Please use this identifier to cite or link to this item: http://hdl.handle.net/2307/40869
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dc.contributor.advisorSANDULLI, MARIA ALESSANDRA-
dc.contributor.authorNADIR SERSALE, LEILA-
dc.date.accessioned2022-09-06T15:57:57Z-
dc.date.available2022-09-06T15:57:57Z-
dc.date.issued2020-04-07-
dc.identifier.urihttp://hdl.handle.net/2307/40869-
dc.description.abstractLa presente ricerca esamina la disciplina della risoluzione unilaterale dei contratti pubblici da parte della stazione appaltante. Si tratta di un tema che consente, in termini generali, una riflessione sui rapporti tra il principio di cogenza del vincolo contrattuale stipulato tra parti in posizione di parità e il principio della costante funzionalizzazione dell’attività amministrativa al perseguimento dell’interesse pubblico individuato dalle norme attributive del potere. Da un lato, i principi civilistici che muovono dal principio della sostanziale parità delle parti dovrebbero condurre a ritenere che l’Amministrazione, al pari di qualsiasi contraente privato, possa liberarsi unilateralmente dal vincolo contrattuale solo attraverso i rimedi generali previsti dal diritto privato per i contratti a prestazioni corrispettive e gli speciali poteri di autotutela privatistica previsti dal codice dei contratti pubblici. Dall’altro, la necessità che l’azione amministrativa sia costantemente rispondente ai fini individuati dalla legge sembra escludere che dalla stipula del contratto possano sorgere limiti all’esercizio di poteri di autotutela pubblicistica e sembra condurre alla conclusione che l’Amministrazione possa sciogliersi dal vincolo contrattuale anche attraverso l’esercizio di tali poteri. La ricerca del corretto bilanciamento tra tali principi viene condotta, anzitutto, attraverso una riflessione sulla rilevanza causale che assume l’interesse pubblico. In particolare, nel primo capitolo si è ritenuto opportuno approfondire i rapporti tra il procedimento di evidenza pubblica e il contratto, anche alla luce delle innovazioni introdotte dalle direttive nn. 23, 24 e 25 del 2014 che, per la prima volta, hanno disciplinato la fase esecutiva del contratto. Alla base di tale intervento normativo si pone la convinzione che la corretta esecuzione del contratto assume rilievo non solo tra parti del rapporto contrattuale, ma risulta fondamentale anche per assicurare la piena attuazione dei principi di trasparenza, non discriminazione e tutela della concorrenza, che rappresentano i valori sottesi alla disciplina dell’evidenza pubblica. L’analisi svolta ha permesso di evidenziare che l’interesse pubblico assume rilievo non solo nella fase del procedimento di evidenza pubblica, ma anche in quella negoziale, contribuendo a definire un elemento essenziale del contratto, ossia la sua causa, la sua concreta ragione giustificatrice. Tale conclusione presenta rilevanti implicazioni pratiche, in quanto porta ad affermare che, in presenza di eventi che incidono sulla realizzabilità dell’interesse pubblico, quel vincolo contrattuale è destinato a sciogliersi, essendo ormai venuta meno la sua ragione giustificatrice. La particolare rilevanza che assume l’interesse pubblico permette, dunque, di comprendere la ragione per cui la risoluzione del contratto per volontà della stazione appaltante è disciplinata in termini sensibilmente diversi rispetto a quelli previsti dal diritto comune per il contratto di appalto. Proprio l’esistenza di un tale regime speciale ha sollevato e solleva tutt’oggi diversi interrogativi, legati alla reale natura del potere esercitato dalla stazione appaltante in sede di scioglimento del vincolo contrattuale. Nel secondo capitolo, dopo un breve richiamo alla disciplina civilistica della risoluzione, vengono dapprima analizzate le questioni che, soprattutto in passato, ha sollevato la risoluzione dei contratti pubblici per inadempimento dell’appaltatore. Una volta chiarita la natura privatistica di tale rimedio e prima di esaminare, nel capitolo successivo, le altre ipotesi di risoluzione attualmente previste dal codice dei contratti pubblici, viene posta l’attenzione sulla questione relativa al potere dell’Amministrazione di sciogliere il rapporto contrattuale, per ragioni diverse dall’inadempimento dell’appaltatore, attraverso l’esercizio di poteri di autotutela pubblicistica sugli atti prodromici alla stipula del contratto. Tale interrogativo, che oggi trova una risposta positiva nel codice dei contratti pubblici, impone di ricercare il corretto equilibrio tra diversi interessi, tutti meritevoli di attenta considerazione. Da un lato, si pone il principio dell’inesauribilità del potere pubblico e la necessità che l’azione amministrativa, anche quando esercitata tramite moduli privatistici, sia costantemente rispondente al fine di interesse pubblico individuato dalla legge. In questa prospettiva, l’intervenuta stipula del contratto non potrebbe rappresentare un ostacolo all’esercizio del potere di revoca o di annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione. Il punto di equilibrio tra questi principi viene individuato nella necessità che il provvedimento espliciti le ragioni della prevalenza dell’interesse pubblico sulle esigenze di certezza delle situazioni giuridiche e di salvaguardia delle posizioni soggettive sorte dall’atto e medio tempore consolidatesi. Con particolare riferimento al potere di annullamento d’ufficio, viene sottolineata la necessità che l’Amministrazione motivi l’incidenza che la violazione di legge ha avuto sulla concreta perseguibilità dell’interesse pubblico e sulla persistente idoneità del contratto a realizzare tale interesse. Il secondo capitolo termina con una riflessione sui punti di contatto e i profili che distinguono questa ipotesi di scioglimento del vincolo negoziale da quella derivante dall’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione. Nel terzo capitolo vengono quindi esaminate le diverse ipotesi di risoluzione attualmente contemplate dal codice dei contratti pubblici. In particolare, viene posta l’attenzione sulle norme che riconoscono espressamente alla pubblica Amministrazione il potere di risolvere unilateralmente il contratto in presenza di eventi ulteriori rispetto all’inadempimento, legati ad illegittimità commesse in sede di affidamento o in sede di esecuzione, tali da non consentire al contratto di realizzare la funzione cui era concretamente destinato. Si tratta di norme che presentano profili di particolare interesse, in quanto sollevano diversi interrogativi in ordine alla reale natura giuridica del potere esercitato dalla stazione appaltante. Quanto alla risoluzione conseguente ad illegittime modifiche sostanziali del contratto, la questione che si pone è se, in tali ipotesi, lo scioglimento del vincolo negoziale sia riconducibile alla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta o all’esercizio di un diritto potestativo di recesso, assimilabile a quello previsto nel contratto di appalto privato in caso di modifiche sostanziali ovvero se consegua all’esercizio del potere di annullamento d’ufficio dell’atto con cui è stata autorizzata la modifica del contratto. Tale interrogativo impone un approfondimento sui presupposti e sui principi sottesi ai diversi rimedi privatistici sopra evocati, funzionale a far emergere la ratio delle differenze tra i rimedi. L’analisi svolta permette, in particolare, di evidenziare che la ratio di tale rimedio risolutorio non risiede nell’esigenza di salvaguardare l’interesse delle parti a non essere legate ad un contratto profondamente diverso da quello in origine stipulato, ma nell’esigenza di salvaguardare, anche in sede di esecuzione del rapporto contrattuale, i valori sottesi alla procedura di evidenza pubblica. Modificare un contratto già stipulato con un soggetto pubblico significa, infatti, non solo cambiare le regole di un rapporto che già lega l’Amministrazione ad un determinato contraente privato, ma anche eludere le garanzie dell’evidenza pubblica, laddove le modifiche apportate siano così rilevanti da stravolgere i termini della gara in origine celebrata. In quest’ottica, viene esclusa la riconducibilità del rimedio in esame ai rimedi privatistici della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta e del c.d. recesso impugnazione e si evidenzia come tale rimedio sia inquadrabile nella categoria dell’annullamento d’ufficio. Risultano più agevolmente riconducibili alla medesima categoria dell’annullamento d’ufficio le ipotesi di risoluzione conseguenti ad illegittimità commesse in sede di aggiudicazione. Si tratta, in particolare, del caso in cui l’aggiudicatario avrebbe dovuto essere escluso dalla procedura di affidamento ovvero dell’ipotesi in cui l’appalto non avrebbe dovuto essere aggiudicato in considerazione di una grave violazione degli obblighi derivanti dai Trattati, accertata dalla Corte di Giustizia dell’Unione a conclusione di una procedura di infrazione. In questi casi, la risoluzione rappresenta chiaramente una reazione al mancato rispetto delle regole che presiedono alla correttezza dell’aggiudicazione. Una volta chiarita la natura pubblicistica di tali ipotesi di risoluzione, il capitolo termina con una riflessione sulla specialità che caratterizza il potere di annullamento d’ufficio nel settore dei contratti pubblici e sulle questioni ancora aperte. Sotto il primo profilo, viene richiamata la disciplina prevista dall’art. 211 del codice che, nell’attribuire all’ANAC la legittimazione ad agire in giudizio avverso atti di gara ritenuti illegittimi, sembra introdurre nel settore dei contratti pubblici profili di specialità del potere di annullamento d’ufficio, che si aggiungono a quelli già ricavabili dalle norme sulla risoluzione del contratto conseguente all’esercizio del potere di annullamento d’ufficio degli atti di gara, anche oltre i limiti temporali previsti dall’art. 21-nonies per i provvedimenti attributivi di vantaggi economici. Sotto altro profilo, viene approfondita la questione della possibilità per la pubblica Amministrazione di risolvere il contratto mediante l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio anche al di fuori delle ipotesi espressamente previste dalle norme del codice dei contratti pubblici. Tale questione coinvolge interessi diversi, tutti meritevoli di attenta considerazione. Da un lato, l’esigenza di tutela dell’affidamento del privato nella stabilità dei vantaggi conseguiti per effetto della stipula del contratto e la salvaguardia dei principi civilistici di parità delle parti e di cogenza del vincolo contrattuale. Tali principi sembrano condurre ad una risposta negativa al quesito. Dall’altro, la necessità di assicurare la costante rispondenza dell’azione amministrativa (anche svolta mediante strumenti privatistici) ai fini di interesse pubblico indicati dalla legge. Tale esigenza, al contrario, induce ad ammettere che l’Amministrazione possa sottrarsi dal vincolo contrattuale attraverso il potere di annullamento d’ufficio anche in ipotesi ulteriori. Soluzione, questa, che sembra trovare conferma anche nella rilevanza causale che assume l’interesse pubblico e, quindi, della circostanza che il contratto può rimanere in vita solo se (e fino a quando) non si verifichino eventi che lo rendano inidoneo ad assolvere la funzione cui era destinato. Laddove l’inidoneità del contratto a realizzare la sua causa concreta derivi da un’illegittimità commessa in sede di aggiudicazione della gara, dovrebbe quindi essere consentito alla stazione appaltante di sciogliersi dal vincolo contrattuale. Con la precisazione, è bene ribadirlo, che non è sufficiente la mera illegittimità dell’aggiudicazione, essendo necessaria l’esplicitazione delle ragioni di interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione dell’aggiudicazione, ulteriori rispetto a quello al mero ripristino della legalità violata e prevalenti sull’interesse alla stabilità del contratto. Il riconoscimento del potere dell’Amministrazione di risolvere il contratto attraverso l’annullamento d’ufficio anche in ipotesi ulteriori rispetto a quelle previste attualmente dal codice dei contratti pubblici ha condotto ed esaminare, nel quarto capitolo, le questioni di natura processuale sollevate dall’esercizio di tali poteri. Si tratta, in primo luogo, di individuare il giudice munito di giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto il provvedimento con cui l’Amministrazione annulla un atto di gara così determinando la risoluzione del contratto già stipulato. Valorizzando la circostanza che tale provvedimento viene adottato durante la fase esecutiva del contratto, in relazione ad un preteso difetto funzionale del sinallagma, si potrebbe ritenere che si sia in presenza di controversie devolute alla giurisdizione del giudice ordinario. Ponendo, invece, l’attenzione sulla natura pubblicistica del potere esercitato, si dovrebbe coerentemente ritenere che la situazione giuridica soggettiva del contraente privato sia di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, a nulla rilevando che l’esercizio di quel potere produca effetti, in ultima analisi, su un contratto già stipulato, da cui sono derivati diritti per entrambe le parti. Più problematica è la questione del plesso giurisdizionale chiamato a pronunciarsi sulla sorte del contratto, ossia sulle domande di accertamento dell’intervenuta caducazione del contratto e su quelle connesse che potrebbero essere proposte in conseguenza della caducazione del contratto. A differenza di quanto previsto per le ipotesi di annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione, espressamente disciplinate dall’art. 133 c.p.a. e a differenza dei casi di risoluzione contemplate dal codice dei contratti pubblici, in cui i due aspetti (annullamento d’ufficio e sorte del contratto) appaiono inglobati in un fenomeno unitario da norme che disciplinano espressamente la risoluzione del contratto, negli altri casi manca una disciplina da cui desumere con precisione i possibili rapporti, sul piano della giurisdizione, tra l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio e l’accertamento dell’incidenza di tale potere sul contratto. Da un lato, i principi di concentrazione delle forme di tutela e di ragionevole durata del processo sembrano suggerire la proposizione di tutte le domande relative alla medesima vicenda innanzi al giudice amministrativo, similmente a quanto accade per l’ipotesi di annullamento giurisdizionale. Dall’altro, i principi costituzionali in tema di riparto di giurisdizione impongono una lettura rigorosa delle ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. La ricerca del punto di equilibrio tra questi principi risulta particolarmente complessa nei casi in cui la domanda sulla sorte del contratto sia proposta contestualmente all’azione di annullamento del provvedimento di autotutela. In questi casi, valorizzando esigenze di concentrazione delle forme di tutela e la connessione tra le domande proposte nello stesso giudizio, ma devolute a diverse giurisdizioni, si potrebbe sostenere la tesi dello spostamento della giurisdizione in favore di quella amministrativa. Tale tesi, ispirata dall’apprezzabile intento di concentrare davanti ad un unico plesso giurisdizionale le vicende relative al medesimo rapporto, si trova a doversi confrontare con il criterio di riparto della giurisdizione definito dall’art. 103 della Costituzione, che individua nella legge e nel rispetto del limite della riconducibilità della materia all’esercizio del potere lo strumento in grado di realizzare i principi di effettività e concentrazione delle tutele innanzi al giudice amministrativo.en_US
dc.language.isoiten_US
dc.publisherUniversità degli studi Roma Treen_US
dc.subjectRISOLUZIONEen_US
dc.subjectCONTRATTI PUBBLICIen_US
dc.titleLA RISOLUZIONE DEI CONTRATTI PUBBLICIen_US
dc.typeDoctoral Thesisen_US
dc.subject.miurSettori Disciplinari MIUR::Scienze giuridiche::DIRITTO AMMINISTRATIVOen_US
dc.subject.isicruiCategorie ISI-CRUI::Scienze giuridicheen_US
dc.subject.anagraferoma3Scienze giuridicheen_US
dc.rights.accessrightsinfo:eu-repo/semantics/openAccess-
dc.description.romatrecurrentDipartimento di Giurisprudenza*
item.fulltextWith Fulltext-
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item.languageiso639-1other-
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T - Tesi di dottorato
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