Please use this identifier to cite or link to this item: http://hdl.handle.net/2307/40629
Title: Percepire il rischio lavorando in ospedale. Un’analisi comparata sui reparti di nefrologia e dialisi (Italia – Spagna)
Authors: Misale, Fiorenza
Advisor: Casula, Carlo Felice
Keywords: Sicurezza
Rischio
Dialisi
Salute
Issue Date: 8-Oct-2018
Publisher: Università degli studi Roma Tre
Abstract: La gravità e la frequenza degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali impongono che il dramma della sicurezza e della salute venga affrontato con maggiore impegno e continuità ai fini di una corretta e accurata gestione delle attività lavorative. Nel mondo del lavoro è ancora purtroppo molto diffuso il rischio di infortuni dovuto sia a motivi di tipo organizzativo e tecnologico, sia a motivi di tipo formativo/informativo. Come afferma D’amico “Negli anni della crisi economica, le percentuali di morti e infortuni si erano contratte significativamente. L’inversione di questa tendenza è da ricercare in una timida ripresa, che ha decretato il riavvio degli impianti e spesso l’assunzione di manodopera non pienamente qualificata. Anche se non si tratta di numeri molto grandi, queste percentuali hanno un profondo significato. La crisi ha portato a un disinvestimento generale nella prevenzione lavorativa: dotarsi di attrezzature e aggiornare i macchinari è ritenuto da molti un fattore su cui si può risparmiare”. Nella società contemporanea il passaggio dalla società del rischio alla società prestazionale ha portato l’individuo a guidare autonomamente il processo di modificazione continuo e permanente delle sue facoltà produttive. Nel “soggetto della prestazione” la precarizzazione dei rapporti di lavoro e la disoccupazione di massa vanificano le protezioni correlate al lavoro di cui la sicurezza sul lavoro fa parte. Tale passaggio si realizza nel momento in cui vengono a mancare gli strumenti di regolazione in grado di contenere la dismisura dei mercati soprattutto con riferimento alla de-regolamentazione delle forme di lavoro; promuovendo un modello biografico all’interno del quale ciascuno deve farsi carico da solo dei rischi del suo percorso professionale diventato flessibile e discontinuo. Per poter approcciare correttamente alla sicurezza sul lavoro occorre prendere in considerazione le trasformazioni nelle forme occupazionali, l’emergere di nuove patologie lavoro correlate, il livello culturale dei lavoratori al fine di determinare quel necessario cambiamento di rotta che garantisca un lavoro dignitoso e sicuro per tutti. I lavoratori della post modernità purtroppo tendono ad incasellare la sicurezza sul lavoro come elemento di disturbo della loro bulimia lavorativa, il tempo da dedicare al lavoro già insufficiente per la mole di compiti, non può essere certo dedicato ad inutili pratiche che, almeno nella concezione comune, non si verificheranno mai. Il fenomeno infortunistico è così rarefatto che la percezione individuale risulta molto spesso modesta ed è a tal fine che occorre utilizzare come leva del cambiamento la formazione, che nella realtà odierna si traduce ad una mera istruzione scolastica dei rischi. La formazione per la sicurezza viene perlopiù somministrata in maniera statica, distaccata dai contesti lavorativi e come sottolinea Gherardi “nel migliore dei casi rappresenta un’occasione per trasferire delle informazioni senza preoccuparsi che i nuovi elementi conoscitivi siano adeguatamente traslati nel sistema culturale vigente.” La tipologia ricorrente della lezione frontale in aula è sentita come un obbligo fastidioso ed anche inefficace ai fini dell’acquisizione di un’adeguata cultura della sicurezza. Risulta pertanto forte l’esigenza di ripensare i flussi della comunicazione verso modalità attive di partecipazione dei lavoratori alla definizione dei contenuti formativi. Poiché alla formazione si contrappongono le conoscenze che il lavoratore acquisisce sul campo nell’espletamento dell’attività lavorativa, nei rapporti con altri colleghi, queste ultime comunicano al lavoratore delle informazioni che non sempre sono coerenti con quelle che vengono fornite nell’istruzione formale. Allo scarso coinvolgimento dei lavoratori alla vita organizzativa sui temi della sicurezza si affianca una scarsa conoscenza dei luoghi di lavoro da parte di chi la formazione la eroga, sarebbe opportuno una formazione on the job che metta il lavoratore a diretto contatto con i pericoli presenti nella propria realtà lavorativa. Poiché le persone si differenziano per valori, interessi conoscenze e aspettative in base alle quali le informazioni sui rischi vengono filtrate, interpretate, accettate o respinte, la percezione dei rischi è sempre fortemente influenzata da giudizi di valore, inclinazioni culturali e orientamenti politici ed ideologici. Occorre avere la consapevolezza che non esiste una cultura adatta ad ogni contesto lavorativo ma essa deve essere pensata e calibrata per le differenti e specifiche realtà; ciascuna organizzazione deve riflettere sul proprio modo di operare e intervenire a partire dai propri successi, dai propri fallimenti e orientare lo sguardo verso un miglioramento continuo. Attraverso la mia ricerca ho voluto verificare come la percezione del rischio mutasse al variare di alcune variabili (genere, età, paese d’origine, titolo di studio, tipologia contrattuale, anni di servizio, infortuni subiti, formazione) in un reparto come la dialisi caratterizzato dalla compresenza di un numero elevato di rischi eterogenei e successivamente confrontare i miei risultati con quelli di numerose ricerche realizzate sia a livello nazionale che internazionale dall’altra ho voluto focalizzare la mia attenzione sulla formazione al fine di verificare l’omogeneità nelle modalità di erogazione ed i suoi contenuti. Numerosi sono gli studi fatti a livello nazionale ed internazionale che hanno analizzato la percezione dei rischi in ambito lavorativo, pochi però hanno posto l’attenzione sulla formazione come variabile in grado di modificare la percezione dei rischi. La comparazione con i centri di dialisi di Gran Canaria mi ha permesso di confrontare le modalità formative nei due Paesi e la variazione della percezione del rischio ad essa associata. Dallo spoglio della letteratura multidisciplinare presa da me in esame; storico, giuridica, sociologica e psicologica ma anche dalle rappresentazioni cinematografiche e teatrali, emerge con evidenza che solo in questi ultimi anni si è posta un’attenzione maggiore al problema della sicurezza sul lavoro soprattutto a seguito di grandi tragedie. La mia ricerca sul campo, sia nei questionari sia nelle interviste a testimoni privilegiati costituisce una significativa conferma del fatto che la formazione finora impartita sui luoghi di lavoro è occasionale, spesso percepita come non importante e sempre, come calata dall’alto e non partecipata. Lo sforzo formativo spesso si riduce ad una semplice istruzione scolastica dei rischi che “non va oltre la semplice informazione”. L’atteggiamento verso la sicurezza deve essere come un “vestito comodo” da indossare ogni giorno e la formazione allo stesso tempo dovrà tenere conto del livello di scolarità del lavoratore evitando di proporre sistemi di difficile comprensione soprattutto considerando che in Italia la maggior parte delle imprese sono medio piccole ed un livello di scolarità ancora troppo basso. Dalle interviste ho avuto conferma di una mia forte convinzione e consolidata esperienza sull’opportunità e sull’efficacia dell’uso del teatro, dei documenti audiovisivi e letterari nei percorsi formativi come strumenti innovativi e coinvolgenti. Sicuramente le immagini entrando a far parte nell’archivio dei ricordi e di emozioni che informano le nostre scelte, giocano un ruolo molto importante nel nostro sistema cognitivo riuscendo a veicolare le emozioni meglio della parola. Un altro modo per rendere immaginabili alcuni rischi è quello di usare storie; raccontare una storia facilita la costruzione di immagini nella nostra mente veicolando un’informazione di tipo emozionale. Raccontare i feriti significa proteggere i vivi, trovare un linguaggio comune e ampio e condiviso, trasformare il trauma personale in un dolore collettivo significa fare una rigorosa opera di prevenzione. Ritengo di primaria importanza che la politica di prevenzione deve essere rivolta in primis alle nuove generazioni perché sia interiorizzata e percepita come la condizione “normale” di qualunque attività lavorativa. La metabolizzazione della cultura della prevenzione favorisce comportamenti consapevoli e coerenti con la propria e l’altrui sicurezza. Attraverso questa ricerca si è voluto analizzare come i lavoratori dei reparti di emodialisi sia in Italia che a Gran Canaria percepiscono i fattori di rischio presenti all’interno del loro ambiente di lavoro e verificare come la percezione degli stessi subisca cambiamenti sia per alcune variabili (età, genere, titolo di studio, anzianità di servizio ecc.) sia in base alla cultura dei due Paesi. Molta attenzione è stata posta agli aspetti formativi e informativi sul tema della sicurezza sul lavoro. Volutamente la rilevazione si è limitata ai lavoratori dei Reparti di emodialisi. La scelta di restringere la ricerca ha permesso di ridurre i fattori di disturbo dell’analisi che sarebbero scaturiti dal confronto di realtà sanitarie di diversa specializzazione. Dalla rielaborazione della risposta sugli infortuni emerge che il 56% delle donne ed il 61% degli uomini in Italia, e il 12% delle donne e il 17% degli uomini a Gran Canaria ha subito un infortunio negli ultimi 12 mesi. Emerge con evidenza dall’analisi comparativa dei dati come nei casi presi in esame in Italia il 96% degli intervistati non conosce la normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Nei casi presi in esame a Gran Canaria, invece, la maggioranza, sia pure risicata degli intervistati dichiara di conoscere la normativa. Una delle motivazioni potrebbe essere dovuta al fatto che la normativa spagnola sia più snella perché racchiusa in 54 articoli contro gli oltre 300 della legge italiana. A Gran Canaria infatti una minoranza degli intervistati (il 44%) dichiara di ignorare la normativa sulla sicurezza sul lavoro. All’interno di questo quadro generale i fattori di rischio biologico, stress, carico di lavoro e acido base sono percepiti come più pericolosi. Analizzando il rapporto tra la percezione del rischio ed una serie di variabili si confermano i dati presenti in letteratura sia su studi nazionali che internazionali: 1. Il lavoratore che ha già subito infortuni ha maggiore consapevolezza dei rischi presenti nel proprio ambiente di lavoro. 2. I dati tra le differenze di genere sono sovrapponibili a quelli in letteratura: sono le donne a percepire maggiormente i rischi presenti. 3. Si conferma la correlazione tra la formazione personale del lavoratore e la percezione dei rischi. La conoscenza quindi è indispensabile sia come acquisizione di competenze nella gestione dei rischi sia perché una adeguata formazione porta ad una maggiore percezione degli stessi. 4. I dipendenti della struttura pubblica, i lavoratori più “anziani” e quelli con più anni di servizio percepiscono maggiormente i rischi. Va segnalato un dato: mentre in Italia sono i lavoratori a tempo indeterminato ad avere una più alta percezione dei rischi, a Gran Canaria sono i lavoratori a tempo determinato. Dall’analisi dei campioni di entrambi i Paesi un dato assume particolare rilevanza: la formazione e l’informazione risultano estremamente carenti sia nella qualità che nella tempistica dei corsi. Dalla valutazione dei dati è palese l’importanza della formazione che deve avere un ruolo centrale nella creazione e diffusione di un adeguata cultura della sicurezza sul lavoro da attuarsi lungo l’intero arco della biografia lavorativa dei soggetti-lavoratori. Aver identificato la gerarchia dei timori sui rischi è lo strumento che maggiormente indirizza l’attività formativa. Il piano formativo diviene così adeguato fornendo gli strumenti conoscitivi che si integrino con il momento di vita lavorativa dell’individuo. Si rafforza, pertanto, l’esigenza che il lavoratore debba assumere un ruolo consapevole in grado di garantire un effettivo controllo sui rischi e la gestione che assicuri una reale possibilità di scelta rispetto alla loro accettabilità. Tale indagine potrebbe avere lo scopo di orientare il formatore con strumenti conoscitivi più efficaci quali quelli già analizzati precedentemente (cinema, teatro) con il risultato di incidere maggiormente sulla considerazione del lavoratore circa i rischi lavoro-correlati. A tal scopo si è affiancata all’indagine quantitativa un approfondimento qualitativo (interviste a testimoni significativi) che sottolinea con la divulgazione di esperienze, convinzioni e cultura personale il valore intrinseco della formazione come leva ed incentivo per il cambiamento culturale aziendale.
URI: http://hdl.handle.net/2307/40629
Access Rights: info:eu-repo/semantics/openAccess
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T - Tesi di dottorato

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