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Title: La colpa nei reati omissivi impropi
Authors: Massaro, Antonella
Advisor: Trapani, Mario
Issue Date: 13-Mar-2009
Publisher: Università degli studi Roma Tre
Abstract: FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA SCUOLA DOTTORALE INTERNAZIONALE DI DIRITTO ED ECONOMIA "TULLIO ASCARELLI" SEZIONE DI DIRITTO PENALE (XXI CICLO) Tesi di dottorato Abstract LA COLPA NEI REATI OMISSIVI IMPROPRI Dottoranda Antonella Massaro Coordinatore e tutor Chiar.mo Prof. Mario Trapani ANNO ACCADEMICO 2007-2008 Antonella Massaro - La colpa nei reati omissivi impropri. Abstract Il reato omissivo improprio colposo può essere efficacemente paragonato ad una formidabile cassa di risonanza, entro la quale ricevono significativa amplificazione le tematiche più complesse relative tanto alla colpa quanto all'omissione. Si tratta del resto di un effetto facilmente comprensibile, visto che la colpa rappresenta sul piano dell'elemento soggettivo del reato l'esatto equivalente di ciò che l'omissione rappresenta all'interno dell'elemento oggettivo. Le categorie del c.d. momento omissivo della colpa o della c.d. causalità della colpa sono significativamente evocative, già a livello terminologico, della vicinanza sistematica tra colpa ed omissione, che, in mancanza di una rigorosa actio finium regundorum, rischia di tradursi in poco condivisibili "sovrapposizioni sistematiche" e, dunque, in vere e proprie "amputazioni" in sede di accertamento. L'obiettivo che si è ritenuto di assumere quale costante punto di riferimento è stato quello di ricondurre la responsabilità per omissione colposa entro i confini di una responsabilità eccezionale, intesa non già - come pure per lungo tempo è avvenuto - come deviazione rispetto alla regola rappresentata dal reato commissivo doloso, ma, piuttosto, come responsabilità che può sussistere solo in capo a soggetti preventivamente determinati e solo al verificarsi di rigidi presupposti che non tollerano alcuna concessione alla pretese colpevoliste di cui potrebbe farsi portatrice la c.d. società del rischio. Lo strumento del quale servirsi è costituito innanzitutto dal "ritorno" al dato positivo che, lungi dal costituire l'ingombrante relitto di una veterodommatica impermeabile all'"impatto della modernità", consente di mantenere ben saldi gli argini che impediscano a quell'impatto di degenerare in autentiche forme di responsabilità "di posizione". A tal fine pare opportuno valorizzare una distinzione tra componenti oggettive e componenti soggettive nel giudizio di responsabilità per omissione colposa. Ciò - beninteso - non significa muovere da un'aprioristica contrapposizione tra elemento oggettivo (=omissione) ed elemento soggettivo (=colpa), come se si trattasse di luoghi sistematici irriducibilmente contrapposti e assolutamente incomunicabili; significa, piuttosto, valorizzare ciò che di soggettivo c'è 1 Antonella Massaro - La colpa nei reati omissivi impropri. Abstract nell'omissione e ciò che di oggettivo c'è nella colpa e di trarne le necessarie conseguenze, specie in riferimento alla scelta del parametro alla cui stregua condurre l'accertamento. La trattazione muove proprio da una ricostruzione delle affinità tra colpa ed omissione, tanto sul piano storico quanto, soprattutto, sul piano sistematico e probatorio. A termine del faticoso processo di emancipazione della colpa dal corrispettivo psicologico del dolo e dell'omissione dal corrispettivo naturalistico dell'azione in senso stretto, ciò che resta è la difficile praticabilità di un superiore concetto unitario, rispettivamente, di "colpevolezza" e di "azione" e il punto di partenza per una convincente sistematica di colpa ed omissione diviene la natura normativa di entrambe. Tanto la colpa quanto l'omissione, in effetti, si caratterizzano per un evidente carattere deontico-relazionale, con la conseguenza per cui la loro ricostruzione e il loro accertamento restano affidati a giudizi di tipo ipotetico-normativo: il comportamento del soggetto, in altri termini, assume rilevanza penale solo in quanto "valutato" in riferimento ad un modello astratto di comportamento, prefissato dal legislatore e rimasto disatteso. Si è tuttavia cercato di chiarire che la natura normativa dell'omissione e della colpa non conduce ad un'automatica e completa irrilevanza del dato naturalistico: se ogni valutazione non può che concepirsi in riferimento ad un oggetto da valutare, "ciò che è stato" rappresenta pur sempre l'innegabile punto di partenza di un'indagine che, a fini di imputazione, passi poi a considerare "ciò che doveva e poteva essere". Dalla premessa in questione sembra possano derivare significative conclusioni, specie in riferimento al requisito della coscienza e volontà della condotta e alla problematica distinzione tra "fare" ed "omettere". Quest'ultima, in particolare, assume la veste di vera e propria questione pregiudiziale per ogni indagine in tema di reati omissivi impropri: il c.d. momento omissivo della colpa, del resto, al di là delle suggestioni terminologiche, non fa altro che rimandare all'incerta definizione di sicuri criteri che consentano di chiarire quando, realmente, la condotta penalmente rilevante assuma i contorni di un'omissione. 2 Antonella Massaro - La colpa nei reati omissivi impropri. Abstract Nel tentativo di condurre un'indagine parallela tra colpa ed omissione, che evidenzi le innegabili affinità sul piano sistematico ma, al contempo, consenta di mantenere rigorosamente distinti i rispettivi ambiti applicativi, si è ritenuto di assumere quale filo conduttore quello offerto dal concetto di "dominabilità", che pare possa essere efficacemente specificato in tre contenuti fondamentali: a) la predeterminazione della regola da cui ricavare la condotta doverosa e/o diligente e, dunque, la sua previa riconoscibilità da parte dell'agente; b) la possibilità di agire diversamente, in senso conforme al modello astratto individuato dal legislatore; c) la possibilità di agire utilmente, nel senso che il comportamento doveroso e diligente, alternativo rispetto a quello tenuto, sia quello che effettivamente riesca ad evitare il verificarsi del risultato vietato. Sul versante dell'omissione si è attribuita rilevanza centrale alla ricostruzione dei reati omissivi impropri come reati "propri", che possono essere commessi solo dal soggetto preventivamente fornito dall'ordinamento dei poteri "giuridici" la cui attivazione consente l'impedimento dell'evento dannoso o pericoloso. La titolarità di poteri "giuridici" è condizione preliminare rispetto alla verifica di un potere anche "naturalistico" di intervento: troppo spesso, per contro, in applicazione della logica per cui "si può naturalisticamente e quindi si deve" il modello del reato omissivo colposo si è prestato a vere e proprie degenerazioni eticizzanti, magari attraverso la valorizzazione di malintese esigenze solidaristiche. Sul versante della colpa si è ritenuto di poter condividere le linee di fondo di quelle impostazioni che ormai da tempo hanno rilevato una doppia funzione della colpa. In particolare la regola cautelare, che contribuisce alla descrizione della condotta tipica, andrebbe individuata secondo il parametro dell'homo eiusdem professionis et condicionis, da intendersi come agente-tipo che si trova ad operare nella situazione-tipo. La funzione soggettiva della colpa e la sua valorizzazione come criterio di imputazione soggettivo, per contro, potrebbero essere adeguatamente assicurate solo ricorrendo al parametro dell'agente concreto, che pare riesca senza troppe difficoltà a sottrarsi alla critiche che tradizionalmente gli vengono rivolte. Anche al fine di superare ogni possibile residuo di forme di culpa in re ipsa, almeno 3 Antonella Massaro - La colpa nei reati omissivi impropri. Abstract assumendo quale riferimento la colpa descritta dall'art. 43 c.p., si è valorizzata l'omogeneità strutturale colpa generica e colpa specifica, con la conseguenza che, in tutti i casi in cui sia dato ravvisare una "regola cautelare", l'accertamento della colpa deve necessariamente superare le due fasi appena ricordate: prima occorre individuare la regola cautelare, che deve necessariamente risultare predeterminata rispetto alla condotta dell'agente e quindi dallo stesso conoscibile; poi si tratta di verificare se quell'agente, in quella situazione potesse adeguare il proprio comportamento a quello richiesto dall'ordinamento per il tramite della regola cautelare. Proprio la funzione svolta dalla regola cautelare in sede di descrizione della condotta tipica ha rappresentato la necessaria premessa dalla quale muovere per affrontare la tematica della c.d. causalità della colpa. La categoria in questione viene di solito riempita di contenuto mediante due aspetti, anche se non sempre chiaramente differenziati l'uno rispetto all'altro: si tratta della riconducibilità dell'evento concreto al tipo di quelli che la regola cautelare mirava ad evitare e della rilevanza del comportamento alternativo diligente. Se in riferimento ai reati commissivi la ricostruzione dello scopo della regola cautelare che si assume violata pare rappresentare un prius logico e giuridico rispetto alla verifica della rilevanza del comportamento diligente, alternativo rispetto a quello effettivamente tenuto, non sembra che tali premesse mantengano intatta la propria validità anche in riferimento ai reati omissivi. In effetti, nonostante debba muoversi da una netta distinzione tra l'obbligo giuridico di impedire l'evento e l'obbligo di diligenza, nel senso che se il soggetto non era giuridicamente obbligato ad intervenire neppure si pone il problema relativo all'individuazione delle cautele che avrebbe dovuto adottare nel caso di specie, è innegabile che il valore causale dell'omissione vada valutato in riferimento alla condotta "alternativa" complessivamente considerata e, dunque, comprensiva delle specificazioni che derivano dalla regola cautelare. A ciò si aggiunga che lo scopo della regola violata, lungi dal costituire un requisito dotato di effettiva autonomia sistematica, che interviene a specificare il contenuto di una regola cautelare già individuata, contribuisce in realtà alla 4 Antonella Massaro - La colpa nei reati omissivi impropri. Abstract descrizione della regola stessa. La struttura di una regola a finalità preventiva può essere così schematizzata: "In una situazione del tipo A è prevedibile che possano verificarsi eventi del tipo X, che possono essere evitati tenendo un comportamento Y". Dalle due premesse in questione (1) la regola cautelare interviene già in sede di descrizione della condotta tipica; 2) lo scopo della regola contribuisce alla descrizione della regola cautelare) dovrebbe derivare la sillogistica conclusione per cui nel caso in cui l'evento concreto non rientri in quelli del tipo che la regola cautelare mirava ed evitare non possa neppure individuarsi una condotta penalmente rilevante, primo termine della relazione causale rispetto all'evento. Più complessa si rivela tuttavia la questione nel caso in cui vengano in considerazione settori caratterizzati da un'acquisizione scientifica in fieri, per effetto della quale le conoscenze causali di cui dispone il giudice al momento dell'accertamento sono diverse e più ampie di quelle disponibili al momento della condotta (si pensi alla casistica relativa all'esposizione dei lavoratori a sostanze tossiche). In queste ipotesi sembra più convincente ritenere che lo scopo della regola cautelare attorno alla quale modellare la condotta tipica vada individuato tenendo conto delle conoscenze disponibili ex post. Non varrebbe obiettare che quest'ordine di considerazioni rischierebbe di mettere in discussione la necessaria predeterminazione della regola cautelare: una cosa è il comportamento prescritto dalla regola; cosa diversa è lo scopo di tutela che alla stessa regola si ritenga di attribuire. Quindi, se un certo comportamento, al momento della condotta, mirava ad evitare solo eventi del tipo X, mentre in base alle conoscenze successive lo scopo della regola cautelare comprende eventi del tipo X + Z, deve concludersi che, nel caso in cui si riesca a dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l'evento è stato conseguenza della condotta difforme rispetto al modello astratto prefissato dal legislatore, sussiste il nesso di causalità materiale, mentre difetta l'elemento soggettivo della colpa. L'ultimo Capitolo costituisce nell'economia della trattazione una sorta di banco di prova: si è infatti cercato di verificare la tenuta dei principi generali individuati nei Capitoli precedenti in riferimento alla tematica dell'omesso 5 Antonella Massaro - La colpa nei reati omissivi impropri. Abstract impedimento del reato altrui, specie quando si tratti di soggetti posti al vertice di un'organizzazione complessa strutturata in forma piramidale. La tematica dell'omesso impedimento del reato altrui è legata a filo doppio alla disciplina del concorso di persone nel reato: si è quindi presa in considerazione l'ammissibilità di un "concorso per omissione", muovendo dal presupposto che l'evento individuato dall'art. 40, secondo comma c.p. quale oggetto dell'obbligo di impedimento, può essere anche costituito dal reato commesso da altri, a condizione che oggetto dell'obbligo di impedimento sia proprio l'altrui condotta e, quindi, l'altrui reato. Da ciò deriva che la condotta di omesso di un reato altrui risulta già tipica ai sensi dell'art. 40, secondo comma c.p., senza la necessità di ricorrere alla funzione incriminatrice delle disposizioni sul concorso di persone nel reato. Per chiarire se e a quali condizioni possa venire in considerazione la loro funzione di disciplina è stato necessario verificare i presupposti ed i limiti di applicabilità della cooperazione colposa ex art. 113 c.p.. In questo ambito ancora più evidente diviene l'esigenza di ricondurre l'omissione colposa entro i più rassicuranti confini di una responsabilità eccezionale, per evitare che dietro le etichette della culpa in vigilando o in eligendo si nascondano - per la verità neppure troppo dissimulate - autentiche forme di responsabilità per fatto altrui. Indicazioni utili sembra possano derivare dal concetto di colpa "per" l'organizzazione che, pur avendo assunto rilevanza nel dibattito penalistico soprattutto per le sue applicazioni in tema di responsabilità da reato degli enti, può rappresentare un riferimento più puntuale rispetto ad un troppo generico "obbligo di vigilanza" nell'individuazione delle regole cautelari cui è chiamato ad adeguarsi il soggetto in posizione apicale. 6
URI: http://hdl.handle.net/2307/492
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T - Tesi di dottorato

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