Please use this identifier to cite or link to this item: http://hdl.handle.net/2307/40855
Title: L'UDIENZA CIVILE
Authors: AMMASSARI, GINEVRA
Advisor: COSTANTINO, GIORGIO
Keywords: UDIENZA
PUBBLICITA'
Issue Date: 29-Apr-2020
Publisher: Università degli studi Roma Tre
Abstract: L’oggetto privilegiato della presente indagine è costituito dall’udienza civile, intesa quale imprescindibile strumento di dialogo tra i soggetti coinvolti nel processo. Prima di illustrare l’analisi svolta, preme evidenziare le ragioni sottese alla scelta del tema dell’udienza1 , le quali hanno condizionato vuoi il metodo adottato e, quindi, la struttura assunta dall’elaborato, vuoi lo scopo ultimo dell’indagine compiutaSulla scelta del tema, hanno certamente influito le sollecitazioni provenienti dal dibattito scientifico in essere al tempo in cui questa è stata compiuta: in primo luogo, quello suscitato dalla riforma che, per mano della l. n. 197/2016, ha innovato la fisionomia del giudizio di legittimità e ha reso la celebrazione dell’udienza pubblica un’ipotesi residuale, in favore dell’adunanza camerale e nemmeno partecipata innanzi alla Corte di cassazione2 . Oltre a questa, un’altra riflessione che pure ha contribuito alla scelta del tema dell’udienza è quella – di più ampio respiro – che muove dai numerosi interventi di riforma degli ultimi anni3 , cui si aggiungono quelli che, attualmente, sono ancora in discussione4 . Invero, tale dibattito investe solo in via collaterale l’udienza e, con questa, le forme della trattazione; tuttavia, anche tale riflessione si nutre del risalente dibattito relativo ai poteri del giudice e alle facoltà delle parti nel processo che, nel corso del Novecento, ha orbitato attorno al paradigma chiovendiano dell’oralità. Inoltre, ciò che accomuna tali interventi di riforma è l’anelito al conseguimento della ragionevole durata del processo e, quindi, all’efficienza della giustizia civile5 , che versa in una crisi ormai costantemente e da più parti denunciata; è sotto tale profilo che può tracciarsi un collegamento tra gli interventi di deformalizzazione perseguiti attraverso l’attribuzione di sempre maggiori poteri al giudice nella gestione del processo e delle sue regole e l’attuale erosione del valore attribuito all’udienza: udienza che, infatti, èdivenuta una delle sedi in cui il giudice «procede nel modo che ritiene più opportuno» e, quando non è stata elisa del tutto6 , è stata sostituita dall’adunanza camerale. La constatazione dell’attuale mortificazione dell’udienza all’insegna del risparmio delle risorse emerge, in primo luogo, dall’analisi della disciplina vigente riservata a quest’ultima, la quale forma oggetto dei primi due capitoli dell’elaborato, rispettivamente dedicati, da un lato, alle diverse udienze previste dalla disciplina del processo ordinario di cognizione, a quelle innanzi al giudice di pace e al giudice del lavoro7 e, dall’altro, all’udienza camerale. Nel condurre tale analisi si è adottata una chiave di lettura univoca, costituita dal principio di pubblicità dei giudizi, la quale rappresenta una delle garanzie tradizionalmente ricondotte all’udienza: la scelta di tale filo rosso si è imposta anche e soprattutto in ragione del collegamento necessario che intercorre tra il principio di pubblicità e quello di oralità, che viene prevalentemente attuato in udienza e che, solo, consente a coloro che vi assistono di comprendere quanto accade nel corso di essa, così rappresentando una condizione di effettività del primo; pubblicità dei giudizi che, in base alla distinzione tracciata da CHIOVENDA8 , può declinarsi in due diverse accezioni, corrispondenti alla c.d. pubblicità endo o esoprocessuale, a seconda che operi nei confronti delle parti o dei terzi estranei al giudizio. Sotto il primo profilo, il principio di pubblicità endoprocessuale determina la struttura necessariamente aperta, tra le parti, del processo, e, in tal senso, è diretta espressione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio sanciti dagli artt. 24 e 111 Cost. che, in quanto tali, non conoscono limiti volti a tutelare interessi potenzialmente confliggenti; con specifico riguardo all’udienza, tuttavia, tale principio non coincide (o, quantomeno, non integralmente) con quello del contraddittorio e attiene, piuttosto, alla diretta partecipazione delle parti in giudizio che, nell’economia complessiva dell’indagine compiuta e interessata all’udienza in qualità di strumento di attuazione del dialogo processuale, rileva nella misura in cui è volta a favorire la reciproca collaborazione tra le parti e il giudice ed è veicolata da strumenti quali la comparizione personale di queste ultime, l’interrogatorio libero e il tentativo di conciliazione che, solitamente, a questo si accompagna Quanto al secondo significato assunto dal principio di pubblicità, questa, nella sua proiezione esterna al processo, ha la funzione di assicurare il controllo popolare sull’amministrazione della giustizia, l’imparzialità dei giudici e, quindi, la legalità stessa dei giudizi10. Sotto lo stretto profilo positivo11, la pubblicità delle udienze e, in particolare, la pubblicità esoprocessuale immediata è attualmente affidata, da un lato, all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e, dall’altro, alle norme processuali ordinarie, tra cui figurano gli artt. 128 c.p.c. e 84 disp. att. c.p.c., i quali dispongono la pubblicità della sola udienza di discussione12. Il regime normativo descritto sembra doversi ascrivere alla scansione del processo in più fasi originariamente accolta dal legislatore del 1940 e alla corrispondente dicotomia tra giudice istruttore e il collegio13 e, sul piano dogmatico, trova corrispondenza nella tesi privatistica del principio di pubblicità14 che, nel porlo ad esclusiva tutela delle parti contro eventuali abusi del giudice, legittima la disponibilità della garanzia ad opera di queste ultime. Tale impostazione, però, trascura la vocazione pubblicistica del principio di pubblicità, che trascende il solo interesse delle parti e mira a garantire il controllo popolare sull’amministrazione della giustizia sancito dall’art. 101 Cost.15; tale rilievo, unitamente al venir meno della ratio che aveva determinato l’originaria limitazione del regime di pubblicità delle udienze, consentono e, anzi, impongono di rivedere la regola generalizzata che limita la pubblicità delle sole udienze di discussione. L’analisi svolta si propone, dunque, di fornire un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme ordinarie relative al regime di pubblicità delle udienze, ivi comprese le udienze camerali. Invero, la disciplina dettata dagli artt. 737 e ss. c.p.c. non prevede alcuna udienza che, tuttavia, presidia il contraddittorio e viene celebrata in ossequio a quell’interpretazione che definisce il procedimento camerale un «contenitore neutro»16 capace di ammantarsi, dove necessario, delle forme e delle garanzie del processo ordinario: tra queste può ricomprendersi anche quella di pubblicità delle udienze che, dunque, non può (e non deve) subire una limitazione a priori; a tal fine occorre vagliare, piuttosto, se e quando tali udienze possano ricondursi alle ipotesi derogatorie previste dall’art. 6 Cedu e dal 2° comma dell’art. 128 c.p.c., le quali devono intendersi limitate a singole categorie di procedimenti ove emerga l’esigenza di tutela di interessi potenzialmente confliggenti, quali la riservatezza delle parti17 e il superiore interesse del minore18. Tra i procedimenti in camera di consiglio, trova un dovuto spazio di indagine finanche l’attuale procedimento camerale e non partecipato in Cassazione previsto dall’art. 380 bis 1 c.p.c.19 che, nelle intenzioni del legislatore del 2016, risponde all’esigenza di razionalizzazione delle risorse impiegate nell’amministrazione della giustizia, sì da garantire alla Corte di legittimità l’esercizio della funzione nomofilattica che le riserva l’art. 65 ord. giud. e, più in generale, la ragionevole durata del processo: secondo la giurisprudenza20, tali esigenze consentono di derogare al principio di pubblicità dei giudizi e, soprattutto, dei giudizi di impugnazione, ove vengono prevalentemente affrontate questioni di diritto che, in quanto tali, non sono comprensibili dai terzi e rendono superflua la loro presenza, purché – aggiunge – nei precedenti gradi di giudizio sia stata celebrata almeno una udienza pubblica. Tuttavia, anche tale interpretazione non convince: non soltanto poiché la Corte di cassazione, oltre alle questioni di diritto, conosce anche del vizio di motivazione relativa al giudizio di fatto, sia pur nei limiti oggi stabiliti dall’art. 360, n. 5, c.p.c. e, inoltre, è giudice del “fatto processuale” ogni qual volta si lamenti un error in procedendo; ma soprattutto, poiché, allo stato, il procedimento camerale innanzi alla Corte di cassazione rappresenta la regola e, quindi, non può ritenersi limitata a talune categorie di procedimenti come, invece, imporrebbe l’art. 6 Cedu. Invero, la riforma che, nel 2016, ha innovato il giudizio di legittimità rappresenta l’approdo di un lungo percorso legislativo che è iniziato nel 1990 rendendo facoltativa l’(unica) udienza (pubblica) di discussione innanzi al collegio e ha condotto alla progressiva erosione della garanzia di pubblicità delle udienze, non soltanto in sede di legittimità, ma anche nei precedenti gradi di merito, di talché è ben possibile che, allo stato, il processo ordinario di cognizione si svolga integralmente a porte chiuse e senza l’intervento dei terzi. È sulla base di tale rilievo che, nel trarre le conclusioni della prima parte dell’indagine compiuta, si è constatato che la progressiva deminutio subita dalla garanzia di pubblicità dei giudizi dipende o, comunque, si accompagna all’erosione subita dai rari momenti di oralità che, attualmente, residuano nel processo; erosione che, se nelle intenzioni dell’ultimo legislatore processuale risponde alla necessità di conseguire un risparmio in termini di costi e di tempo, ne implica altri in termini di garanzie che, tuttavia, non sono rinunciabili. Esaurita la trattazione relativa alla disciplina vigente dedicata all’udienza e alla sua pubblicità, il prosieguo dell’indagine si propone di (tornare ad) indagare l’attuale portata del principio di oralità e ad interrogarsi sul suo valore, sì da vagliare, in primo luogo, se questo rappresenti effettivamente nulla più che un retaggio del passato, oppure se continua ad essere strumentale alla realizzazione del giusto processo; l’analisi compiuta, tuttavia, non si attesta sul solo piano delle garanzie riconducibili all’udienza e mira, piuttosto, a verificare se queste comportino necessariamente un costo in termini di risorse e di efficienza, ovvero se e, soprattutto, come tali istanze possano conciliarsi. Procedendo con ordine, il terzo capitolo dell’elaborato ha ad oggetto l’evoluzione diacronica del principio di oralità che, sin dalla sua origine, ha segnato il dibattito dottrinale intorno ad ogni riforma processuale e, ancora prima, ha rappresentato il caposaldo del sistema chiovendiano, nonché della moderna scienza processualcivilistica. Dall’analisi di quel dibattito – che, in ultima analisi, coinvolgeva il ruolo del giudice, i suoi poteri e la funzione stessa del processo in chiave pubblicistica e sociale21 – è emersa una costante: il valore univocamente attribuito all’oralità, seppur diversamente interpretata da MORTARA, CARNELUTTI, REDENTI e dallo stesso CALMANDREI, oltre che da CHIOVENDA22, risiede nella funzione preparatoria riservata all’udienza e, in particolare, alla prima udienza, ove, per il tramite del dialogo e del contatto diretto tra il giudice e le parti, si elimina «il troppo e il vano»23, così da individuare, in chiave prospettica, quelle poche questioni che necessitano davvero di essere trattate e decise e realizzare, quindi, le istanze efficientistiche sottese al paradigma dell’oralità. L’oralità, dunque, non si esaurisce nel solo dibattimento, ma, unitamente alle scritture introduttive, è a questo prodromica e complementare, giacché consente la tempestiva delimitazione del thema decidendum e probandum in limine litis attraverso l’apporto combinato o, meglio, la collaborazione del giudice e delle parti, che si nutre del contatto «costante e immediato»24 tra questi. È in questa prospettiva – «laica»25 e scevra dalle polemiche che, in passato, hanno alimentato il dibattito intorno al rapporto tra oralità e scrittura nel processo – che, ancora oggi, deve intendersi valore dell’oralità: il ruolo che la prima udienza svolge nell’individuazione del materiale controverso, a sua volta strumentale alla preparazione del futuro percorso processuale da seguire, non è mai venuto meno e ne è espressione l’attuale disciplina dell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c., cui si è giunti nel 2006 a seguito di un lungo e travagliato percorso di riforme26 e che, da allora, non ha subito modifiche. Se confrontata con i risultati emersi all’esito dell’analisi relativa all’evoluzione diacronica subita dal noto canone chiovendiano, allora, l’attuale mortificazione dell’udienza all’insegna del risparmio delle risorse attesta – per quel che qui interessa – il capovolgimento subito dal paradigma intorno all’oralità che, da strumento privilegiato attraverso cui realizzare le istanze efficientistiche del meccanismo processuale, è divenuta loro d’ostacolo e, per tale ragione, sembra (ma non è) legittimamente rinunciabile, unitamente all’unica forma di contatto diretto tra il giudice e le parti, che si realizza in udienza. Tale rilievo, nell’ultimo segmento dell’elaborato, si intreccia con l’attuale riflessione intorno alla flessibilità delle forme processuali o, se si vuole, intorno al principio di elasticità elaborato da CARNELUTTI27, il quale consente la modulazione del procedimento in base alle esigenze e alla complessità processuale della singola controversia e, in tal senso, risponde al principio di proporzionalità nell’allocazione delle risorse Tale collegamento viene indagato nell’ultimo capitolo della presente trattazione, dedicata non soltanto all’udienza ex art. 183 c.p.c., ma anche alle riforme della pre-trial phasis attuate nei sistemi anglosassoni28, le quali, pur improntate al principio di proporzionalità e, con questo, all’efficienza del processo, hanno aumentato le occasioni di confronto diretto dei soggetti ivi coinvolti. Tali riforme, infatti, non si sono limitate a potenziare il ruolo del giudice e, quindi, il case management giudiziale, ma hanno recuperato le occasioni di dialogo tra il giudice e le parti che si realizza (anche, ma non solo) in udienza e, in particolare, nella pre-trial o scheduling conference prevista dalla Rule 16 statunitense e nella allocation hearing, oltre che nella case management conference inglese29. Dall’analisi della Pre-trial phasis anglosassone è emersa una tendenza evolutiva comune, che investe tanto la giustizia civile inglese, che quella statunitense, le quali assumono il principio di proporzionalità a fondamento delle rispettive riforme, a sua volta improntato al conseguimento di un’efficienza sistemica e non limitata al singolo giudizio, sì da destinare a ciascuna controversia una porzione di risorse adeguate alla sua complessità e non sottrarle, quindi, agli altri processi. È a tal fine che, in quei sistemi, è stata introdotta una differenziazione delle forme di tutela successiva all’introduzione del giudizio30, la quale viene compiuta non tanto in ragione dell’oggetto sostanziale del giudizio, ma delle questioni a questo sottese e delle diverse attività processuali da compiere sino alla decisione. La modulazione delle forme processuali in base alle esigenze della singola controversia, infatti, impone che queste siano flessibili, attraverso la previsione di percorsi processuali diversificati ex ante e ulteriormente diversificabili, ex post, mediante l’adozione di specifiche directions da parte del giudice che, tuttavia, gli vengono suggerite o, comunque, sono concordate con le parti in udienza; così, pur conservandosi la garanzia costituita dalla predeterminazione dei modi e delle forme di attuazione del contraddittorio, si agevola l’esercizio di quei poteri-doveri di direzione e controllo del giudice, il quale agisce nell’ambito di spazi discrezionali delimitati e, comunque, orientati alla stregua di una molteplicità di parametri dettati ex lege. Si valorizza, dunque, «uno tra gli effetti più positivi della discrezionalità, vale a dire il tener conto della peculiarità dei casi concreti»31 che, in attuazione di un’ottica collaborativa, si nutre dell’apporto combinato del giudice e delle parti, impegnate nella costruzione di soluzioni condivise, raggiunte attraverso il confronto, costante e diretto, in udienza e volte alla preparazione della trattazione o, meglio, del trial successivo che, peraltro, diviene eventuale, giacché l’instaurazione di tale dialogo sin dall’inizio della controversia consente o, comunque, favorisce la soluzione transattiva della lite e, quindi, assolve una funzione deflattiva rispetto al contenzioso civile. Come noto, la nostra disciplina processuale non conosce, se non per il controverso e altrettanto sfortunato disposto dell’art. 183 bis c.p.c., una diversificazione legislativa del procedimento da seguire attuabile a seguito dell’introduzione della causa che, tuttavia, ha formato oggetto di alcuni recenti progetti di riforma autonomamente elaborati dalla dottrina, tra cui figurano quello di PROTO PISANI32 e quello licenziato nel 2013 dalla Commissione VACCARELLA33. L’indagine compiuta nel segmento conclusivo dell’elaborato, tuttavia, si propone di verificare se, nelle maglie dell’attuale disciplina della prima udienza, possano trovare applicazione, ove sapientemente valorizzate in via di esegesi, quelle istanze di flessibilità delle forme processuali che, attraverso l’adozione di soluzioni organizzative condivise, consentono la modulazione del relativo percorso processuale alle esigenze della singola controversia. È questo lo sforzo che, sin dagli anni novanta, viene compiuto dagli Osservatori sulla giustizia civile, i quali coinvolgono gli operatori della giustizia di numerosi fori italiani e, dal 2007, si riuniscono con cadenza oramai biennale in un’assemblea nazionale, la quale rappresenta un laboratorio di riflessione e di ricerca condivisa delle best practices, volto alla loro uniforme diffusione su tutto il territorio nazionale L’interesse per tali profili sorge ed è dovuto al fatto che l’esercizio dei poteri discrezionali del giudice nella direzione del processo – intesi, ai sensi dell’art. 175 c.p.c., al più sollecito e leale svolgimento del procedimento – pur essendo insindacabile in sede di impugnazione, condiziona «l’efficienza del processo civile e [che] l’effettività della tutela giurisdizionale dipend[e] anche, se non soprattutto, dai provvedimenti ordinatori»34. È, inoltre, opinione condivisa35 quella secondo cui la qualità della giustizia civile non dipende esclusivamente dalle riforme e dalle norme processuali, ma anche e soprattutto dall’impegno di ciascuno dei protagonisti chiamati ad applicarle al caso concreto; in tale prospettiva, il valore riconosciuto alla collaborazione tra questi ultimi trascende la singola controversia e diviene una scelta di metodo, che vede nella concertazione delle prassi uno strumento fondamentale. È sulla scorta di tali consapevolezze che l’analisi della disciplina della prima udienza – che conclude l’elaborato – viene condotta alla luce delle soluzioni organizzative adottate nei protocolli d’udienza elaborati in seno agli Osservatori sulla giustizia civile, i quali costituiscono una «proposta di sviluppo del processo a raggiera»36 e muovono dal riconoscimento della centralità della prima udienza intesa quale strumento privilegiato di dialogo tra il giudice e le parti e, quindi, di attuazione dei principi di flessibilità delle forme, di proporzionalità nell’allocazione delle risorse e, in ultima istanza, di efficienza nella gestione condivisa del processo e delle sue regole
URI: http://hdl.handle.net/2307/40855
Access Rights: info:eu-repo/semantics/openAccess
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T - Tesi di dottorato

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