Please use this identifier to cite or link to this item: http://hdl.handle.net/2307/6027
Title: Donne in professioni male-dominated: un approccio gender sensitive al Corpo Forestale dello Stato
Authors: Buò, Luigi
Advisor: Antonelli, Francesco
Keywords: Donne
Uniforme
Segregazione
Conciliazione
Organizzazioni
Issue Date: 7-Jun-2016
Publisher: Università degli studi Roma Tre
Abstract: Assumendo le organizzazioni, e più in generale la sfera occupazionale, come un’arena per eccellenza dei processi di costruzione, mantenimento od erosione delle differenze tra uomini e donne, l’indagine empirica sul campo relativamente al Corpo forestale dello Stato si è mossa, con un orientamento prevalentemente esplorativo, a partire da due obiettivi conoscitivi generali: analizzare le dinamiche organizzative in un’ottica di genere e far emergere i rapporti di genere, intesi anche come rapporti di potere. Ne è derivata la scelta di coinvolgere nella ricerca sia le donne che gli uomini dell’organizzazione, considerando il “genere” come categoria euristica relazionale, che può permettere di comprendere in che modo alle donne vengano attribuite caratteristiche femminili e agli uomini maschili, in che modo le persone si posizionino in contesti di potere asimmetrico e in che modo, perciò, un’organizzazione abbia generato rapporti, gerarchie, attribuzione di ruoli, attività ed ambiti d’azione di uomini e donne. Quella conclusa è stata un’indagine esplorativa ed estensiva, condotta mediante auto-somministrazione, senza affiancamento, di un questionario caratterizzato da un elevato grado di strutturazione, composto quasi interamente da domande chiuse (e assunte come esaustive), da una semichiusa (perché considerata non esaustiva ed integrata dall'alternativa di risposta “altro”) e da tre domande aperte. La logica entro cui si è svolta la ricerca non è stata semplicemente descrittiva: il largo impiego di tavole di contingenza e l’introduzione frequente di terze variabili nell'analisi dei dati rivela obiettivi di carattere, quantomeno, interpretativo delle covariazioni emerse, anche nell'ottica di fornire ipotesi plausibili di spiegazione delle relazioni. Il campione, benché auto-selezionato è stato giudicato significativo rispetto all’universo di riferi-mento sia in termini di ampiezza che di accuratezza. Infine, all’adozione di un concetto relazionale di “genere”, è seguito il tentativo di declinare gli obiettivi conoscitivi in un disegno gender-sensitive, che non realizza semplicemente (come faceva la ricerca gender-oriented) un’analisi della condizione femminile esclusivamente in termini di differenza rispetto a quella maschile, ma punta ad una prospettiva che condiziona tutto il percorso di operativizzazione. In un’ottica esplorativa, l’utilizzo di strumenti quantitativi si è confermato di una certa utilità nel fotografare la situazione di genere di un’organizzazione, nell'indagare il fenomeno della segregazione in un numero ristretto di lavori/mansioni e livelli organizzativi, nel chiarire se tra uomini e donne, a parità di inquadramento, vi sia un’equa distribuzione dei compiti (sex-typing orizzontale) e se venga assegnato un diverso peso a lavoratori e lavoratrici con compiti identici. E anzitutto si è chiarito che in un contesto kanterianamente asimmetrico, quale è quello dell’organizzazione indagata, la bassa proporzione di donne non è l’unico fattore ad incidere rispetto alla connotazione delle stesse come tokens. Certo, fino a quando le donne rimarranno un’entità numerica esigua continueranno non solo ad essere percepite come donne piuttosto che colleghe, ma anche ad auto-percepirsi come tali, perpetuando dinamiche auto-segregative e rafforzando l’identità di genere (la rappresentazione delle donne come appartenenti al genere “opposto”) a scapito di quella professionale. La loro collocazione, cioè, in ruoli marginali e di scarsa visibilità può costituire una sorta di rifugio (in aree organizzative meno centrali, dove minore è la pressione sociale all'adattamento alla struttura maschile) che preserva dalla pressione a conformarsi a modelli in cui difficilmente si riconoscono, ma che, d’altra parte, contribuisce a generare un circolo vizioso per cui più forte è l’autodifesa, minore è la possibilità di modificare la struttura e la percezione altrui del proprio ruolo nell'organizzazione. Insomma, secondo il kanteriano approccio strutturalista e “numerico” al tema delle minoranze, non riuscendo a fare “massa critica” le donne non produrrebbero nessun cambiamento “al femminile” all'interno dell’organizzazione ed il reciproco adattamento (dell’organizzazione alle donne e delle donne all'organizzazione) si risolverebbe in assimilazione culturale piuttosto che in reale integrazione. Emerge pienamente una contraddizione tra quadro normativo e funzionamenti organizzativi: al di là delle mere enunciazioni di principio sul riconoscimento delle donne come membri di diritto delle organizzazioni in cui lavorano, esse, di fatto, entrano in una “cultura organizzativa” che costituisce il vero punto di cerniera (o di scontro) tra variabili formali/razionali e variabili sociali/relazionali. Ma la componente quantitativa della presenza femminile è strettamente legata a quella qualitativa. È plausibile, cioè, che l’ingresso crescente di donne in settori e attività che in precedenza le vedevano escluse possa produrre, tra l’altro, una riduzione della segregazione, ma oltre all'entità della presenza femminile, ad apparire altrettanto rilevante è la “qualità” della stessa. La possibilità di esercitare autorità nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative, oltre ad aumentare la soddisfazione personale sul lavoro, consente di innalzare il proprio livello di visibilità, accresce le chances di segnalare le proprie abilità e quindi di conseguire gratificazioni e riconoscimenti di vario genere. D’altra parte, la disuguaglianza fra i generi nelle possibilità di esercizio dell’autorità riduce seriamente il grado in cui le donne riescono a usufruire di queste opportunità. Si è riscontrata, inoltre, la presenza di quell'ulteriore forma di segregazione definibile come intra-occupazionale (relativa cioè alla collocazione lavorativa e ai compiti assegnati), la quale, unitamente alle altre, spinge ad interrogarsi sullo stadio in cui collocare il processo di integrazione delle donne nel cruciale passaggio tra “adattamento” e “integrazione”. All'intersezione fra strutture (e squilibri) di potere vigenti nelle organizzazioni e differenziazione di genere vi è il fenomeno delle molestie sessuali, questione strettamente legata a quella dell’integrazione di genere, che taglia trasversalmente ogni fase dell’integrazione intesa (diacronicamente) come processo, nonché ogni grado dell’integrazione ove la si concepisca (sincronicamente) come risultato del processo stesso. Stando al modello proposto da Farina, la fase dell’adattamento al mondo maschile è superabile solo attraverso il rafforzamento di status e potere femminile. Ma allo stato attuale pare confermata, nell'organizzazione indagata, l’ipotesi formulata da Ammendola (2007) con specifico riferimento al contesto italiano delle organizzazioni in uniforme: il passaggio dall'adattamento all'integrazione di genere pare, in effetti, ancora incipiente.
URI: http://hdl.handle.net/2307/6027
Access Rights: info:eu-repo/semantics/openAccess
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T - Tesi di dottorato

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