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Title: Proprieta' e interesse pubblico tra logica dell'appartenenza e logica della destinazione
Authors: Bindi, Alessandra
Advisor: Rossi, Giampaolo
Issue Date: 6-May-2010
Publisher: Università degli studi Roma Tre
Abstract: La tesi in oggetto si è sostanziata in uno studio sui rapporti tra proprietà ed interesse pubblico, secondo le due dimensioni dell'appartenenza e della destinazione, l'una di natura soggettiva e l'altra di natura oggettiva. L'intento è stato cioè quello di analizzare come i due elementi dell'appartenenza e della destinazione, interagendo tra loro e reagendo all'interesse pubblico, determinino, in un ponderato dosaggio tra l'interesse della collettività organizzata e quello dei singoli che la compongono, lo statuto giuridico dei beni. In generale, l'appartenenza può essere ora pubblica, ora privata; la destinazione invece può presentarsi pubblica, privata o mista, in funzione dell'importanza sociale delle cose, la quale a sua volta dipende dall'attitudine che esse hanno di soddisfare, sia pur in modo non esclusivo e talora solo in via indiretta, l'interesse pubblico. Man mano che tali attitudini divengono più pronunciate lo stesso interesse pubblico può quindi 'reagire' alla proprietà ora come limite, più o meno intenso, alle prerogative del proprietario, ora come vincolo di scopo. La destinazione dipende quindi dalle utilità che la cosa può esprimere, le quali sono a loro volta molteplici e mutevoli nel tempo, ma risulta altresì condizionata dalla circostanza che tali utilità siano o meno riferibili ad interessi attratti nella sfera pubblica. L'utilità è infatti funzionale a soddisfare un bisogno e pertanto la scelta della destinazione da imprimere al bene, inteso come res suscettibile di soddisfare interessi giuridicamente rilevanti, sottende ed implica la preliminare selezione degli interessi rispetto ai quali il bene medesimo si pone come strumento di realizzazione. In funzione delle due declinazioni (pubblica e privata) che l'appartenenza e la destinazione possono rispettivamente assumere e delle loro diverse combinazioni, sono distinguibili, almeno sul piano descrittivo, quattro tipologie dominicali. Sulla base di tali premesse sono pertanto individuabili: a) beni di soggetti pubblici a destinazione pubblica; b) beni di soggetti privati a destinazione (non esclusivamente) pubblica; c) beni solo soggettivamente pubblici; d) beni privati tout - court. Più in particolare, la ricerca ha preso le mosse dalla duplice considerazione dell'estrema variabilità, non solo storica, della materia dei beni e della inidoneità del codice civile a svolgere una funzione di guida nella ricostruzione dei rapporti tra proprietà ed interesse pubblico, specialmente per quanto attiene al complesso dei beni pubblici, stante l'irrazionalità dei criteri che presiedono alla distinzione tra demanio e patrimonio indisponibile. Rilevando come la proprietà, più di ogni altro istituto, rifletta il tessuto sociale di un determinato ambiente in un determinato momento storico, l'analisi ha ripercorso le vicende del progressivo innesto dell'interesse pubblico nella proprietà attraverso la legislazione speciale dei primi decenni del Ventesimo secolo, per giungere ad esaminare la sintesi che di questi due termini offrono sia la Carta Costituzionale che l'ordinamento comunitario, nel quadro di una incessante moltiplicazione dei modelli proprietari. E difatti, sia in ambito nazionale che europeo la proprietà si configura come situazione giuridico . soggettiva conformata dalla legge allo scopo di realizzare l'interesse generale, ossia, secondo una prospettiva di tipo personalistico, come «diritto socialmente mediato», la cui concreta fisionomia varia in funzione dei diversi beni che ne possono rappresentare l'oggetto (capitolo I). In secondo luogo, il lavoro si è proposto di ricostruire l'evoluzione del regime dei 'beni di soggetti pubblici a destinazione pubblica' fino agli ultimi approdi costituiti dalla proposta di riforma della disciplina codicistica elaborata dalla Commissione Rodotà. Segnatamente, la possibilità di ricondurre nell'ambito pubblicistico sia l'appartenenza della res che la sua destinazione costituisce il fondamento dell'unitaria categoria dei beni pubblici, in cui la dottrina, prendendo atto della irragionevolezza della classificazione codicistica, ha fatto confluire tanto i beni del demanio che i beni del patrimonio indisponibile. All'espressione «beni pubblici» è stato in altri termini riconosciuto un precipuo significato normativo, in quanto riconosciuta come indicativa di una disciplina fortemente protettiva, contraddistinta dallo scopo di assicurare, mediante la previsione di vincoli e privilegi, che il bene si conservi integro e asservito alla propria destinazione. La funzionalizzazione della cosa alla realizzazione immediata di un interesse pubblico non è parsa cioè al legislatore compatibile con il diritto comune della proprietà: di qui l'opzione per una regolamentazione di garanzia. Peraltro, se in passato si è realizzata quella che è stata definita come «demanializzazione» del patrimonio indisponibile, attualmente si registra l'opposta tendenza alla «patrimonializzazione» del demanio, atteso che le privatizzazioni dei beni pubblici raramente si sono risolte in una incondizionata applicazione del diritto privato, essendosi per lo più tradotte nel solo mutamento del soggetto proprietario e non anche dell'originaria destinazione pubblica della res. Si è quindi constatato come l'attuale assetto dei c.d. beni pubblici si sia evoluto nel senso di una scomposizione del relativo regime giuridico e ciò tanto sul piano orizzontale che verticale. In particolare, sul versante dei rapporti tra società civile e pubblici poteri, si realizza una scissione tra titolarità e gestione del bene, da un lato, e titolarità dei poteri di regolazione e tutela amministrativa, dall'altro, spettando le prime ad un soggetto (a volte solo formalmente) privato ed i secondi alla pubblica amministrazione. Sul versante delle relazioni tra i diversi enti territoriali, invece, ha luogo una dissociazione tra l'appartenenza del bene, per un verso, e la gestione dello stesso, dall'altro, venendosi a realizzare sul versante dominicale una proiezione del federalismo amministrativo (capitolo II). Lo studio si è rivolto successivamente all'esame dei 'beni di soggetti privati a destinazione pubblica' - il cui novero è peraltro destinato ad aumentare proprio in virtù delle privatizzazioni dei beni pubblici. A ben vedere, infatti, la proprietà soggettivamente pubblica non rappresenta l'unico mezzo approntato dall'ordinamento per poter soddisfare esigenze metaindividuali, come dimostrato dall'esistenza di una molteplicità di beni che, pur essendo di proprietà di un soggetto privato, non permettono un godimento ed una disposizione illimitati a causa dei vincoli imposti dalla legge in vista della realizzazione della funzione sociale della proprietà privata. Sembra quindi riacquistare attualità la categoria dei c.d. «beni privati di interesse pubblico», elaborata da A.M. Sandulli negli anni Cinquanta e destinata a ricomprendere beni in titolarità privata chiamati ad assolvere istituzionalmente a finalità di pubblico interesse e che, in ragione di ciò, risultano assoggettati ad un particolare regime in ordine al godimento ed alla disponibilità, nonché a poteri amministrativi di regolazione e tutela. In relazione a siffatta tipologia di beni, cui per esempio appartengono i beni culturali, la finalità pubblica viene realizzata direttamente per il tramite della proprietà privata e le utilità che la res porta al soggetto proprietario coesistono con quelle che dalla medesima discendono in favore della collettività. L'interesse pubblico opera quindi dall'interno come vincolo di scopo, conformando coerentemente la proprietà: il diritto di proprietà, riconosciuto e tutelato originariamente dall'ordinamento a beneficio del solo proprietario viene, in altre parole, ad essere individuato come possibile strumento per l'attuazione di interessi pubblici, pur non cessando tuttavia per questo di atteggiarsi in termini di diritto soggettivo (capitolo III). Non hanno invece costituito oggetto di analisi i due insiemi dei 'beni in proprietà soggettivamente pubblica' e dei 'beni in proprietà soggettivamente privata'. In entrambe queste ipotesi, infatti, l'interesse pubblico agisce come limite alle prerogative proprietarie, ovvero come condizionamento dell'attività che il proprietario, pubblico o privato, esplica attraverso la res, senza tuttavia dar vita ad un regime giuridico della cosa in sé, la quale rimane essenzialmente soggetta al diritto comune. Si ritiene quindi che l'incidenza dell'interesse pubblico sul diritto di proprietà origini un regime speciale dei beni solo ove ne orienti in modo determinante l'utilizzazione, imponendo alla cosa una specifica destinazione. Al contrario, ove questo non accada, il bene risulta sottoposto alla disciplina codicistica, fatte salve alcune deviazioni che assumono una fisionomia diversa in funzione della differente titolarità del bene. Conclusivamente si è notato come attualmente, nella ricostruzione dei rapporti tra proprietà ed interesse pubblico, l'influenza svolta sul concreto assetto della disciplina dei beni dall'elemento oggettivo della destinazione sia di gran lunga maggiore rispetto al rilievo proprio dell'elemento soggettivo dell'appartenenza, come dimostrato dalla recente evoluzione che ha interessato i beni pubblici intesi in senso stretto, nonché dallo sviluppo, favorito dal principio di sussidiarietà orizzontale, dei beni di soggetti privati destinati a realizzare pubbliche finalità. L'accento della pubblicità del bene sembra dunque essersi spostato dal soggetto all'oggetto, dal proprietario alla cosa ed alla idoneità di essa a soddisfare pubblici interessi. A dispetto di siffatti approdi normativi, si ritiene tuttavia che l'elemento soggettivo dell'appartenenza non sia condannato irrimediabilmente all'irrilevanza, potendosi invero individuare, in primo luogo, un nucleo di beni a necessaria appartenenza pubblica. Parte della dottrina critica fortemente l'ammissibilità di una classe di beni che appartengano in modo necessario ad un soggetto pubblico, in quanto essa sarebbe indice di una visione ormai superata dell'individuo quale portatore di interessi meramente egoistici. Invero, benché il coinvolgimento di soggetti privati nello svolgimento di compiti amministrativi costituisca un fenomeno diffuso, proprio il principio di sussidiarietà orizzontale, come messo in luce da altra parte della dottrina, permette di fondare giuridicamente la categoria dei beni ad appartenenza pubblica necessaria. In particolare, esso consente di prospettare casi nei quali, in relazione a singoli beni o specie di beni, l'appartenenza privata può rilevarsi totalmente inadeguata sotto il profilo funzionale, ossia in ordine al soddisfacimento e alla garanzia dei bisogni della collettività o di specifiche esigenze della pubblica amministrazione, come nell'ipotesi di un'opera militare segreta, ovvero dei lidi marittimi, dei grandi laghi o dei grandi fiumi. In altre parole, la proprietà soggettivamente pubblica deve necessariamente estendersi a tutti gli oggetti in relazione ai quali l'interesse pubblico può avere piena soddisfazione solo in via diretta, ovvero, in via residuale, a tutti quegli oggetti, come il faro, che, assumendo un'indiscutibile rilevanza pubblica, non risultano appettibili agli occhi di un soggetto privato, poiché per il loro godimento non è possibile applicare alcun prezzo. In secondo luogo, il canone costituzionale del buon andamento rende inimmaginabile una pubblica amministrazione del tutto sprovvista della proprietà dei beni strumentali allo svolgimento delle attività di propria competenza: è evidente, infatti, che la privatizzazione dei beni essenziali per assicurare il perseguimento dei fini pubblici finirebbe con il compromettere l'efficacia e l'efficienza dell'azione amministrativa. Ulteriori limiti alla privatizzazione dei beni pubblici discendono poi dallo stretto legame che sussiste tra taluni di essi ed i diritti di libertà costituzionalmente garantiti. E difatti, rispetto ai beni pubblici destinati all'uso collettivo (come, per esempio, le strade), la privatizzazione comporta o può comportare una limitazione di quelle libertà il cui esercizio richiede l'accessibilità a tutti del godimento del bene. Oltre a costituire il fondamento di un insieme di beni a necessaria appartenenza pubblica, l'elemento soggettivo della titolarità consente altresì di individuare dei limiti alla discrezionalità che il legislatore esercita in sede di conformazione e di funzionalizzazione del diritto del privato al perseguimento di finalità di rilevanza pubblica. Innanzitutto, si osserva come la norma di fonte primaria debba essere ispirata ad un rigoroso rispetto del principio di proporzionalità tra il mezzo ed il fine, in modo da evitare che al privato venga imposto un sacrificio inutile o eccessivo. Inoltre, occorre considerare che non tutti i limiti sono effettivamente utili sotto il profilo sociale, cosicché di volta in volta si rende necessario verificare se esistano valide ragioni idonee a giustificare delle compressioni alle facoltà del proprietario, di per sé estese a tutte le diverse forme di godimento che non siano precluse dall'ordinamento in virtù di quell'attributo di pienezza previsto dall'art. 832 cod. civ. Più in generale si osserva che, nonostante l'idea di limite sia connaturata a quella di diritto soggettivo in virtù della funzione equilibratrice svolta dall'ordinamento, in nessun caso, i vincoli che il legislatore impone alla proprietà privata per realizzare interessi di natura generale possono del tutto sopprimere l'interesse del titolare del bene, posto che, così facendo, il legislatore verrebbe sostanzialmente a violare il riconoscimento che l'art. 42, co. 2 Cost. comunque assicura alla proprietà privata. In particolare, come sottolineato da A.M. Sandulli, in presenza di una disciplina che rendesse l'appartenenza del tutto priva di qualsiasi utilità e quindi di qualsiasi valore, di uso e di scambio, per il suo titolare, il diritto di proprietà risulterebbe posto nel nulla. In tale circostanza, del resto, venendo meno quel contenuto patrimoniale che connota il diritto di proprietà, sarebbe nei fatti corrispondentemente eliminato alla radice l'interesse del privato all'appropriazione di un determinato bene. Da ultimo, il primo comma dell'art. 42 Cost., nello stabilire che la proprietà e pubblica o privata, pur consentendo un continuo spostamento della linea di confine tra le due forme di appartenenza, in funzione delle diverse esigenze che di volta in volta si affermano nel contesto sociale, non permette tuttavia di eliminare ogni differenza tra le stesse. E difatti, mentre i soggetti privati possono godere e disporre liberamente, nei limiti consentiti dall'ordinamento, dei beni di cui sono titolari, secondo il principio dell'autonomia privata, le pubbliche amministrazioni sono titolari di beni per poterli impiegare, in base ad uno stretto vincolo di strumentalità, nel perseguimento dei fini istituzionali stabiliti dalla legge, secondo il principio della funzionalizzazione dell'attività amministrativa. Di conseguenza, proprio in virtù della diversità funzionale che distingue la proprietà privata rispetto a quella pubblica, mentre è consentito al legislatore prevedere le ipotesi in cui, dietro indennizzo, ragioni di pubblica utilità giustificano l'estinzione della proprietà privata, non gli è invece altresì permesso di trasformare di fatto, in nome della funzione sociale, la proprietà privata in proprietà pubblica. Tutto ciò sta a dimostrare come non esista una piena fungibilità tra una proprietà soggettivamente pubblica ed una proprietà soggettivamente privata, benché condizionata.
URI: http://hdl.handle.net/2307/634
Appears in Collections:X_Dipartimento di Diritto Europeo. Studi Giuridici nella dimensione nazionale, europea, internazionale
T - Tesi di dottorato

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