco antico, cioè la suffissazione e l’apofonia. Contemporaneamente vengono anche presentati i criteri guida che serviranno per l’analisi dei dati nella Parte II del lavoro e viene esposto un concetto fondamentale nel corso della ricerca per spiegare la perdita di trasparenza della relazione semantica tra la base predicativa e la parola risultante dall’applicazione della regola di derivazione, cioè il concetto di lessicalizzazione. Le regole di formazione di parola sono piuttosto chiare da un punto di vista formale. Ciò che invece non è palese è quale sia la controparte semantica di tali regole morfologiche. Nel Cap. 3 si delineano in linea teorica gli aspetti semantici dei possibili pattern di derivazione lessicale, definiti come “operazioni lessicali” in quanto operazioni volte alla formazione di nuove unità lessicali. Il proposito è infatti di delineare almeno gli aspetti semantici “centrali” delle possibili operazioni lessicali, a partire dai quali è possibile fornire spiegazioni plausibili per gli sviluppi semantici “periferici”. Nel Cap. 4 si prende in considerazione un parametro sintattico, cioè la presenza di una struttura argomentale retta dai nomi deverbali. Cercando di delineare le principali differenze tra la struttura argomentale dei sintagmi verbali e quella retta dai nomi deverbali, si connette la presenza di quest’ultima al fatto che i nomi dai quali essa dipende sono caratterizzati al loro interno da una struttura eventiva e da una struttura aspettuale. Quindi vengono passate in rassegna preliminarmente le varie tipologie di strutture argomentali rette dai nomi deverbali in una lingua come il greco antico. Nel corso della ricerca ci si serve delle evidenze di strutture argomentali fornite dal nostro corpus come indicatori della struttura semantica dei loro nomi testa. La seconda parte della tesi è dedicata all’analisi dei dati. Nel Cap. 5 si presenta il corpus sul quale tale analisi è svolta (il Simposio di Platone, l’Antica Medicina di Ippocrate e il Manuale di Epitteto), motivandone la scelta. Nei Cap. 6 e 7 si procede infine con l’analisi dei lessemi individuati, raggruppati – in base ai presupposti teorici esposti nella prima parte del lavoro – rispettivamente per suffissi e per gradi apofonici. Se da un lato l’analisi talvolta conferma quanto già era noto (spesso solo intuitivamente) sulla semantica di singoli suffissi – riformulandolo su basi più “moderne” e spiegando gli esempi periferici delle varie classi tramite il ricorso al concetto di lessicalizzazione –, dall’altro lato l’adozione di un corpus consente di chiarire le interrelazioni tra i suffissi (differenze di produttività, opposizioni, distribuzioni complementari, sovrapposizioni) anche in diacronia (grazie soprattutto all’accostamento con il corpus omerico). Del resto la scelta di un corpus di greco antico, in virtù della ricchezza morfologica che caratterizza questa lingua, consente di avere un quadro ampio su una varietà di fenomeni (concatenativi e introflessivi, produttivi e non produttivi, trasparenti e opachi, ecc…).
URI: http://hdl.handle.net/2307/3882
Diritti di Accesso: info:eu-repo/semantics/openAccess
È visualizzato nelle collezioni:X_Dipartimento di Linguistica
T - Tesi di dottorato

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