Please use this identifier to cite or link to this item: http://hdl.handle.net/2307/4230
Title: Il Consiglio di Stato durante la fase costituente
Authors: Cavallo, Corrado
Advisor: Alvazzi del Frate, Paolo
Keywords: Consiglio di Stato
giustizia amministrativa
Issue Date: 15-May-2012
Publisher: Università degli studi Roma Tre
Abstract: Il 2011, oltre a segnare i 150 anni dell’Unità d’Italia, rappresenta anche l’anno in cui il Consiglio di Stato festeggia i suoi 180 anni risultando così essere un organo preunitario, che è passato apparentemente indenne attraverso periodi complessi e diversi tra loro, dal regime liberale al regime autoritario e dispotico degli anni del fascismo, dalla monarchia alla repubblica, dallo monarchia assoluta del re Carlo Alberto al periodo costituzionale. Inoltre risulta essere espressamente previsto e citato da ben tre articoli della nostra Costituzione. Ci siamo chiesti come è stato possibile che un organo espressamente voluto da un monarca, inizialmente un monarca assoluto, sia potuto resistere nel tempo con delle trasformazioni che ne hanno ampliato gli ambiti di riferimento e di azione invece di ridurli? Come è stato possibile che attraverso la trasformazione più radicale della storia italiana, nascita della Repubblica nel 1946 ed entrata in vigore della Costituzione nel 1958, il Consiglio di Stato sia potuto non solo sopravvivere ma vedere riconosciute costituzionalmente le sue funzioni e prerogative? Da subito ci si è accorti che non erano domande dalle risposte scontate: così come non è stato pacifico il passaggio dal periodo preunitario a quello unitario e liberale, così non lo è stato ancor di più nel periodo della fase Costituente. La determinazione della fase iniziale non poteva essere che l’inizio del Consiglio di Stato, sia per celebrarne i 180 anni in comunione con tutta l’Istituzione, sia perché ritornare alle origini ha aiutato chi ha condotto la ricerca a capire quali erano le forze e le energie che scorrevano e scorrono a livello sotterraneo nella storia che hanno permesso una continuità, seppur con delle variazioni, ad uno delle istituzioni più antiche, di poco più giovane dell’Arma dei Carabinieri. Si è scelto come termine della ricerca il 1953 per vari motivi. In quegli anni finiva una legislatura con un episodio da molti, specie dal versante di sinistra, criticato e vivamente osteggiato al Senato con l’approvazione della cd. “legge truffa”. Il Senato sarebbe stato sciolto dopo la presidenza più breve della storia, quella di Meuccio Ruini, tra l’altro Presidente emerito del Consiglio di Stato. La legge per il funzionamento della Corte Costituzionale era stata approvata, si stava dando attuazione alla Costituzione anche mediante pronunce del Consiglio di Stato, era entrato in funzione uno speciale organo di giustizia amministrativa in Sicilia. Per tutti questi motivi si è deciso di fissare il termine della ricerca al 1953. Le domande iniziali, e cioè come sia stato possibile per il Consiglio di Stato rimanere a tutt’oggi una Istituzione in vita nella sua doppia funzione consultiva e giurisdizionale, hanno trovato una risposta proprio nell’analisi della sua storia. Infatti l’analisi è stata condotta attraverso ricerche di archivio, sia in quello Centrale dello Stato che in quello del Consiglio di Stato, il quale offre sia libertà di accesso che di consultazione, nonché un utilissimo materiale non rintracciabile altrove. La stessa biblioteca del Consiglio di Stato, seppur contenente volumi prettamente giuridici - avendo ricevuto nei decenni anche donazioni ed essendo stata identificata fino a pochi anni fa con l’Archivio - offre un’ampia scelta di materiale bibliografico anche da un punto di vista storico. L’Archivio storico della Camera dei deputati, così come quello del Senato sono stati fondamentali per l’analisi del periodo costituente. Non è stato del tutto pacifico far sì che il Consiglio di Stato conservasse le sue funzioni dopo la Repubblica. In Assemblea Costituente molti volevano abolire le giurisdizioni speciali, e tra queste quella amministrativa ed inoltre non era ancora chiaro, nella storiografia dell’epoca, come il Consiglio di Stato si fosse comportato durante il fascismo. Era ancora vivo il ricordo delle atrocità fasciste commesse anche attraverso lo strumento legittimo della legge, e tra queste le leggi razziali e la loro applicazione. Dalla ricerca svolta risulta il ruolo importante svolto dal consigliere di Stato Leonardo Severi in seno alla Commissione per gli studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato nel 1946. Ma ancor di più risulta significativo, e forse provvidenziale, l’azione di Meuccio Ruini all’interno del dibattito costituente. La figura di Ruini compare più volte: uomo di amministrazione, consigliere di Stato, epurato dal fascismo, esiliato in patria e poi riammesso al Consiglio di Stato dall’amico De Gasperi. Ne fu Presidente e poi Costituente, uomo politico del secondo dopoguerra ormai appartenente ad un’idea di programma politico che forse aveva il solo neo di non tener conto del nuovo apporto dei partiti di massa; deputato, senatore e Presidente del Senato nel 1953. Sicuramente Ruini è stato una figura poliedrica, uomo di cultura e di passioni politiche, antifascista dalla prima ora e fine uomo di stato, come non pochi, forse non compreso appieno anche a seguito della sua presidenza del Senato in occasione dell’approvazione della cd. “legge truffa” nel ’53: profondo conoscitore della macchina statale e difensore di una idea di giustizia e di libertà che riconosceva e attribuiva al Consiglio di Stato, non solo per averne fatto parte, come consigliere e come Presidente, ma anche perché aveva avuto modo di sperimentare sulla sua pelle l’ingiustizia di un regime totalitario e annichilatorio. Il suo discorso di insediamento come Presidente del Consiglio di Stato ne è la prova, così come la sua presentazione all’Assemblea Costituente del progetto di Costituzione elaborata dalla Commissione dei 75: la sua commissione, la sua Costituzione. Non sempre gli uomini che hanno fatto parte dell’Istituzione appartenevano ad un comune sentire, data anche la facoltà di avere nel Consesso magistrati di nomina governativa, ma sempre si è realizzato un comune sentire e un giudizio collegiale, al di là di singole posizioni o idee. Nel rileggere il Regio editto del 18 agosto 1831 nella parte in cui si dichiarava che ne avrebbero fatto parte uomini di qualità e di riconosciuta esperienza, cultura e palese merito, non si è lontani da una analisi contemporanea della composizione del Consiglio di Stato. Si è delineato un quadro di unità e di compattezza del Consiglio di Stato, tanto allorché in tanti si rifiutarono di aderire alla Rsi e di spostarsi al Nord, nella sede di Cremona durate la Seconda Guerra Mondiale, quanto si trattava di motivare sentenze a favore dei cittadini contro la Pubblica Amministrazione. Seppur dipendente amministrativamente dal ministero dell’Interno o dalla Presidenza del Consiglio, il Consiglio di Stato ha saputo mantenere nei decenni una sua indipendenza, forte dell’autorità che derivava da una Istituzione antica e fondantesi su solide basi di diritto e di legalità. Dopo una lunga presidenza “esterna” nel periodo fascista Ruini seppe rinsaldare e riportare ad unità una serie di consiglieri anziani formatisi nel periodo liberale e consiglieri giovani nati sotto una diversa formazione giuridica, che provò e spesso riuscì ad andare contro anche i principi del diritto romano nella patria stessa di tale diritto antico. In qualche modo il Consiglio di Stato appare oggi necessario, vitale, antico ma non vecchio, forse conservatore ma proprio per questo attestato su posizioni garantiste. La sua storia appare essere come la storia di un unicum, una Istituzione non solamente sommatoria di tanti membri, e con un forte spirito di corpo. Storia di un organo, storia di uomini, sempre legati da uno spirito di lealtà e di servizio verso lo stato, con umiltà ma con orgoglio, che mai è sconfinato nell’arroganza e nella presunzione. Attuale e sempre applicabile è l’espressione del Presidente de Lise, il quale ha affermato nella sua relazione annuale sullo stato della giustizia amministrativa nel febbraio 2011, «l’interesse mediatico è infatti concentrato sulle nostre decisioni, e non sui singoli magistrati». La ricerca sottolinea quindi come ci sia continuità tra l’antico Consiglio di Stato del 1831 e quello del 2011, come sia stato doveroso unire alla primigenia funzione consultiva quella giurisdizionale, e come spicchi la figura di Meuccio Ruini come traghettatore del Consiglio di Stato dal periodo fascista al periodo repubblicano-costituzionale, in cui si voleva cancellare molto dell’infausto periodo precedente, compreso il Consiglio stesso. Oggi, insieme a Palazzo Spada, il Consiglio di Stato è dislocato nei vicini Palazzo Ossoli e Palazzo del Monte di Pietà, costituendo così una sorta di cittadella della giustizia, un triangolo di rispetto della legalità e di difesa del cittadino, che ne fanno un elemento necessario nella struttura democratica dello Stato italiano.
URI: http://hdl.handle.net/2307/4230
Access Rights: info:eu-repo/semantics/openAccess
Appears in Collections:X_Dipartimento di Istituzioni Pubbliche, Economia e Societa'
T - Tesi di dottorato

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