Please use this identifier to cite or link to this item: http://hdl.handle.net/2307/681
Title: Le presunzioni nel diritto penale
Authors: Pecoraro, Carlo
Advisor: Trapani, MARIO
Issue Date: 13-Mar-2009
Publisher: Università degli studi Roma Tre
Abstract: La tesi affronta il tema delle presunzioni, istituto regolato esplicitamente soltanto nel codice civile agli artt. 2727, 2728 e 2729, ma che trova spazio anche nell'ambito penale, pur con forme e limiti propri di tale settore del diritto. Il lavoro propone dapprima una definizione unitaria del fenomeno, sulla scorta della nozione offerta dall'art. 2727 c.c., il quale qualifica le presunzioni come "le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato"; tale definizione è contestata per la sua eccessiva genericità, in quanto suscettibile di ricomprendere in toto anche la più generale nozione di prova. Da tale spunto critico si avvia una riflessione sulla distinzione tra prova rappresentativa (o storica) e prova critica, categoria cui anche le presunzioni vengono tradizionalmente ricondotte; l'esito è quello di un riavvicinamento delle due classi, che si differenziano solo quanto alla natura del fatto noto da cui scaturisce il risultato probatorio: artificiale il primo (in quanto funzionalmente preordinato a fungere da prova), "naturale" il secondo (in quanto accidentalmente idoneo ad essere utilizzato a scopo di prova); ma, nonostante le ontologiche diversità, si è sottolineato come - nella concretezza del procedimento probatorio - non basti la prova storica, se essa non è valutata con gli strumenti della prova critica; e come questa non sia autosufficiente, ma necessiti che il fatto noto posto alla sua base sia esso stesso accertato mediante prova rappresentativa. Vengono poi studiate singolarmente le figure delle presunzioni legali assolute, di quelle legali relative ed infine di quelle semplici. Quanto alle prime, le conseguenze che la legge trae dal fatto noto sono inconfutabili, poiché non è consentito rovesciarle con la dimostrazione circa l'inesistenza del fatto presunto. Da tale forma "propria", si è distinta quella "impropria", in cui la legge non pone un fatto noto da cui dedurre l'ignoto, ma semplicemente prescinde dalla prova dell'elemento presunto. Si è dato conto della tesi attualmente prevalente, secondo cui - superata la tradizione storica - le presunzioni assolute andrebbero considerate quali vere e proprie figure di diritto sostanziale: con le proprie, verrebbe introdotto nella fattispecie astratta un nuovo elemento strutturale che, se provato, renderebbe irrilevante la sussistenza o meno di un altro elemento; in altre parole, il fatto noto verrebbe posto quale equivalente sostanziale di quello ignoto; con le improprie, un elemento costitutivo verrebbe espunto dalla fattispecie. Tale tesi trae fondamento da una nozione di prova ricalcata sul modello delle scienze sperimentali, nozione che rende impossibile ritenere probante un fatto che sia tale solo per volontà legale e potenzialmente contro ogni evidenza storica. Tuttavia, nella trattazione tale ricostruzione del concetto di prova è stata ritenuta riduttiva, in quanto contrastante con la realtà giuridica che presenta numerose ed inequivocabili tracce del disegno normativo di ricostruire il fatto in sentenza prescindendo dall'obiettivo di raggiungere la "verità" effettiva; così, si è concluso che l'ordinamento piega il processo, anche penale, a esigenze diverse e talora in reciproco contrasto, e che le regole legali in tema di formazione e valutazione della prova contemperano i vari interessi in gioco, tra cui anche quello tradizionale - ma non prioritario - della ricerca della verità. In quest'ottica, nulla ha impedito di ritenere le presunzioni assolute vere e proprie prove, sia pure legali, o comunque regole per la fissazione formale del fatto nel processo; così, valorizzandosi l'appartenenza a tale genus, si è esclusa l'applicabilità delle direttive sistematiche relative ai requisiti per l'imputazione degli elementi sostanziali della fattispecie. Si sono poi studiate le presunzioni legali relative, proprie ed improprie, che si differenziano dalla assolute in quanto l'assunzione normativa è valida solo sino a prova contraria. Anche per esse si è ritenuto di poter tener ferma la natura probatoria, nella misura in cui esser rispondono alla funzione di contribuire alla fissazione formale del fatto da porre in sentenza; tuttavia, si è evidenziata anche la loro utilità ai fini della ripartizione dell'onere della prova. A tal riguardo, si è dapprima chiarito in che accezione si possa parlare di "onere della prova" nel processo penale, e come la nozione debba essere adattata per essere utilizzabile anche in questo ambito: a questo fine si sono rifiutate impostazioni ideologiche o pregiudiziali, e si è fatto esclusivo riferimento alla disciplina fornita dagli artt. 529 ss. c.p.p.; così, si è evidenziato come, non dissimilmente dal campo civile, l'onere della prova degli elementi costitutivi positivi sia posto a carico dell'impostazione accusatoria (e non tanto del pubblico ministero), mentre quella degli elementi di segno negativo sia attribuito all'impostazione difensiva (e non all'imputato); ma, a differenza che nel processo civile, la regola è temperata, a tutto favore dell'imputato, sul piano dello standard probatorio necessario per la rilevanza della prova fornita: il principio dell'in dubio pro reo, infatti, fa pendere in senso assolutorio ogni accertamento incompleto, tanto che vertesse su un elemento positivo, tanto che vertesse su uno negativo. Si è così individuata la funzione derogatoria della presunzione legale relativa, poiché essa, nel ripartire gli oneri probatori, attribuisce rilevanza solo alla prova contraria, senza lasciare alcuna valenza al mero dubbio. E' stato inoltre affrontato l'istituto delle presunzioni semplici, in cui il passaggio dal fatto noto all'ignoto avviene non per comando legislativo, ma sulla base di una massima di esperienza fondata sull'id quod plerumque accidit. Al riguardo si sono illustrati i rapporti tra esse e gli indizi, espressamente disciplinati dal codice di procedura penale all'art. 192 comma 2, peraltro in modo del tutto analogo rispetto a quanto previsto dall'art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici: segnatamente, quelli costituiscono il fatto noto da cui queste prendono avvio. Poi si è chiarito il funzionamento di tale meccanismo probatorio, con considerazioni circa la necessità di certezza in merito alla sussistenza del fatto noto, circa le caratteristiche della massima di esperienza, circa la natura sillogistica di tale ragionamento, e circa i requisiti per la validità della presunzione: ossia la gravità, la precisione e la concordanza. Si è poi passati a verificare la ricostruzione operata in tema di presunzioni con il quadro dei principi costituzionali; in particolare, si è evidenziato come ogni presunzione legale sfavorevole al reo risulterebbe incostituzionale, se si ritenesse che l'art. 27 comma secondo della Costituzione - nel vietare di considerare l'imputato colpevole sino a che non sia stato condannato - ponga non solo una palese regola di trattamento, ma anche una regola di giudizio, tale per cui l'onere della prova della colpevolezza sia addossato in toto all'accusa: se così fosse, in tutta evidenza ogni deroga contenuta nella legge ordinaria risulterebbe illegittima. Tuttavia, nonostante un quasi unanime intendimento della dottrina, si è ritenuto che tale principio costituzionale non valga anche quale regola di giudizio, stante l'impossibilità di ravvisare una presunzione legale relativa di innocenza laddove il costituente ha posto come limite alla "considerazione di non colpevolezza" non una prova contraria, ma una sentenza di condanna; e dunque, un limite temporale, e non euristico. Nella Costituzione sono comunque stati rinvenuti dei paletti all'operatività delle presunzioni legali nell'ordinamento penale: si è verificata invero l'incidenza dei principi sostanziali di tipicità, di offensività, di colpevolezza e di retroattività rispetto alla disciplina della prova, concludendo per la necessaria prevalenza delle garanzie costituzionali su possibili ed invincibili distorsioni alla ricostruzione del fatto, operate tramite meccanismi probatori di natura eminentemente legali, ma che parimenti sviliscano anche gli imprescindibili requisiti dell'illecito penale. Infine, si è effettuata una ricognizione casistica su istituti specifici che dottrina e giurisprudenza ritengono di ricondurre nell'alveo delle presunzioni; in particolare, si sono analizzati quei profili presuntivi ravvisabili ad esempio nei reati di sospetto e di contrabbando, nell'exceptio veritatis, nel dolo e nella colpa presunta, nei reati a pericolo presunto, nelle presunzioni di imputabilità, di conoscenza della legge penale o dell'età dell'offeso nei delitti sessuali. Tale panoramica ha consentito di affiancare, alla ricostruzione generale della regola di giudizio applicabile nel processo penale, l'adattamento particolare che talvolta si ricava da singole fattispecie speciali; ma anche di distinguere più chiaramente gli elementi strutturali dalle regole per la ricostruzione del fatto in sentenza, evitando indebite sovrapposizioni di piani. Nelle considerazioni conclusive si è fornita una ricapitolazione sistematica della tematica affrontata, ribadendo da una parte la distinzione tra il piano sostanziale e quello probatorio-processuale, dall'altra le reciproche interazioni tra i due livelli; ne è scaturito il tentativo di rilanciare una teoria della fissazione formale del fatto: ossia delle modalità con cui, partendo dal segno di manifestazione degli elementi essenziali all'interno della fattispecie astratta e dalle conseguenze in tema di onere della prova, passando attraverso regole empiriche e legali per la formazione, l'esclusione, la valutazione e la soglia di rilevanza della prova, si giunge alla decisione del giudice.
URI: http://hdl.handle.net/2307/681
Appears in Collections:X_Dipartimento di Diritto dell'Economia ed Analisi Economica delle Istituzioni
T - Tesi di dottorato

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