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http://hdl.handle.net/2307/5951
Title: | La rappresentanza politica femminile come indicatore della qualità democratica : Italia e Spagna in prospettiva comparata | Authors: | Tasini, Diana | Advisor: | Pisciotta, Barbara | Keywords: | donne scienza politica qualità democratica |
Issue Date: | 31-May-2016 | Publisher: | Università degli studi Roma Tre | Abstract: | Profondamente convinta che un’analisi in chiave cognitiva del rapporto tra le donne e la partecipazione politica richieda, per la sua complessità un approccio che non sia solo monodimensionale (quindi non solo giuridico o storico o statistico o sociale) ma che abbia più ampie modalità interpretative, proprie della Scienza Politica, ho scelto - d’intesa con il mio tutor, prof. Grilli - l’aspetto della qualità della democrazia, partendo dall'ipotesi che esista una correlazione tra di essa e la maggiore o minore rappresentanza politica femminile. Nella mia ricerca intendo utilizzare i dati e le informazioni relativi alla presenza delle donne nelle istituzioni e nei partiti come indicatore della qualità democratica, sia nello scenario italiano sia anche in quello di una realtà nazionale diversa, quale è la Spagna, paese che presenta svariati aspetti similari dal punto di vista storico/politico e sociale con l’Italia. Durante gli anni appena trascorsi, mi sono recata personalmente, in Spagna, più precisamente a Madrid presso la Biblioteca e l’Archivio del Congreso de los Diputados e presso la sede dell’Instituto de la Mujer, ed a Siviglia, presso la sede locale dell’Instituto de la Mujer. Ho così potuto raccogliere dati direttamente in loco da fonti dirette, e avere accesso a letteratura scientifica che qui in Italia è di difficile reperimento. Di contro per la raccolta dei dati relativi all'Italia i miei principali punti di riferimento sono state la Biblioteca del Senato e quella della Camera dei Deputati. Ho inoltre istituito contatti – e ricevuto suggerimenti e indicazioni – da studiosi italiani e spagnoli (soprattutto Anna Bosco, Andrea Graziosi, Simonetta Soldani, Tania Vergè e Celia Valiente). La tesi, così come rielaborata sotto la supervisione del mio tutor, si compone di una parte a carattere teorico e di una parte dal profilo empirico. Ho ritenuto fondamentale, prima di iniziare i lavori, esplicitare, in una premessa metodologica l’ipotesi di base, i casi di studio individuati, la metodologia di ricerca usata, la struttura della ricerca e gli obiettivi prefissati. La questione delle dimensioni qualitative della democrazia cerca ancora una uniformità metodologica, considerato che gli interessi conoscitivi degli scienziati politici che l’hanno trattata sono stati molteplici, come anche molteplici le strategie di ricerca adottate e le indagini empiriche utilizzate. Agli studi a carattere comparativo fortemente denotativo come quelli di Lijphart, di Morlino, di Altman e Pérez-Liñán (con un’alta casistica corredata da un raffronto sistematico in termini quantitativi) se ne affiancano altri precipuamente connotativi, focalizzati su un minor numero di casi ma con maggior dovizia di approfondimenti analitici ed un bilanciato utilizzo di tecniche quantitative e qualitative (come la ricerca di Diamond e Morlino). Prendendo spunto dalla letteratura riguardante la valutazione delle democrazie, secondo cui le democrazie possano essere classificate, in relazione alla qualità, anche in termini empirico-valutativi, l’ipotesi di base è dunque che in quei paesi in cui c’è una pari rappresentanza politica maschile e femminile ovvero una comunque elevata presenza femminile nella politica, si registra un livello più alto di qualità della democrazia. La domanda che mi sono posta in partenza è se incrementando la rappresentanza politica femminile, come fattore di sviluppo delle potenzialità democratiche, sia possibile migliorare la qualità democratica, attraverso le potenzialità dei cittadini e delle istituzioni. Ed è questo ciò che intendo verificare nel mio studio. Ho scelto l’Italia e la Spagna quali oggetti di studio, in quanto presentano realtà geograficamente, socio-culturalmente, etnicamente e religiosamente abbastanza vicine: sebbene i due paesi abbiano collaudato il loro processo di democratizzazione in differenti momenti storici ed in differenti contesti istituzionali, la Spagna costituisce un modello con cui confrontarsi, specie per quanto riguarda l’impatto delle questioni di genere nella legislazione, nei regolamenti parlamentari e negli statuti dei partiti. La mia ricerca è iniziata sia dall’analisi della letteratura relativa alla qualità democratica sia dallo studio del materiale storico per contestualizzare i casi di studio nella dimensione sincronica. La fase successiva ha riguardato il reperimento e l’analisi dei dati in merito alla rappresentanza politica femminile nelle istituzioni italiane e spagnole e nei partiti, non senza aver dato un’occhiata fuggevole al quadro costituzionale e normativo, aspetti che costituiscono la base per un’analisi del rapporto tra le donne e l’attività politica e per poter istituire un confronto in chiave cognitiva sulle caratteristiche di una situazione che, per la sua complessità, non si presta ad essere trattato con un approccio monodimensionale (ad esempio solo giuridico o storico o solo statistico o sociale) ma richiede più ampie modalità interpretative. Il taglio utilizzato è quello comparativo, più specificatamente ho utilizzato la comparazione binaria su due “most similar systems” (Przeworski e Teune, 1970): tale strategia di ricerca (comparazione qualitativa) ha posto l’attenzione sulle somiglianze e differenze dei casi di studio, il che mi ha permesso di osservare un’ampia serie di fattori, mediante l’adozione della parametrizzazione di alcune caratteristiche di tipo politologico - storico – geografico - culturale. La mia ricerca è dunque fondata su una comparazione di tipo qualitativo della rappresentanza politica femminile, basandosi sul raffronto dei casi e delle relative caratteristiche simili o differenti, secondo la loro presenza o assenza, e sviluppandosi in una comparazione di tipo sincronico. I dati sono stati raccolti da fonti secondarie affidabili ed ufficiali (quali, tra l’altro, le banche dati Inter Parliamentary Union, ONU, UE, ISTAT e quelle dei Parlamenti italiano e spagnolo, nonché del Dipartimento per le Pari Opportunità e dell’Instituto de la Mujer). La tesi si compone di due parti: la prima teorica, in cui vengono fornite definizioni, tassonomie e concettualizzazioni della qualità democratica, e descritti gli indicatori utilizzati dai principali scienziati politici che, nel corso del tempo, si sono occupati di questo argomento. Nella seconda parte dello studio, che ho dedicato alla sperimentazione empirica di due differenti contesti nazionali, le ipotesi formulate in precedenza, vengono sottoposte a controllo sistematico mediante l’esame dei dati raccolti. Due i focus nella prima parte della ricerca: uno è rivolto allo studio di un preciso indicatore di qualità democratica, utilizzato dallo studioso olandese Lijphart, la rappresentanza politica femminile. L’altro focus è dedicato alla natura delle gender equality policies e alla contestualizzazione dei gender studies all’interno della scienza politica e, più in particolare, all’interno degli studi sulla qualità democratica. Lo scopo dello studio è verificare la presenza o meno di qualità democratica ed il suo eventuale livello, all’interno dei due paesi democratici scelti come casi di studio, in base al loro effettivo modellarsi ed al concreto funzionamento utilizzando come indicatore di qualità democratica – cioè come «espressione del legame di rappresentazione semantica fra il concetto più generale ed un concetto più specifico di cui possiamo dare la definizione operativa» (cfr. Morlino 2005) - la rappresentanza politica femminile, stabilendo un nesso causale fra una o più variabili. Tenendo presenti come variabili indipendenti (o cause) quelle normative, culturali ed istituzionali (e le relazioni tra di esse) di ciascun ordinamento preso in considerazione, ho analizzato empiricamente le conseguenze e gli effetti da queste prodotti sulla rappresentanza politica femminile, prestando particolare attenzione al denotarsi o meno di una democrazia di qualità (considerata in questo studio come variabile dipendente, o effetto). Il numero delle variabili indipendenti scelte è ridotto a tre (politiche, normative, storico-culturali) per non incidere sulla purezza della relazione causa - effetto ipotizzata. Con l’intento di sperimentare la validità dell’indicatore preso in esame, ho analizzato diversi altri aspetti ad esso collegati, quali le gender equality policies, i gender studies nonché le istituzioni gender friendly. Gli obiettivi rivestono, innanzitutto, un carattere conoscitivo, nonché applicativo per la migliore valorizzazione dei risultati attesi. Con questa mia ricerca ho voluto affrontare un tema in continuo divenire nella produzione scientifica italiana, il quale per tale ragione costituisce un’importante occasione di riflessione e di approfondimento sulla rappresentanza politica e, in particolare, sulla disciplina della partecipazione della donna alla vita democratica dei Paesi che costituiscono i due casi di studio individuati. Questo studio vuole dunque essere un’occasione di dettagliata osservazione circa gli studi sulla qualità democratica e la democrazia stessa attraverso l’osservazione, in un’ottica di genere, delle sue sedi istituzionali e dei suoi attori politici (le assemblee parlamentari ed i partiti): l’attenzione per la rappresentanza femminile all’interno delle assemblee parlamentari e dei partiti politici costituisce un punto di vista utile per contribuire agli studi sulla valutazione della qualità della democrazia. La Prima parte si apre (Capitolo I – Introduzione e § 1) dando spazio, innanzitutto, alle analisi e alle teorie (ripercorrendo il punto di vista storico/filosofico/politico di numerosi autori) relative al concetto e alle tipologie di democrazia, termine maggiormente usato in campo politologico, sin dai tempi di Aristotele. Esso ha percorso un lungo iter connotato da svariate ed affatto univoche considerazioni e sicuramente ciò è collegato alla diversità dei momenti temporali o dell’ottica ideologica o culturale attraverso le quali lo si è declinato. A tutt’oggi, non esiste “la” definizione di democrazia ma, come sottolinea Dahl (2002), «Dopo più di due millenni da quando il termine è stato coniato nell’antica Grecia, non siamo ancora venuti a capo di una definizione generalmente accettata». Tuttavia «definire la democrazia è importante perché stabilisce cosa ci aspettiamo da essa» (Sartori, 1993), ed è dunque imprescindibile partire da una sua definizione operativa che non coincida né con un’ideologia, né con una dottrina politica, né con una particolare forma di governo. Il successivo § 2 del capitolo si sostanzia nell’analisi di definizioni, tassonomie e concettualizzazioni della qualità democratica e nella descrizione dei principali indicatori utilizzati dagli scienziati politici che, nel corso del tempo, si sono occupati di questo argomento; partendo dalla procedura, maggiormente puntuale e sicuramente più utilizzata, elaborata da Morlino (2005 e 2013) risulta chiaro che la nozione di qualità democratica ha un’essenza multidimensionale e pluralistica; numerosi scienziati politici e 4 studiosi concordano sul fatto che uno studio empirico, che valuti se una democrazia sia qualitativa o meno, debba considerare almeno otto dimensioni di variazione o indicatori di qualità della democrazia (analiticamente esaminati nel paragrafo), relativi alla valutazione di contenuti, procedure e risultati. Il § 3, conclusivo, spiega quanti e quali siano i modi in cui la qualità democratica è stata studiata: affrontare lo studio della qualità democratica stessa, con le sue dimensioni a volte in contrasto l’una con l’altra, può voler dire analizzare prevalentemente una qualità piuttosto che un’altra e spiegare un certo risultato in un paese in quanto a qualità. Anche se appare evidente che la vivace attività di ricerca sulla qualità democratica non gode di una univoca metodologia, è innegabile, tuttavia, che gli scienziati politici stiano studiando soluzioni per valutarla al meglio; attraverso un breve focus sull’insieme di valori che riguardano il funzionamento di una democrazia ideale e l’insieme delle caratteristiche che identificano empiricamente tali valori, ho voluto ipotizzare una classificazione degli studi sulla qualità democratica - alcuni dei quali sono presi come spunto e trovano applicazione nel dibattito politico - categorizzandoli in base a parole chiave quali i diritti, le libertà e l’uguaglianza, la valutazione della stabilità delle istituzioni. Il Capitolo II è dedicato alla presenza delle donne nelle istituzioni come indicatore della qualità democratica; ho dedicato parte dell’Introduzione a delineare un breve quadro della condizione femminile nei più recenti e deleteri regimi dittatoriali del recente passato europeo, cioè la Germania nazista e il comunismo sovietico (Bock, 2007; Navailh, 2007), al fine di chiarire come un grado, più o meno alto, di gender equality sia “univoco” indicatore della democrazia di un paese e della sua qualità (ricordo che in tali regimi l’uguaglianza tra i sessi, per alcuni versi, era apparentemente più garantita che in molte odierne democrazie). Ciò premesso, è tuttavia da sottolineare come sia orientamento ormai riconosciuto dalla comunità scientifica, politica e sociale che una partecipazione femminile maggiore dell’attuale, in ambito politico, e una rappresentanza paritaria, costituiscano indicatori concorrenti in una analisi sulla qualità democratica. Se dunque il concetto di pari opportunità è ormai riconosciuto come principio fondamentale della democrazia (Brezzi, 2014) in quanto afferente sia alla sfera dei diritti sia a quella delle libertà, è consequenziale che l’utilizzo di indicatori gender sensitive sia un importante strumento per contribuire alla valutazione di una democrazia piena e completa di tutti i cittadini (uomini e donne) nel processo di decision making e negli altri aspetti della vita democratica di un paese. È in questa ottica che ho rivolto particolare attenzione alle teorie dello studioso olandese Lijphart ed alla sua fondamentale analisi delle diverse “forme di democrazia” e della loro performance (1984, I ediz., 1999, II ediz. e 2012 ultima edizione). Nelle sue ricerche ha costruito (1999; 2012) ha costruito un preciso indicatore di qualità democratica (la rappresentanza politica femminile nelle istituzioni democratiche) che risulta essere uno degli indicatori maggiormente interessanti in questo ambito. Il § 1, analizzando il contributo del grande studioso da cui conseguono alcune interessanti considerazioni, indaga su quali risultati deve produrre il sistema della rappresentanza per porre in essere una democrazia di qualità. Egli include tra i numerosi indicatori di risultato usati per misurare la qualità della democrazia consensuale (variabile indipendente misurata nella dimensione esecutivo e partiti) la rappresentanza politica delle donne (nel legislativo e nell'esecutivo) e la disparità tra donne e uomini (indice disuguaglianza di genere). L’autore ritiene la rappresentanza politica femminile una «misura importante» per una attenta valutazione sia della qualità sia della rappresentanza democratica in assoluto; anche perché può aiutare a valutare in modo indiretto – utilizzandola quale proxy – la rappresentanza in generale delle minoranze (ad esempio etniche e religiose), misura difficilmente individuabile a causa della loro irregolare distribuzione sul territorio; pertanto si può far riferimento ad una «minoranza politica» e non demografica, quella di genere, che è riscontrabile e comparabile in modo sistematico. La rappresentanza politica femminile è utilizzato come indicatore anche in numerosi indici, sia semplici che compositi, e nell’ambito di molteplici dimensioni che li compongono. È di questo che si occupa il § 2, in cui riporto i principali indici internazionali che utilizzano indicatori relativi alla rappresentanza politica di genere, argomento di base di questo studio, prima di passare a una sintetica trattazione di questi indici. Nel Capitolo III, con il quale si chiude la parte teorica della tesi, ho trattato l’argomento dei Gender Studies, partendo (Introduzione) da alcuni brevi cenni definitori e concettualizzazioni, per evitare ambiguità lessicali che possano nuocere alla linearità della successiva trattazione, di temi quali l’empowerment e il mainstreaming di genere, le differenze tra sesso e genere, tra gender studies e women’s studies nonché tra ricerca gender oriented e gender sensitive; si tratta di argomenti da qualche tempo inseriti nel dibattito scientifico, anche sotto l’aspetto dell’elaborazione di adeguati strumenti d’indagine per evidenziare l’esistenza di ruoli e relazioni correlati al genere. La contestualizzazione dei gender studies nella Scienza Politica costituisce l’argomento del § 1: la loro prolungata invisibilità ha fatto sì che la notevole mole di ricerca, condotta in quest’ottica, producesse ramificazioni e sbocchi multidisciplinari, anche dal taglio metodologico innovativo. D’altra parte la prospettiva del genere ha, in qualche modo, contribuito a rimodulare l’approccio metodologico e ad arricchire la pluralità dei soggetti trattati dalle più disparate discipline scientifiche, imprimendo impulso a nuovi campi di ricerca (Piccone Stella, 2010). È dunque possibile affermare che essi sono volti allo studio dell’identità di genere, attraverso un approccio multidisciplinare, interdisciplinare e plurimetodologico. Quanto detto porta direttamente a dover rispondere ad alcuni interrogativi, pivotali per gli argomenti trattati in questa ricerca, su come si collocano tali studi all’interno di un ambito disciplinare quale è quello della Scienza Politica. Non è possibile disconoscere il contributo dato dalle teorie femministe alla trasformazione del dibattito contemporaneo e di molte teorie politiche nonché alla progressiva evoluzione di alcune norme (Lois, Alonso, 2014): in questo senso Rosalind Sharon Krause (2011) afferma che gli studi di teoria politica degli anni ‘70, anche quelli che non si incentrano sulle donne o sul genere, si sono arricchiti progressivamente di una consapevolezza critica circa la qualità che l’ottica di genere porta nelle relazioni di potere. L’introduzione degli studi di genere nella Scienza Politica è avvenuta grazie all’«interazione delle teorie più importanti su sesso biologico, genere socialmente costruito e vita politica» (Tolleson-Rinehart, Carroll, 2006), cosicché i temi sui quali si è principalmente focalizzata l’attività di ricerca sono quelli riferiti alle politiche pubbliche e all’interazione tra strutture istituzionali, che sono maggiormente coinvolti nella realizzazione della parità di genere e della tutela dei diritti delle donne nelle democrazie contemporanee. Il tema del § 2 sono proprio le gender equality policies, viste come strumento di qualità democratica nonché le loro strategie (statuizioni normative, azioni positive e strategie di gender mainstreaming), e le gender friendly institutions (women’s policy agencies, Parlamenti gender sensitive). Infatti, nell’ottica della concretizzazione della prospettiva di genere nella Scienza Politica, ho ritenuto di accennare alcuni elementi relativi alla completa attuazione dei processi di gender equality policies, nonché analizzare anche “come” le donne vengono (o sono state) “integrate” nelle istituzioni democratiche. Una delle linee di ricerca politologica più promettenti rispetto allo studio delle istituzioni è quella che riguarda l’incorporazione della prospettiva di genere nelle attività istituzionali di un paese. Questa linea di ricerca parte dalla premessa che le istituzioni non risultano neutrali rispetto al genere, finché riproducono le norme e i valori preminenti relativi alla disuguaglianza tra uomini e donne. La Scienza Politica ha, pertanto, iniziato a occuparsi di analizzare e rendere visibili i processi che intendono evitare il perpetuarsi nelle istituzioni di relazioni asimmetriche di potere tra i sessi (Lois, Alonso, 2014). La trasformazione delle istituzioni da strutture statiche a dinamiche è favorita dalla scelta di una prospettiva di genere: si tratta di un cambiamento che deve avvenire dall’interno (Vingelli, 2005), ma che può essere favorito da una pressione esterna, e porta all’instaurarsi di nuove procedure che diventano routinarie, così come le vede Jepperson (1991). La Seconda parte dello studio è dedicata alla sperimentazione empirica delle ipotesi formulate in precedenza, sottoposte a controllo sistematico mediante l’esame dei dati raccolti riguardanti i due casi di studio individuati. Nell’Introduzione a questa parte del lavoro, che ho dedicato alla nascita e al percorso del concetto di cittadinanza in un’ottica di genere, ho voluto ripercorrere – in una sintetica esposizione a carattere cronologico – le principali tappe che hanno segnato il lungo cammino delle donne verso l'acquisizione, per lo meno dal punto di vista formale, di quell'insieme di diritti civili e politici che qualificano chi ne è titolare come “cittadino” (Godineau, 2000; Fraisse, Perrot, 2000; Sineau, 2007). Storicamente l’argomento della cittadinanza è stato analizzato da un punto di vista univoco senza utilizzare la categoria del genere e quindi non differenziando i diversi percorsi temporali, politici e giuridici compiuti dall’esperienza maschile e da quella femminile. Nella precedente parte teorica, più volte ho rilevato che insito nel concetto stesso di democrazia è il principio di uguaglianza, al cui aspetto formale deve corrispondere quello sostanziale (Caravita, 1990; Ainis, 1999; Sartori, 2003; Pasotti, 2005; Gianformaggio, 2005; Celotto, 2009). Perciò il fine ultimo si concretizza nel raggiungimento di una uguaglianza sociale e, inevitabilmente, soprattutto politica, in quanto la mancanza di un equilibrio sociale comporta senza dubbio ripercussioni su quello politico. Infatti, senza l’uguaglianza dei diritti politici non sarebbe possibile giungere alla libertà della collettività che è un’unità politica omogenea; la sfera politica e quella sociale sono, dunque, strettamente interrelate: ad uno scarso potere sociale corrisponde uno scarso potere politico e viceversa. Tutto questo richiede la partecipazione di ogni cittadino alle attività politiche fondamentali. 7 Il Capitolo IV è dedicato all’Italia. Nel § 1, ricollegandomi a quanto già trattato nella prima parte dell’Introduzione del Cap. II, traccio un excursus del lungo cammino storico – culturale che ha portato nel nostro paese all’affermazione della parità tra i sessi, con particolare riguardo all’azione politica, perché se è vero che la nostra Costituzione repubblicana ha dato alle donne i pieni diritti di cittadinanza, è altrettanto vero che una radicata “legge privata” è stata troppo spesso più resistente delle pressioni democratiche. Il ritardo con cui è stato applicato il principio di uguaglianza nel nostro Paese, ha avuto una duplice valenza sia nella delicatezza del problema sia nella difficoltà di applicazione. Si tratta quindi di una trattazione che, utilizzando al categoria del genere, affronta la condizione femminile – dal punto di vista storico, giuridico, ma soprattutto politico – a partire dall’instaurarsi della Repubblica (Marcucci, Vangelisti, 2013) senza però trascurare il substrato precedente tramite una breve analisi delle condizione femminile nell’Italia post – unitaria e durante il fascismo (Duby, Perrot, 2007; De Grazia, 2007). Il Capitolo V è dedicato al caso spagnolo. Anche qui affronto nel § 1 un breve excursus storico-politico della condizione femminile dal periodo pre –democratico della Spagna (Bussy Genevois, 2007) alla fase di democratizzazione, per contestualizzare la rappresentanza e la partecipazione femminili nella politica attuale: la Costituzione spagnola del 1978 ha significato una autentica ridefinizione dello status giuridico/politico femminile (e non solo), sia nello spazio pubblico che in quello privato (García Mercadal, 2005; Aguado, 2005), nell’ambito di quello che molti analisti e scienziati politici, specialmente tra i più recenti, (Paleo e Diz, 2014; Alonso e Muro, 2011; Gunther e Montero, 2009; Bosco, 2005) hanno definito “modello spagnolo” di transizione democratica, emulato anche in altre realtà che successivamente si sono accostate alla democrazia, in America Latina come in Europea orientale. Sia per il caso italiano (cap. IV), sia per quello spagnolo (cap. V) ho elaborato in grafici e tabelle i dati raccolti, inseriti poi nei rispettivi § 2 e § 3, i quali riguardano le politiche di genere, che ciascuno dei due paesi utilizza per mantenere stabile o incrementare la rappresentanza politica femminile, e la qualità della democrazia (i meccanismi di riequilibrio: quote costituzionali, legislative e di partito; le istituzioni gender friendly) nonché la rappresentanza politica femminile (con i dati sugli organi elettivi e di governo e quelli sui principali partiti). Infine nelle Conclusioni traccio un bilancio in chiave comparativa di quanto emerge dalle ricerche effettuate, mostrando l’importanza del collegamento con le teorie enunciate dai politologi illustrate nella parte teorica. Sulla scorta del confronto tra i due casi di studio e di quanto affermato dalla politologia e dagli studi di genere contemporanei presentati, si può affermare a conclusione di questo lavoro che a pieno titolo entrambe i paesi corrispondono sicuramente a democrazie di «buona» qualità. Prendendo come indicatore la sola rappresentanza politica femminile, probabilmente la Spagna risulta avere un livello più avanzato, non tanto per il dato numerico maggiore, ma perché osservando e sommando il dato costituzionale e legislativo, i regolamenti, l’attenzione partitica nella selezione delle cariche, la cultura politica, l’influenza femminile nel processo di policy making, essa sembra avere interiorizzato maggiormente la cultura della parità. 8 Tuttavia sia per l’Italia che per la Spagna, a livello di importanza e qualità di incarichi, il cammino per raggiungere una piena situazione di parità, che elevi ulteriormente il livello di qualità democratica, sembra essere ancora lungo per entrambe i paesi. | URI: | http://hdl.handle.net/2307/5951 | Access Rights: | info:eu-repo/semantics/openAccess |
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