Please use this identifier to cite or link to this item: http://hdl.handle.net/2307/683
Title: Effetti e limiti del debito pubblico in impostazioni teoriche alternative
Authors: Forestieri, Paolo
Advisor: Ciccone, Roberto
Keywords: debito pubblico
domanda aggregata
finanza funzionale
neutralità del debito
new political economy
spiazzamento
teoria classica
Issue Date: 2008
Publisher: Università degli studi Roma Tre
Abstract: Il debito pubblico è uno degli argomenti che desta maggiore interesse nell’ambito della teoria economia. La letteratura sull’argomento è estremamente ricca e variegata. In particolare esistono diverse posizioni circa gli effetti all’accumulazione del debito pubblico sul livello del reddito e dell’occupazione. È necessario, però, sottolineare che allo stato attuale la posizione dominante tende ad individuare nel debito pubblico un fattore che produce effetti negativi per l’economia nel suo complesso. Questo lavoro si muove, invece, da una prospettiva diversa, secondo la quale la spesa pubblica può avere effetti espansivi in termini di reddito e occupazione. Tale posizione, che induce una rilettura critica si fonda sul presupposto che i livelli del prodotto complessivo siano determinati anche nel lungo periodo dalla dimensione della domanda aggregata, le cui determinanti sono a loro volta concepite come indipendenti dal livello di produzione potenziale. In sostanza si afferma che sia la domanda ad imporre un limite superiore ai livelli di attività dell’economia, e che in generale essa deve considerarsi non sufficiente a garantire la piena occupazione. Questa premessa si lega all’adesione ad un’impostazione teorica alternativa a quella neoclassica, anche sul terreno della distribuzione del reddito, la cui spiegazione viene ricondotta a circostanze diverse dall’equilibrio di domanda e offerta dei “fattori produttivi”. Questo secondo aspetto è di supporto al primo; l’idea, che i livelli di reddito siano determinati dal lato della domanda è ereditata dalla teoria keynesiana, e una spiegazione della distribuzione, che non presupponga la tendenza al pieno impiego delle risorse produttive, ne diventa un elemento fondamentale importante sostegno all’ipotesi che la domanda sia la determinante dei livelli di reddito anche nel trend e non solo nel ciclo economico.1 Il presente lavoro si articola in cinque capitoli e una breve appendice di carattere empirico. Nel primo capitolo si ripercorrono rapidamente le concezioni prevalenti della teoria economica fino alla rivoluzione keynesiana circa gli effetti della spesa pubblica in deficit. Per gli economisti classici e per i primi autori neoclassici il debito pubblico costituiva sostanzialmente un fattore negativo, in quanto si riteneva che avrebbe sottratto risorse all’accumulazione di capitale. Per gli autori di impostazione keynesiana, quali quelli che alimentarono il filone della così detta Finanza Funzionale, la spesa pubblica in deficit costituiva invece uno strumento di politica economica, utilizzabile per obiettivi di reddito e occupazione. Nel secondo capitolo si analizzano gli argomenti portati dalla teoria neoclassica in risposta al contributo keynesiano. Si esaminano il fenomeno del crowding out e la neutralità del debito di Barro. Si mette in evidenza come l’effetto negativo, che alla spesa pubblica in deficit viene attribuito in questo contesto, sia necessariamente legato alla tendenza al pieno impiego delle risorse, affermata dalla teoria tradizionale. Nel terzo capitolo si delinea la struttura teorica dell’approccio della New Political Economy, la quale, pur conservando una struttura neoclassica, incorpora alcuni elementi di carattere socio-istituzionale. Successivamente si 1 Si vedano i lavori di P. Garegnani e L. Pasinetti, che hanno ispirato successivi contributi. prende in esame uno specifico modello, proveniente da questo filone teorico, nel quale si analizza in particolare il debito pubblico. La New Political Economy conserva un giudizio negativo circa gli effetti del debito pubblico, differenziandosi, però, dall’approccio neoclassico tradizionale nel fare del ricorso al debito pubblico un risultato del comportamento razionale degli agenti. Nel quarto capitolo, invece, si applicano al debito pubblico le premesse teoriche indicate sopra, e si evidenzia attraverso un semplice modello come la spesa pubblica in deficit possa avere effetti positivi sul reddito, e con la corrispondente formazione di risparmio, e quindi di ricchezza privata, addizionali. Si afferma che il livello dei risparmi, non essendo dato al livello di pieno impiego delle risorse, si adegua ai nuovi livelli di debito pubblico. Nel quinto, ed ultimo capitolo, si analizza la questione della “sostenibilità” del debito pubblico, e cioè l’eventuale esistenza di un qualche limite all’espansione del debito, oltre il quale possa essere a rischio il finanziamento o il rifinanziamento dello stesso. La letteratura propone essenzialmente due nozioni di sostenibilità. La prima definisce la sostenibilità in termini di costanza del rapporto tra debito e prodotto. La seconda considera sostenibili situazioni in cui il valore attuale del flusso di tutti gli esborsi futuri del governo non ecceda il flusso degli incassi. Entrambe le nozioni di sostenibilità non sono però esenti da critiche, anche interne alle premesse sulle quali le nozioni stesse si fondano. Quindi non sembra essere possibile individuare un limite superiore alla dimensione del debito pubblico, altre il quale emerga un qualche problema di sostenibilità. Questa conclusione appare rafforzare la possibilità di utilizzare la spesa pubblica in deficit ai fini dell’espansione dei livelli di produzione, nell’ipotesi che quest’ultimi siano limitati dalla domanda aggregata.
URI: http://hdl.handle.net/2307/683
Appears in Collections:Dipartimento di Economia
T - Tesi di dottorato

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