Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: http://hdl.handle.net/2307/3729
Titolo: Le limitazioni al voto nel mercato finanziario
Autori: Cordopatri, Marina
Relatore: Guaccero, Andrea
Data di pubblicazione: 6-mag-2011
Editore: Università degli studi Roma Tre
Abstract: Con il lavoro di ricerca che intendo portare avanti, innanzi tutto, mi riprometto di indagare ed esaminare in quali casi, nell’ambito delle società quotate nei mercati regolamentati, si possano verificare situazioni nelle quali venga limitato il diritto di voto di taluni azionisti. Specificatamente, nel primo capitolo svolgo l’analisi, sotto il profilo storico e sotto quello economico, nonché comparatistico e con riflessi nel diritto comunitario, di taluni principi del diritto societario moderno. Primo fra tutti, l’assunto – peraltro, reso bene dallo slogan “chi più ha più rischia” – che la scelta legislativa è nel senso di riconoscere e attribuire il potere di governo della società alla maggioranza dei soci e di orientare, di conseguenza, l’attività della società al perseguimento dei loro interessi. I soci, infatti, sono anche definiti residual claimants, perché, coinvolti in uno specifico rischio, sono legittimati a partecipare ai risultati economici dell’impresa soltanto dopo che siano soddisfatti gli altri creditori. L’indagine, la cui linea di tendenza è peraltro seguita anche dal legislatore dell’ultima riforma con riferimento alla corporate governance, tende alla individuazione di tecniche organizzative in grado di assicurare al meglio – o se si vuole con maggiore efficienza – il rispetto del principio one share–one vote, per cui il potere di voto si attribuisce al socio proporzionalmente alla di lui partecipazione al rischio (cd. democrazia azionaria). In proposito la ricerca tenderà a valutare se il principio in discorso, oramai risalente, possa considerarsi tuttora lo strumento migliore in grado di assicurare una maggiore efficienza nell’attribuzione del potere. O se piuttosto siano congrue e necessarie le (molteplici) limitazioni che allo stato lo restringono. Da soggiungere detto principio è stato sfiorato dal diritto comunitario: vi è una serie di progetti di riforma del diritto societario che hanno inevitabilmente tenuto conto delle divergenze riscontrabili nei vari Stati membri interessati da regimi e discipline diversificati in materia di azioni a voto multiplo (si pensi, ad esempio, ai numerosi ordinamenti europei che ammettono la presenza di tali azioni, quali la Svezia, la Danimarca, l’Inghilterra, la Finlandia, l’Olanda; l’ordinamento francese contempla l’emissione di cc. dd. azioni a vote double). Il problema, a ben vedere, è strettamente connesso alla valutazione contemporanea sul ruolo economico-sociale della società per azioni. Occorre, cioè, stabilire se compito fondamentale delle società, e soprattutto di coloro che ne sono preposti alla gestione, sia quello di realizzare gli interessi dei soci oppure quello di considerare interessi diversi da quelli propri dei soci (si ripropone, per questa via, l’opzione fra contrattualismo e istituzionalismo). Il secondo capitolo della tesi si propone di esaminare i casi in cui tale principio (di efficienza) non viene rispettato, i casi, cioè, in cui sono fatte limitazioni all’esercizio del diritto di voto da parte dei soci. Esempi, peraltro ampiamente trattati, sono costituiti dal conflitto di interessi e dal cd. sindacato di voto, la stringente efficacia del quale ultimo non pare più potersi revocare in dubbio. E’opportuno, pertanto, scrutinare le ragioni, e soprattutto i mezzi e le modalità di tutela da apprestare ai diritti dei singoli soci. Anche le problematiche poste e sollevate nel secondo capitolo avranno sviluppi e ricadute sul piano del diritto comunitario. Il terzo ed ultimo capitolo, infine, dovrebbe costituire il nervo centrale della tesi. Esso intende trattare delle prospettive rimediali predisposte dall’ordinamento per comporre i diversi interessi, siano esse di natura giudiziale, ovvero di natura normativa. In particolare, con riferimento alle ultime fattispecie, verrà trattata la cd. regola di neutralizzazione - introdotta nel nostro ordinamento in seguito al recepimento della direttiva 2004/25/CE, peraltro contestata e neppure recepita dalla maggioranza degli Stati membri-, alla cui analisi si vuole dedicare adeguata attenzione. Tale regola, consacrata nell’art. 104 bis T.U.F., si rivela come la più efficace deroga alle limitazioni di voto nonché alle limitazioni della trasferibilità delle azioni (patti di prelazione o di gradimento, e così via). Invero, in forza della regola, tutte le restrizioni previste in accordi contrattuali fra la società e i possessori di titoli o in accordi contrattuali fra soci non si applicano nei confronti del’offerente nel periodo in cui l’offerta deve essere accettata, quando ciò è previsto dallo statuto della società. Da precisare che prima della modifica introdotta dai decreti anti-crisi n. 185/2008 e n. 146/2009, la regola era imperativa e inderogabile, e non anche opzionale, nei limiti e nei termini in cui era recepita ab origine dagli altri Stati europei. Si dovrebbe spiegare così perché la regola in discorso, più che ogni altra disposizione in materia, è assolutamente in grado di innalzare il livello di concorrenzialità delle imprese sui mercati finanziari europei. La tesi che mi sembra maggiormente attendibile al riguardo è che, ai fini dell’applicazione della regola di neutralizzazione, così come formulata nella direttiva OPA, occorre distinguere fra limitazioni contrattuali e limitazioni strettamente connaturate alla struttura dello strumento finanziario. Ed invero, con riferimento alla prima categoria, la sospensione delle restrizioni risponde all’esigenza di restituire agli azionisti, in occasione dell’OPA, la pienezza delle facoltà e dei diritti connessi alle azioni stesse. Al contrario, riterrei che le limitazioni connesse alla natura del titolo, dovrebbero essere escluse dalla restrizione della gittata applicativa della regola in discorso, che finirebbe per rivelarsi “sovrabbondante” rispetto agli scopi del legislatore e finirebbe per stravolgere il contenuto di diritti geneticamente connessi alla specifica categoria di azioni la cui lesione non sarebbe in alcun modo riparata attraverso il rimedio rappresentato dall’equo indennizzo. In conclusione. L’indagine investirà la legittimità e la bontà di tale norma, o meglio, il modo in cui essa è stata recepita in Italia. Come emerge dal dettagliato rapporto della Commissione europea sul recepimento del provvedimento comunitario, alcuni degli Stati membri si sono avvalsi dell’ampia libertà lasciata dalla direttiva e hanno conservato gli assetti di politica legislativa pregressi. Con la evidente conseguente disparità, soprattutto sul piano della concorrenza fra le imprese, fra gli ordinamenti che, come quello italiano, hanno diligentemente proceduto al recepimento e gli ordinamenti che invece hanno disatteso la direttiva.
URI: http://hdl.handle.net/2307/3729
Diritti di Accesso: info:eu-repo/semantics/openAccess
È visualizzato nelle collezioni:X_Dipartimento di Diritto dell'Economia ed Analisi Economica delle Istituzioni
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