Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: http://hdl.handle.net/2307/3875
Titolo: La conoscenza del sé tra prima e terza persona : un'indagine sulla filosofia della psicologia di G.H.Mead.
Autori: Baggio, Guido
Relatore: Calcaterra, Rosa
Data di pubblicazione: 23-mar-2012
Editore: Università degli studi Roma Tre
Abstract: In riferimento al ruolo che natura e cultura rivestono nella possibilità della conoscenza di sé, la tesi intende svolgere un lavoro di ricostruzione storica e di analisi teoretica del pensiero di G. H. Mead che ha lo scopo di offrire una nuova prospettiva da cui considerare la teoria del Sé sociale. Nei primi due capitoli della tesi viene tracciato, attraverso una ricostruzione storico-teoretica, il quadro concettuale alla base della teoria del Sé sociale di Mead, evidenziando come gli aspetti centrali della teoria meadiana siano presenti sin dai primi anni di produzione del filosofo di Chicago. Nostro intento è quello di evidenziare, da un lato la genesi delle nozioni cardine della psicologia sociale meadiana, dall’altro il ruolo che la relazione Mead-Dewey ha avuto in questo processo. Per tale ragione nel primo capitolo il confronto con Dewey si mostra più serrato e diretto, mentre nel secondo capitolo l’interesse verte maggiormente sugli scritti meadiani successivi al 1904, ovvero successivi alla partenza di Dewey da Chicago. In questi primi anni Mead giunge a tracciare nei suoi tratti generali una teoria psicologica che include tanto lo studio dei meccanismi fisiologici in quanto elementi che presentano caratteri sociali pre-razionali, quanto lo studio delle dinamiche di comunicazione in quanto espressione gestuale delle emozioni e punto di partenza per lo sviluppo della coscienza. Questo ci permette di approntare un confronto con le più recenti scoperte riguardanti il sistema mirror, affinità che aprono la strada ad una possibile riattualizzazione delle intuizioni meadiane in riferimento alla recente ipotesi sull’origine del linguaggio umano dal gesto e dell’ipotesi riguardo alla spiegazione filogenetica del legame tra teoria della mente e linguaggio. Per quanto l’intento esplicito di una ricostruzione storico-teoretica riguardi prevalentemente i primi due capitoli, la tesi segue il percorso cronologico degli scritti di Mead anche nel terzo e nel quarto capitolo. Tanto il terzo che il quarto capitolo, infatti, si occupano rispettivamente della fase 2 successiva al 1913 e dell’ultima fase connessa maggiormente all’interesse di Mead per la filosofia di Bergson e di Whitehead. Il terzo capitolo si occupa di valutare affinità e discordanze della psicologia sociale di Mead con il comportamentismo di Watson, suo diretto riferimento negli scritti degli anni ’20, e con i comportamentismi di Ryle, Rachlin e Staats. Dopo aver argomentato contro una identificazione di Mead come comportamentista strictu sensu e a favore di una interpretazione del comportamentismo in termini “deweyani”, mettiamo a confronto la psicologia sociale di Mead con i comportamentismi di Ryle e di Rachlin, che in qualche modo si rivelano più affini all’idea di comportamento di Mead ma che si mostrano, ad un’attenta analisi, differenti in impostazione, soprattutto per la distinzione formulata da Mead tra esperienze riflessive ed esperienze soggettive, quest’ultime essendo esperienze conoscibili solo dal soggetto che le vive e quindi non conoscibili da altri attraverso l’osservazione del comportamento. Questo elemento di distinzione ci permette di impostare una riflessione sul problema della conoscenza delle menti altrui, argomentando a favore di un superamento dei limiti dell’argomentazione per analogia attraverso l’assunzione della prospettiva meadiana della formazione del Sé nell’interazione sociale. Presupporre, infatti, l’interazione sociale alla formazione del Sé legittima l’idea della possibilità di una comprensione dell’altro che non si serve di una inferenza logica dal nostro stato a quello dell’altro, quanto della nostra capacità di comprendere l’atteggiamento della persona che abbiamo davanti, di sentire quello che prova, attraverso ciò che Mead indica come una capacità innata di riconoscere gli altri Sé: un uomo è per un altro uomo – sostiene Mead – molto più che un oggetto fisico ed è quel «“più” a farne un oggetto sociale, o Sé, ed è questo Sé a essere connesso a quella condotta particolare che possiamo chiamare condotta sociale».1 Ciò comporta che solo nell’esperienza di relazione si può rintracciare la condizione di possibilità per la comprensione degli altri, nei limiti, però, degli elementi rintracciabili nel comportamento e nel linguaggio. Il comportamentismo sociale di Staats, invece, viene preso in considerazione per il fatto che nella delineazione della propria teoria psicologica Mead assumerebbe, secondo alcuni interpreti, la prospettiva di un “comportamentista sociale”. Abbiamo quindi voluto vedere se qualche affinità sia presente fra il rigore metodologico di Staats e il procedimento dialettico di Mead. Nel quarto capitolo spostiamo la nostra indagine dall’analisi delle condizioni – fisiologiche e sociali – di possibilità di comprensione degli altri, all’analisi sulle condizioni di possibilità, da parte del soggetto umano, di conoscere i propri stati interiori e di esprimerli. In particolare, nel quarto capitolo si analizza il contributo che le filosofie di Bergson e di Whitehead hanno dato alla teoriadel sé sociale di Mead per la risoluzione del problema della conoscenza degli stati soggettivi e della possibilità di una loro espressione pubblica. Sebbene nel terzo capitolo venga affermato che gli altri non possono sapere cosa un individuo stia provando o pensando a meno che questi non decida di esprimerlo, ciò non significa che l’accesso privilegiato permetta di avere sempre un’immagine chiara e distinta da parte dell’individuo riguardo alle esperienze soggettive. L’indefinibilità, l’indescrivibilità esaustiva e la mutabilità sono caratteri di tali esperienze che spesso comportano una difficoltà nella possibilità di attribuire loro un significato e di esprimerle. Mead sostiene, però, che sebbene lo psichico non riesca ad oggettivarsi, lasciando all’individuo la propria esperienza isolata, allo stesso tempo esso «invita a una ricostruzione ed interpretazione; di modo che possa essere scoperto il suo carattere oggettivo», e questo perché, essendo il frutto di una interazione con l’ambiente esso presenta degli «elementi oggettivi» che ci permettono di non brancolare completamente nel buio.2 La lettura meadiana della teoria della relatività di Whitehead in chiave di psicologia sociale permette di ribattere alla prospettiva solipsistica di Bergson riguardo alla possibilità di conoscenza delle esperienze soggettive e alla sua critica riguardo il limite del linguaggio per la loro espressione. E contro la nozione bergsoniana di intuizione intesa come una facoltà conoscitiva completamente sui generis e completamente staccata dalla dimensione linguistica, suggeriamo di considerare una nozione di intuizione intesa come via “paralogica”3 di connessione di sentimenti, emozioni, desideri riferiti alla nostra relazione con il mondo sociale in una determinata situazione. Tale riformulazione della nozione di “intuizione” si rivela più affine alla posizione meadiana riguardo alla nozione di emergente, di ciò che sorge dal flusso dell’esperienza come una parte di questo e non come qualcosa che spunta ex novo. Il frutto di una intuizione può così essere visto come il prodotto della capacità umana di selezionare e porre sotto una nuova luce gli elementi degli stati interiori che promuovono le azioni dell’individuo attraverso una «creatività situata». Nel quinto capitolo vengono tracciati i punti cardine di una riflessione sulle nozioni di creatività e di autenticità attraverso una rilettura delle differenti interpretazioni della teoria meadiana del Sé sociale,4 la quale ha offerto ai vari interpreti la possibilità di discutere sul carattere “autentico” e “spontaneo” dell’azione e della riflessione umana. Prendendo spunto dalle differenti prospettive dacui è stato interpretato il Sé sociale di Mead, improntiamo una interpretazione dell’espressione della creatività umana nei limiti delle condizioni di comprensibilità tracciabili in una lettura pragmatista del sensus communis kantiano.
URI: http://hdl.handle.net/2307/3875
Diritti di Accesso: info:eu-repo/semantics/openAccess
È visualizzato nelle collezioni:Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo
T - Tesi di dottorato

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