Please use this identifier to cite or link to this item: http://hdl.handle.net/2307/40601
Title: IL DANNO NON PATRIMONIALE DA INADEMPIMENTO TRA RISARCIMENTO E PENA PRIVATA
Authors: GIGLIO, DANIELE
Advisor: MOSCATI, ENRICO
Keywords: DANNO
INADEMPIMENTO
RISARCIMENTO
PENA PRIVATA
Issue Date: 21-Jun-2017
Publisher: Università degli studi Roma Tre
Abstract: Il presente lavoro muove dalla presa d’atto della diversa funzione che il danno non patrimoniale assolve nell’area del contratto. Com’è noto, la communis opinio attribuisce alla responsabilità civile una funzione compensativa-riparatoria, escludendone in radice qualsiasi sfumatura punitiva-deterrente. Da sempre, l’idea dominante, soprattutto in giurisprudenza, è di vedere nella responsabilità civile uno strumento attraverso il quale risarcire solo il pregiudizio patito dal danneggiato e ricostituire lo status quo ante; non ammettendo che la stessa possa, al contempo, mirare al raggiungimento di altre finalità. Tale in sostanza è la visione tradizione, che però non appare in linea con lo “spirito del tempo” e con le esigenze sottostanti ad una razionalità giuridica immanente che come tale richiede attuazione da parte della giurisprudenza. Per la verità, sembra ormai profilarsi nella giurisprudenza di legittimità un’interpretazione evolutiva del sistema, nel momento in cui essa fa proprie alcune considerazioni che già da anni sono state elaborate all’interno del formante dottrinale. In tale solco, alcuni recenti arresti giurisprudenziali forniscono lo spunto per un’attenta rimeditazione sulla funzione da attribuire alla responsabilità civile e al risarcimento del danno nel nostro ordinamento. A questo argomento di carattere più generale si affianca la questione se il danno punitivo, come tale, sia o meno ammissibile nel nostro ordinamento. In questo senso, viene in rilievo la recentissima ordinanza interlocutoria n. 9978 del 2016 della Prima Sezione della Corte di Cassazione, interessante per la significativa apertura ai danni punitivi. Nello specifico, l’ordinanza di rimessione pare proprio soffermarsi sull’allargamento della funzione del risarcimento del danno, tradizionalmente interpretata come esclusivamente riparatoria-restitutoria, cioè volta ad assicurare la ricostituzione di quella medesima situazione di fatto che sarebbe esistita ove il fatto dannoso non si fosse verificato, ovvero ad eliminare le conseguenze pregiudizievoli del danno. Rispetto a tale impostazione, si nota un cambio di prospettiva, in quanto la stessa Cassazione riconosce che nel nostro ordinamento sono già presenti misure atte ad ottenere l’adempimento di un obbligo mediante la pressione esercitata sulla volontà dell’inadempiente. Si tratta di strumenti di coartazione che paiono avere funzioni diverse da quelle tradizionali proprie del risarcimento del danno. Conseguentemente, occorre verificare se tali previsioni si risolvano in misure a carattere punitivo e, pertanto, se sia condivisibile la tesi secondo cui la funzione riparatoria-compensativa, seppur prevalente nel nostro ordinamento, non sia l’unica attribuibile alla responsabilità civile. Qui, direi proprio, è protagonista senza imbarazzi una politica del diritto di matrice giurisprudenziale; naturalmente, le funzioni eventualmente riconosciute o assegnate alla responsabilità civile devono comunque essere filtrate attraverso le categorie giuridiche esistenti, le quali ben potranno essere soggette ad un rinnovamento in base ad un ripensamento critico o ad una, anche radicale, trasformazione delle funzioni tradizioni. Deve, sin da ora, precisarsi che l’ingresso ufficiale nel nostro ordinamento del danno punitivo trova ragioni intrinseche al sistema o ai sottosistemi della responsabilità civile, senza che ciò dipenda unicamente dalla politica del diritto della responsabilità civile, cioè dalle condizioni d’uso e dai modi d’impiego dell’illecito civile, che è tutt’altra cosa. In effetti, i danni punitivi, venendo ad incidere sulla commisurazione degli effetti compensativi, punitivi, inibitori, consentono di misurare il tasso di complessità della fattispecie, operando quali veri e propri demarcatori sistemologici. Onde, non può ritenersi che il danno punitivo comporti un arricchimento ingiustificato (come affermato da Cass. n. 1781/2012), muovendosi in un’ottica formalistica peraltro errata, perché anzi rappresenta una reazione espressa dall’ordinamento nei consueti e pressocché insostituibili termini patrimoniali a fronte di comportamenti antigiuridici. L’ordinamento, che si muove nell’ottica dell’effettività del rimedio (no remedy, no right; ubi ius, ibi remedium), agisce offrendo ai consociati quegli strumenti di risposta che, proprio in ragione della loro effettività, siano tali da assicurare una tutela che non necessariamente si esaurisce nel profilo del risarcimento del danno; appunto perché una tutela coincidente con il mero risarcimento del danno esaurisce i suoi compiti nella sola dimensione della fattispecie, ma non in quella dell’effettività del rimedio e degli effetti che da esso discendono o possono discendere in chiave applicativa. In questo senso, si osserva come la questione dei danni punitivi sembra ancora più rilevante nell’area del danno non patrimoniale contrattuale, laddove il quantum da liquidarsi certo non può essere letto quale monetizzazione del pregiudizio, aprendosi così i margini per il ricorso ad un rimedio costruito sulla base dell’effettività della tutela. In altri termini, l’inidoneità del danno non patrimoniale ad assoggettarsi a determinazioni oggettive del suo ammontare e, dunque, la non prospettabilità della funzione compensativa del rimedio rispetto a tale tipologia di danno non possono certo essere messe in discussione, poiché l’immaterialità del danno non patrimoniale e la sua conseguente riconducibilità, in linea di principio, a valori economici rilevano tutt’al più sul diverso fronte della scelta politica del diritto di ammetterlo o meno nell’area della responsabilità contrattuale. Tutto ciò consente, inoltre, di superare il dubbio se al riconoscimento di statuizioni straniere con funzione sanzionatoria possa opporsi un principio di ordine pubblico desumibile da categorie e concetti di diritto interno. In primo luogo, si tratta di distinguere i rimedi in base alla loro operatività, di guisa che non si ascrivano al medesimo ordine di fenomeni presupposti del tutto diversi. In questo quadro, ben si coglie il passaggio che si legge nella parte finale della citata ordinanza: «È il segno della dinamicità o polifunzionalità del sistema della responsabilità civile, nella globalizzazione degli ordinamenti giuridici in senso transnazionale, che invoca l’evoluzione delle regole giuridiche, non la loro frammentazione tra i diversi ordinamenti nazionali». Come si vedrà, tale evoluzione è testimoniata da numerosi indici normativi che segnalano la già avvenuta introduzione, nel nostro ordinamento, di rimedi con funzione non risarcitoria, ma sostanzialmente sanzionatoria. Quello che risulterà dall’esame di tutte queste figure è che, quando l’illecito civile incide sui beni della persona, il confine tra compensazione e sanzione sbiadisce, al punto che la determinazione del quantum non rispecchia esattamente la lesione patita dal danneggiato. A tal proposito, costituisce un’esigenza razionale iniziare la trattazione della responsabilità civile partendo dal danno, che della stessa responsabilità è indefettibile ed essenziale fondamento, anziché sull’antigiuridicità o sulla colpa, i quali non sono altro che elementi di qualificazione dello stesso danno. D’altronde, il rispetto di questo condizionamento è il frutto di un antico indirizzo di scuola, che non trascura di dare risalto anche agli elementi di qualificazione del danno. Più in generale, il richiamo normativo al «danno» serve a coprire una complessa fenomenologia. Se esso è riferito all’inadempimento, poi, ben si comprende come esso possa introdurre anche tecniche coattive assunte per soddisfare finalità ed esigenze che non sono spiegabili secondo la peculiarità della finalità risarcitoria nella sua funzione tradizionale, ma sono coordinate dalla coercizione derivata dal mantenimento dell’interesse specifico del creditore verso la prestazione. L’individuazione del danno risarcibile, naturalmente, investe la natura degli interessi violati. In argomento, è fuor di dubbio che la costruzione del danno alla persona, come pretesa figura autonoma, abbia segnato una tappa importante negli sviluppi della moderna teoria della responsabilità civile. Questa fase, com’è logico, ha suscitato nuovi problemi sistematici, in cui si rispecchiano problemi metodologici ancora irrisolti. In primo luogo, con la valorizzazione del concetto di danno non patrimoniale come categoria funzionalmente autonoma si è spezzata l’unità del concetto di danno come figura rappresentativa di un evento lesivo. In secondo luogo, si è prodotta una fratturazione della figura originaria in figure settorialmente definitive. In tale quadro di complessità, nel quale comportamenti contrattuali possono entrare nella razionalità extracontrattuale, i contatti dannosi sono gli effetti immediati di squilibri che si producono nello svolgimento normale di relazioni oggettive e rappresentano, contemporaneamente, essi stessi le condizioni del formarsi di queste relazioni. In simili contesti, il riferimento al concetto di «persona» funge come argomento per dare una continuità ed una prosecuzione all’insieme delle regole ordinatorie che riguardano le norme sui danni (artt. 1223 e 1226 cod. civ.). Dal canto suo, invece, il termine «danno» ha un valore metaforico per riassumere diversi problemi di tutela e collocare l’esigenza rimediale in ambiti consueti solo per l’uso della terminologia. Prenderà, quindi, il suo significato di quantità di denaro funzionalmente idoneo a neutralizzare, mediante un effetto di sostituzione di valori, ciò che si presenta come evento negativo nella sfera giuridica deprivata. Ma, a ben vedere, nell’ipotesi di danno non patrimoniale, il risarcimento non è in grado di annullare le sofferenze; pertanto, non può parlarsi di funzione satisfattoria del rimedio e neppure compensativa, perché qui il pagamento della somma di denaro ha funzione sanzionatoria, di pena privata.
URI: http://hdl.handle.net/2307/40601
Access Rights: info:eu-repo/semantics/openAccess
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T - Tesi di dottorato

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