Please use this identifier to cite or link to this item: http://hdl.handle.net/2307/40661
Title: PROSOCIALITA', AUTOEFFICACIA E PRATICHE INCLUSIVE : IL RUOLO DEL COOPERATIVE LEARNING NELLA SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO
Authors: TRAVAGLINI, ALESSIA
Advisor: BOCCI, FABIO
Keywords: PROSOCIALITA'
AUTOEFFICACIA
INCLUSIONE
COOPERATIVE LEARNING
Issue Date: 5-Jun-2017
Publisher: Università degli studi Roma Tre
Abstract: La ricerca nasce in seguito all’analisi di alcune ricerche e indagini statistiche riguardanti il sistema scolastico italiano, che evidenziano una situazione diffusa di criticità che coinvolge ad ampio raggio tutti i protagonisti dell’azione formativa (dirigenti, docenti e allievi). Per quanto riguarda i primi, infatti, si riscontrano difficoltà inerenti l’area cognitiva (raggiungimento di un livello inadeguato di competenze) e affettiva (scarso coinvolgimento nei percorsi formativi), mentre nei secondi emergono la tendenza al tradizionalismo didattico (prevalenza della lezione frontale), e una situazione diffusa di demotivazione per il proprio lavoro (Rapporto Yard, TALIS). I docenti inoltre evidenziano una scarsa tendenza a considerare l’istituzione scolastica come un fattore protettivo (Bocci & al., 2012), mentre, dato ancor più allarmante, la stessa professione magistrale è vissuta in una situazione di isolamento e demotivazione quando non di vero e proprio burn out (Miur, 2014, Talis 2013). Una situazione analoga si riscontra nei Dirigenti Scolastici che, rispetto ai colleghi europei, sono coloro che manifestano una più marcata insoddisfazione per il proprio lavoro e che dichiarano, con una percentuale maggiore rispetto alla media (l’84% contro il 68%), di doversi occupare frequentemente della risoluzione di liti e controversie tra gli alunni. Numerose criticità sono rilevate anche nell’ambito delle pratiche inclusive: emergono, infatti, da un lato fenomeni di micro/macro esclusione degli allievi classificati come BES (Demo, 2014) e, dall’altro, evidenti segni di marginalizzazione anche degli insegnanti specializzati (Ianes, Demo & Zambotti, 2015), ritenuti erroneamente deputati a svolgere compiti didattici di mero sostegno agli allievi in difficoltà, troppo spesso ritenuti non in grado di partecipare pienamente alla vita scolastica comune e pertanto relegati a svolgere attività parallele rispetto al contesto classe. Nonostante si parli di inclusione, si è ancora in presenza di modelli applicativi di tipo biomedico individuale (D’Alessio, Medeghini, Vadalà & Bocci, 2015), che vedono il soggetto diverso come caso (Dovigo, 2014) con conseguenti forme di esclusione che coinvolgono anche gli insegnanti di sostegno delegati a fornire risposte tecniche al problema (Ianes, Demo, Zambotti, 2010; Ianes, 2015). Inoltre la scuola, nel veicolare una visione della formazione intesa come un fenomeno individuale, che necessita di metodi selettivi e competitivi, rischia di porsi in antitesi con quelle che sono le istanze e i valori sociali emergenti (Kagan, 2000). Ne consegue l’eccessiva valutazione delle abilità cognitive, a scapito di quelle sociali e relazionali, nonostante il Parlamento europeo assegni alla scuola la funzione di promuovere le competenze sociali e civiche, lo spirito di iniziativa e imprenditorialità, la consapevolezza ed espressione culturale, considerate competenze chiave, insieme a quelle di natura accademica (ambito linguistico e logico-matematico). Ai fini dell’individuazione di possibili piste di miglioramento, sono stati presi in considerazione tre elementi: la prosocialità (Roche, 2004, Caprara, 2006, 2014), l’autoefficacia scolastica (Bandura, 1996) e l’inclusione, quest’ultima analizzata attraverso le prospettive di Booth & Ainscow (Nuovo Index per l’Inclusione, 2014) e dei Disability Studies (2013). Nello specifico, la prosocialità è riconosciuta come un fattore che incide positivamente sul successo scolastico degli studenti, oltre che di protezione rispetto a problematiche legate all’aggressività, l’isolamento o la depressione (Caprara, 2001, 2014). Essa inoltre è associata positivamente all’autoefficacia scolastica (Caprara & al., 2014) e alla costruzione di un ambiente favorevole all’apprendimento (Roche 2002; Caprara 2014). L’autoefficacia scolastica, d’altra parte, sembra agire in modo tale da incrementare negli allievi le possibilità di raggiungere gli obiettivi auspicati e nei docenti una maggiore disponibilità ad adottare pratiche didattiche innovative e funzionali agli obiettivi di apprendimento (Zimmermann, 1996). Per quanto attiene la questione inclusiva, secondo quanto evidenziato dagli esponenti dei Disability Studies (Oliver, 2009, Oliver & Barnes, 2011; Ferri, 2015; D’Alessio, Medeghini, Vadalà, & Bocci, 2015) la situazione di criticità e di marginalizzazione avvertita nella scuola, e più a latere nella società tutta, deriva in parte da una modalità di concettualizzare le differenze individuali che, anziché essere percepite in modo positivo, secondo quanto suggerisce la radice etimologica stessa del termine (differenza come derivante dal greco fero, che significa portare) sono identificate come l’allontanamento da una norma ritenuta ideale. Questa visione può essere considerate in parte la risultante di un modello sociale di riferimento basato sull’abilismo (Oliver, 1990), che classifica l’individuo in base alla sua capacità di fare, di svolgere compiti e funzioni predeterminati, piuttosto che come persona dotata di risorse e potenzialità uniche e irripetibili. Nello stesso tempo, secondo quanto indicato dall’Index per l’Inclusione (Booth & Aiscow, 2014), l’inclusione descrive un processo che chiama in causa l’attuazione di culture, politiche e pratiche inclusive, che necessita del concorso sinergico di tutti i soggetti coinvolti nella formazione. Al fine di tradurre in azioni didattiche i principi propri del framework teorico qui descritto, è stato individuato il Cooperative Learning, considerato nelle modalità del Learning Together dei fratelli Johnson (1987, 1996) e dell’Approccio Strutturale di Kagan (1992, 2000) ), in quanto metodologia che sollecita, attraverso l’interazione diretta di gruppi di allievi che lavorano insieme secondo i principi dell’interdipendenza positiva, il potenziamento congiunto di abilità cognitive e sociali. È stato così formulato un modello di intervento, denominato Modello Prosociale inclusivo mediato dal Cooperative Learning (Travaglini, 2016; Travaglini & Bocci, 2016), che prevede l’integrazione tra alcuni elementi dell’ Approccio Strutturale di Kagan (Kagan 2000) e una modalità di riflessione sulle abilità sociali proprie del Learning Together dei fratelli Johnson (Johnson & Johnson 1987; 1996). Nello specifico, sono state considerate quelle abilità che, per la loro attinenza con le dimensioni della prosocialità individuate da Caprara (aiutare, consolare-prendersi cura, condividere, empatia), possono essere considerate abilità di tipo prosociale (Caprara, Gerbino, Luengo Kanacri & Vecchio 2014). La ricerca è stata così finalizzata ad indagare le potenzialità del modello individuato nel ridefinire un contesto di apprendimento funzionale al successo scolastico e alla partecipazione di tutti gli allievi, verificandone l’incidenza sui livelli di autoefficacia percepita e sulla qualità delle relazioni (allievi e docenti), sui livelli di prosocialità e sulla quantità delle relazioni (allievi) e sulla qualità dei processi inclusivi (contesto). L’applicazione sperimentale del Modello Prosociale Inclusivo mediato dal Cooperative Learning si è svolta nel periodo gennaio-dicembre 2015 con un’articolazione interna tra una prima (gennaio giugno 2015) e seconda fase (settembre-dicembre 2015) e ha riguardato quattro classi seconde della scuola secondaria di primo grado appartenenti a quattro differenti istituti (due con funzione di gruppo sperimentale e due con funzione di gruppo di controllo), per un totale di 92 allievi e 21 insegnanti. I due gruppi si presentavano tra loro omogenei dal punto di vista della vicinanza territoriale e della comune identificazione con l’indicatore di status socio-economico-culturale ESCS rilevato dall’Invalsi, rispondendo in tal modo un modello di ricerca di tipo quasi sperimentale con un piano a due gruppi (Trinchero, 2002). Per l’analisi dei risultati sono stati utilizzati, in fase pre (gennaio 2015) e post-test (giugno e dicembre 2015) strumenti qualitativi e quantitativi, alcuni dei quali presenti in letteratura (Questionario Studenti Invalsi, Test sociometrico, Scala della Prosocialità, Peer Rating, TSES), altri creati ad hoc in collaborazione con il docente guida (QueRiDIS, Il termometro del mio benessere, Questionario Semistrutturato I e II). Con i docenti sperimentali sono stati inoltre realizzati interviste e focus group. I risultati ottenuti evidenziano in generale il miglioramento dei livelli iniziali di prosocialità e autoefficacia negli allievi, con una maggiore incidenza in corrispondenza del primo periodo di sperimentazione (gennaio-giugno) e del sottocampione costituito dagli studenti maschi. Tra le variabili indagate, la valutazione scolastica sembra aver esercitato un ruolo marginale nel determinare i risultati ottenuti. L’analisi qualitativa ha evidenziato, in particolare, le difficoltà connesse all’attuazione dei percorsi di cambiamento proposti, che tuttavia sono stati riconosciuti significativi da tutti i soggetti coinvolti. In relazione alla tematica dell’inclusione scolastica, le interviste e i focus group hanno fatto emergere le contraddizioni insite tra il modello proposto e le resistenze, a livello individuale e di sistema, incontrate dai docenti lungo il percorso di cambiamento: ciò induce a riflettere sul fatto che l’attuazione di una metodologia potenzialmente inclusiva se non è accompagnata da una ridefinizione sistematica dell’intero sistema scuola (culture, politiche e pratiche inclusive) non rappresenta di per sé garanzia sufficiente per attuare percorsi migliorativi inclusivi stabili e duraturi.
URI: http://hdl.handle.net/2307/40661
Access Rights: info:eu-repo/semantics/openAccess
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T - Tesi di dottorato

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