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http://hdl.handle.net/2307/40564
DC Field | Value | Language |
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dc.contributor.advisor | MORVIDUCCI, CLAUDIA | - |
dc.contributor.author | VILLANI, LUCA | - |
dc.date.accessioned | 2022-01-26T15:06:32Z | - |
dc.date.available | 2022-01-26T15:06:32Z | - |
dc.date.issued | 2018-04-26 | - |
dc.identifier.uri | http://hdl.handle.net/2307/40564 | - |
dc.description.abstract | L’innovazione tecnologica digitale, risorsa fondamentale della globalizzazione, traccia i nuovi confini della competitività, sostituendo alle vecchie frontiere geografiche quelle simboliche, imputabili alla mancata disponibilità della rete, di competenze o di applicazioni digitali. È quella che, con espressione abusata in vari ambiti del diritto, è stata definita la disruptive innovation di internet. L’Unione europea ha mostrato, forse con un po’ di ritardo, di prendere atto del cambiamento in essere; il segno tangibile di questa nuova tendenza è rappresentato dalla Strategia per il Mercato Unico Digitale, avviata nel maggio 2015. Scopo ultimo di questa scelta politica è quello di affiancare al mercato interno, ancora in divenire e storico obiettivo di integrazione europea, uno spazio senza frontiere on-line entro il quale sia garantita la libera circolazione dei fattori produttivi, nell’ambito di un mercato sempre più digitale. Come è agevole immaginare, non è possibile perseguire questo obiettivo applicando acriticamente al mondo di internet le categorie ed i princìpi tradizionali, che sono stati pensati per altre ipotesi applicative e concepiti entro schemi diversi, tangibili. Ne deriva il non facile compito di decidere se (e, se sì, entro quali limiti) sia necessario intervenire tramite disposizioni di diritto positivo ad-hoc o se, invece, in alcuni casi non sia preferibile estendere analogicamente la portata dei princìpi tradizionali all’universo digitale. In questo contesto, il presente contributo si propone l’obiettivo di fornire una prima analisi dei profili di rilevanza ai sensi del diritto dell’Unione europea delle cc.dd. pratiche di geo-blocking o, con terminologia italiana, di blocco geografico (o geoblocco). Trattasi, in estrema sintesi e con qualche licenza d’imprecisione, di condotte tramite le quali venga impedito o reso maggiormente difficoltoso ad un utente on-line l’accesso ad un determinato bene o servizio per il sol fatto che quell’utente sia localizzato in uno Stato membro piuttosto che in un altro. Trattasi, dunque, di misure discriminatorie in ragione di criteri geografici, che anche a primo acchito appaiono potenzialmente contrarie all’idea di integrazione dei mercati nazionali che sottende il mercato unico. Ancor più in dettaglio, il presente contributo si propone di esaminare le sole pratiche di geo blocking che insistono su contenuti digitali audiovisivi, in quanto si ritiene presentino peculiarità tali da renderle rappresentative dell’intero fenomeno. Invero, esse si pongono nel punto di intersezione tra tecnicismi digitali, diritto istituzionale dell’Unione europea, diritto della proprietà intellettuale, diritto della concorrenza e, in ultima analisi, diritto civile. La molteplicità di fonti legislative dell’Unione tese a disciplinare la materia del diritto d’autore contribuisce, in modo particolare, a disegnare una cornice giuridica straordinaria per complessità, con cui l’interprete è chiamato a rapportarsi. Del resto, che la politica audiovisiva dell’Unione rappresenti terreno fertile per riflessioni di una certa complessità non è certo una novità ed i validi contributi della dottrina, italiana e straniera, sul punto ne sono la testimonianza concreta. In concreto, i blocchi geografici di questa tipologia di contenuti conseguono principalmente ad espresse previsioni contenute in accordi di licenza tra i titolari del diritto d’autore sul contenuto (produttori) ed i soggetti che lo divulgano al pubblico (broadcasters). In forza di tali pattuizioni contrattuali, questi ultimi si obbligano ad impedire l’accesso ad un determinato contenuto a soggetti che si trovino in Stati membri diversi da quello coperto da licenza. Nella prospettiva dei produttori, ciò consente di massimizzare gli introiti derivanti dallo sfruttamento di tali contenuti, potendo contare su revenues provenienti da tanti accordi di licenza quanti sono gli Stati membri dell’Unione. Ad avviso di questi operatori, peraltro, un simile modus operandi non altera in modo significativo le dinamiche commerciali del mercato di riferimento, asseritamente caratterizzato da una certa rigidità che limita la domanda di contenuti audiovisivi transfrontalieri. Nella prospettiva dei broadcasters, invece, questo regime consente di tarare con precisione i contenuti sulla base delle caratteristiche della domanda, soddisfacendone le preferenze con maggiore efficienza. In una prospettiva d’insieme, poi, le esigenze di questi players necessitano di essere contemperate con quelle degli utenti finali e con le cautele ad essi riservate dal diritto dell’Unione. Ma quali sono questi diritti? A quali disposizioni del diritto dell’Unione occorre guardare per rinvenire la disciplina di tali fattispecie? Esiste una disciplina ad-hoc? A queste ed altre domande si propone sommessamente di fornire una risposta il presente contributo. In questa sede introduttiva, sia sufficiente anticipare che una disciplina ad-hoc, almeno con riferimento ai blocchi su contenuti audiovisivi, non esiste. Peraltro, sulla base delle informazioni attualmente a disposizione degli interpreti, non è neppure lecito prevedere che tale disciplina verrà ad esistenza in un prossimo futuro. Ciò è dovuto, da un lato, alla complessità della materia e, dall’altro, alla (efficace) azione di lobby fin qui condotta dagli operatori del settore, che come appena accennato traggono beneficiano dal mantenimento dello status quo. Come per tutti i fenomeni della realtà naturalistica, sarebbe senz’altro preferibile che il legislatore dell’Unione andasse oltre gli interessi particolari dei soggetti coinvolti e si prendesse carico della questione, predisponendo una disciplina che delimiti ex ante le condotte contrarie ai valori espressi dall’ordinamento giuridico di riferimento. Cionondimeno, come chiarito, non è questo il caso del geo-blocking. Il che, francamente, costituisce anche uno degli aspetti più affascinanti della questione, poiché chiama l’interprete al non facile compito di dipanare la matassa sulla base dello stato attuale del diritto positivo dell’Unione. Il presente contributo nasce proprio dall’esigenza di prendere pragmaticamente atto di questo vuoto normativo, analizzando gli strumenti che il diritto dell’Unione mette a disposizione dell’interprete al fine di valutare la liceità delle pratiche di blocco geografico. Da questo punto di vista, l’assenza di una disciplina ad-hoc implica che le pratiche di cui trattasi possano venire in rilievo almeno sotto due profili: da un lato, occorrerà valutarle ai sensi delle disposizioni a tutela della concorrenza nel mercato interno (articoli 101 e 102 TFUE); dall’altro, non se ne potrà tacere la rilevanza ai sensi delle previsioni in materia di libera circolazione dei servizi (articoli 56 ss. TFUE). A ben vedere, nessuno dei due set è del tutto self-standing. Infatti, come verrà chiarito infra: a. le disposizioni in materia di concorrenza scontano ineliminabili limiti applicativi. Da un lato, l’articolo 102 TFUE risulta applicabile alle sole imprese in posizione dominante, lasciando dunque impregiudicate le condotte unilaterali di imprese dotate di minore potere di mercato. Dall’altro, l’articolo 101 TFUE si applica ai soli accordi tra imprese aventi un significativo impatto sulla concorrenza nel mercato interno. A ciò si aggiunga come in tanto le pratiche di blocco geografico potranno ritenersi contrarie all’articolo 101 TFUE in quanto l’autorità antitrust procedente riesca a dimostrare almeno un effetto restrittivo della concorrenza, il che – ma si rimanda di nuovo al seguito del presente elaborato – è tutt’altro che scontato, nel caso di specie. Peraltro, non è possibile tacere come le disposizioni di cui trattasi troverebbero comunque applicazione ai soli rapporti tra imprese, lasciando priva di tutela diretta la posizione dei potenziali utenti che dovessero ritenersi lesi (fatta salva la rilevanza della fattispecie ai fini del private enforcement del diritto antitrust, le cui lungaggini ed aporie applicative ne rendono comunque incerto l’esito); b. i vuoti di tutela lasciati dagli articoli 101 e 102 TFUE potrebbero essere in parte colmati dalle disposizioni dei Trattati in materia di libera circolazione dei servizi. Cionondimeno, esse scontano un percorso applicativo assai tortuoso (dovendo passare per il riconoscimento di efficacia orizzontale diretta), nonché un minore ventaglio di garanzie rispetto a quelle proprie di un procedimento istruttorio per intesa. Entrambi i set di previsioni potrebbero, dunque, trovare applicazione a seconda del caso di specie. Entrambi i set di previsioni saranno, dunque, oggetto di analisi nelle pagine che seguono. Sotto questo profilo, è appena il caso di precisare come saranno invece esclusi dall’analisi di cui al presente contributo i profili connessi alla tutela del consumatore: la peculiarità delle logiche che sottendono la materia ne impedisce una trattazione sufficientemente esaustiva nello spazio qui concesso. Ad ogni modo, coerentemente al percorso logico-argomentativo appena dettagliato, il presente contributo si apre con un capitolo introduttivo che fornisce una descrizione dello status quo ante. Esso contiene uno spaccato di tipo tecnico sulle modalità di attuazione delle pratiche di geo blocking, nonché una descrizione economica della filiera dei contenuti audiovisivi digitali. Tali pratiche verranno poi calate entro il contesto giuridico di riferimento, rappresentato dalle iniziative intraprese a livello centralizzato nell’ambito della Strategia Digitale Europea, nonché dal diritto positivo dell’Unione in materia di copyright. Nel secondo capitolo del presente elaborato si tenterà di fornire una valutazione circa la legittimità delle pratiche di geo-blocking alla luce del diritto della concorrenza dell’Unione europea. Sotto questo profilo, l’analisi verrà condotta sulla base del diritto positivo, della prassi decisionale e degli orientamenti giurisprudenziali in materia di intese restrittive della concorrenza. Risulta dunque esclusa dal presente contributo una valutazione delle pratiche in commento ai sensi della disciplina in materia di abuso di posizione dominante: come avvertito in precedenza, infatti, allo stato del dibattito in materia il geo-blocking di contenuti audiovisivi ha assunto rilevanza in quanto promanante da condotte concertate da due o più operatori del mercato, posti a livelli diversi della filiera distributiva di riferimento. L’analisi verrà dunque condotta alla luce delle elaborazioni delle istituzioni europee e della migliore dottrina in materia di intese verticali, restrittive della concorrenza se aventi per oggetto o per effetto la compartimentazione del mercato interno. La casistica della Corte di Giustizia in merito a tali accordi è tutt’altro che univoca ed è difficilmente riconducibile ad un quadro d’insieme solido. Si cercherà di farlo tramite il riferimento alle elaborazioni della migliore dottrina sul punto. A prescindere dagli esiti della valutazione in punto di diritto della concorrenza, si tenterà poi di effettuare un assessment circa la legittimità di tali pratiche alla luce delle disposizioni in materia di libera circolazione dei servizi. A questo riguardo, occorrerà fare riferimento a due ipotesi applicative: la c.d. direttiva servizi, che dovrebbe trovare applicazione prioritaria in ragione dell’operatività del principio di specialità, ma anche le disposizioni dei Trattati fondamentali di cui agli artt. 56 TFUE ss. Anticipando parzialmente le conclusioni, valga in questa sede rilevare come il ristretto ambito applicativo della direttiva consenta di escluderne l’applicabilità al caso di specie; conseguentemente, in tanto le pratiche di blocco geografico assumeranno rilievo nell’ambito della libera circolazione dei servizi, in quanto sia possibile valutarle alla luce degli artt. 56 TFUE ss. Ciò vuol dire, come è noto alla luce delle nozioni istituzionali del diritto dell’Unione, interrogarsi circa la possibilità di riconoscere efficacia c.d. orizzontale diretta a tali disposizioni, i.e. circa la possibilità che soggetti privati possano vantare sulla base di tali disposizioni diritti soggettivi azionabili in giudizio. Al fine di fornire una risposta a tale interrogativo, occorrerà esaminare con attenzione le pronunce della Corte di Giustizia sul punto: a fronte di un quadro, ancora una volta, non pienamente intelligibile e chiaro, occorrerà rifarsi all’opera di sistematizzazione della migliore dottrina al fine di trovare il fil rouge che lega le pronunce del giudice dell’Unione. Tanto premesso, in conclusione di questo primo approccio al problema, valga rilevare quanto segue. A prescindere dai pur indubbi profili di interesse connessi ad un argomento tanto specifico, l’ottica con la quale si tenterà di approcciare le pratiche di geo-blocking è quella di ritenerle un caso di studio. Esse rappresentano il punto di intersezione tra concetti e discipline assai diversi tra loro. Inoltre, l’assenza di una specifica disciplina di diritto positivo pone l’interprete davanti all’affascinante prospettiva di dover trovare una soluzione a problemi nuovi in princìpi già consolidati, certamente pensati per far fronte ad esigenze diverse, ma comunque aventi piena validità anche allo stato attuale del diritto. Sotto questo profilo, il presente contributo rappresenta l’occasione per riflettere sulla tenuta di temi istituzionali classici, quali la portata delle disposizioni in materia di concorrenza, con particolare riguardo alle differenze tra concorrenza e regolazione, i confini tra disposizioni a tutela della concorrenza e disposizioni a presidio della libera circolazione dei fattori produttivi, ma anche l’efficacia diretta ed il grado di pervasività che al diritto dell’Unione deve essere riconosciuto negli ordinamenti giuridici degli Stati membri. Di tutte queste tematiche si tenterà sommessamente di rendere conto nelle pagine che seguono. | en_US |
dc.language.iso | it | en_US |
dc.publisher | Università degli studi Roma Tre | en_US |
dc.subject | GEO BLOCKING | en_US |
dc.subject | MERCATO UNICO DIGITALE | en_US |
dc.subject | LIBERA CIRCOLAZIONE DEI SERVIZI | en_US |
dc.title | LE PRATICHE DI GEO BLOCKING DI CONTENUTI AUDIOVISIVI DIGITALI NEL DIRITTO DELLA UNIONE EUROPEA | en_US |
dc.type | Doctoral Thesis | en_US |
dc.subject.miur | Settori Disciplinari MIUR::Scienze giuridiche::DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA | en_US |
dc.subject.isicrui | Categorie ISI-CRUI::Scienze giuridiche | en_US |
dc.subject.anagraferoma3 | Scienze giuridiche | en_US |
dc.rights.accessrights | info:eu-repo/semantics/openAccess | - |
dc.description.romatrecurrent | Dipartimento di Giurisprudenza | * |
item.grantfulltext | restricted | - |
item.languageiso639-1 | other | - |
item.fulltext | With Fulltext | - |
Appears in Collections: | Dipartimento di Giurisprudenza T - Tesi di dottorato |
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