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Title: LA TUTELA DEI TERZI NELLE MISURE PATRIMONIALI ANTIMAFIA
Authors: Angelelli, Adelaide
Advisor: Mezzetti, Enrico
Keywords: TERZI MISURE PATRIMONIALI
Issue Date: 29-May-2017
Publisher: Università degli studi Roma Tre
Abstract: La tesi prende in esame la disciplina della tutela dei terzi titolari di diritti reali e/o personali su beni sottratti alla criminalità organizzata, in virtù di sequestro e/o confisca antimafia. Il primo capitolo è dedicato all’evoluzione negli anni della misura della confisca e alla natura “proteiforme” che la stessa ha acquisito nell’ambito della legislazione antimafia, ove il ricorso alla misura ablatoria è andato incrementandosi tanto da divenire lo strumento privilegiato di contrasto alla criminalità organizzata. Nel contempo, detta misura ha progressivamente assunto carattere “polifunzionale” andando specificandosi, a seconda dei contesti, quanto a presupposti e destinatari: pertanto, più che di “confisca” al singolare bisognerebbe, forse, ormai parlare di “confische” antimafia, non potendosi ridurre ad unità ciò che, in effetti, di comune conserva solo l’effetto ablatorio conseguente all’espropriazione e all’acquisto del bene da parte dello Stato. In particolar modo, le diverse confische previste nella vigente legislazione antimafia possono raccogliersi in tre modelli: la confisca di “sicurezza” (art. 240, c.p. art. 416-bis, comma 7, c.p..), la confisca di “prevenzione” (art. 24, d.lgs. 159/2011 recante il nuovo Codice Antimafia e delle misure di prevenzione) e la confisca “sanzionatoria” (12-sexies d.l. 306/1992 per la persona fisica e artt. 19 e 24-ter, comma 1, d.lgs. 231/2001 per l’ente collettivo). Più nello specifico, accanto alle misure tipicamente incentrate sul peculiare vincolo di “pertinenzialità” della cosa rispetto al medesimo reato, si distinguono forme di confisca c.d. “allargata” applicabili all’intero patrimonio di un soggetto, sul presupposto di una pericolosità sociale “qualificata” da indizi di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso o assimilate. Gli esempi più noti sono quelli della confisca di prevenzione e di quella sanzionatoria “speciale” prevista all’art. 12-sexies, d.l. 306/1992 (convertito in l. 356/1992). Quest’ultima anch’essa fondata sulla presunzione secondo cui i beni risultanti nella diretta o indiretta disponibilità di un determinato soggetto e di valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato, all’attività economica o al suo tenore di vita, costituiscono il “frutto” o il “reimpiego” di attività illecite, salvo che l’interessato riesca a giustificarne la legittima provenienza. Si tratta, come noto, di provvedimenti ablatori svincolati dall’accertamento di un nesso causale tra la presunta condotta criminosa e la titolarità dei beni ed esclusivamente fondati sulla presunzione dell’illegittima provenienza di questi ultimi, nell’ambito di un “processo al patrimonio” autonomo ovvero complementare rispetto a quello penale. Quanto all’oggetto, l’unica differenza consiste nel fatto che, mentre nel caso dell’art. 12-sexies, d.l. 306/1992 possono essere confiscati tutti i beni di cui non sia stata fornita giustificazione a prescindere dal momento del loro acquisto, relativamente alla confisca di prevenzione si contrappongono attualmente due diversi indirizzi giurisprudenziali: il primo volto a richiedere una correlazione temporale fra gli indizi di carattere personale e l’acquisto, dovendosi verificare se i beni siano entrati nella disponibilità del proposto non già anteriormente ma successivamente o almeno contestualmente al suo presunto inserimento nel sodalizio criminoso; il secondo, più recente, incentrato sul mero nesso di pertinenzialità tra beni di cui non sia provata la legittima provenienza e soggetti portatori di pericolosità sociale e tale da includere i beni acquisiti dal proposto in epoca antecedente a quella cui si riferisce l’accertamento dell’inizio della pericolosità, purché sia avviato un procedimento per l’applicazione di una misura personale. In realtà, l’apposizione di un limite temporale per l’acquisto dei beni deriva dal fatto che mentre l’art. 12-sexies, D.L. 306/1992 presuppone una condanna (o anche un patteggiamento ai sensi dell’art. 444 c.p.p.) per il reato di cui all’art. 416-bis, c.p., ai fini della misura di prevenzione è sufficiente un accertamento meramente indiziario che, come ora stabilito all’art. 29, d.lgs. 159/2011, è del tutto indipendente dall’esercizio dell’azione penale: pertanto, non si richiede la sussistenza di elementi tale da indurre un convincimento di certezza ai sensi dell’art. 533, c.p.p. ma solo circostanze di fatto, oggettivamente valutabili, che conducano ad un giudizio di ragionevole probabilità di appartenenza del soggetto al sodalizio criminoso. Peraltro, si noti che la misura di prevenzione presenta un ambito di applicazione più ampio di quello della confisca di cui all’art. 12-sexies, d.l. 306/1992, quanto a destinatari e presupposti. In primo luogo perché – seppure quest’ultima consegue alla condanna per diversi delitti tipicamente riconducibili alla criminalità mafiosa ovvero commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416- bis, c.p. o al fine di agevolare l’attività dell’associazione medesima – rimane certamente più vasta e composita la platea dei soggetti di cui agli artt. 1, 4 e 16, d.lgs. 159/2011 tale da ricomprendere tutte le fattispecie di “pericolosità generica” alternativamente connesse alla reiterazione sistematica di condotte delittuose economicamente rilevante o alla frequente derivazione di almeno una parte dei mezzi di sostentamento del soggetto da attività illecite. Tanto che, oltre a svolgere la sua funzione tradizionalmente prevenzionistica, la confisca antimafia costituisce ormai, in coerenza con le più moderne linee di politica criminale, un fattore di repressione della marginalità sociale come della criminalità del potere16. In secondo luogo, perché è possibile colpire anche beni che rientrano nella disponibilità di persona deceduta nel corso del procedimento e finanche dopo cinque anni dall’avvenuto decesso (art. 18, commi 1 e 2, d.lgs. 159/2011): laddove la medesima circostanza, ove intervenga nel corso del procedimento penale, preclude la pronuncia di condanna di cui all’art. 12-sexies, D.L. 306/1992 determinando il non doversi procedere per estinzione del reato e la conseguente restituzione delle cose frattanto eventualmente sequestrate (di cui nel frattempo non sia stata accertata la illegittima provenienza). Nondimeno, si tratta di istituti tendenzialmente assimilabili, come conferma l’uso da parte del legislatore della medesima terminologia per individuare i beni assoggettabili a sequestro e confisca (rispettivamente al comma 1 dell’art. 12-sexies, d.l. 306/1992 e al comma 3 dell’art. 2-ter, l. 575/1965 ora riprodotto al comma 1 dell’art. 24, d.lgs. 159/2011), nonché l’assoggettamento (ciò anche in relazione alla c.d. confisca di sicurezza disposta ex art. 416, comma 7, c.p.) alla stessa disciplina in tema di esecuzione del sequestro e amministrazione dei beni. Premessa, dunque, un’analisi sui principi e sulle regole fondamentali vigenti in tema di confisca di sicurezza, confisca di prevenzione e confisca sanzionatoria, si analizzano gli effetti che dette misure determinano nella sfera giuridica dei “terzi” ovvero dei soggetti diversi dal proposto/prevenuto o dall’indagato/imputato/condannato, coinvolti in vario modo e titolo dal sequestro e/o dalla confisca dei beni. Vengono in rilievo le seguenti categorie: i) Terzi intestatari dei beni ovvero i titolari del bene ritenuto nella disponibilità del proposto/prevenuto o dell’indagato/imputato/condannato, i quali possono subire la sottrazione – prima provvisoria col sequestro, poi irreversibile con la confisca definitiva del bene; ii) Terzi titolari di diritti reali di garanzia o di prelazione sui beni ovvero coloro che vantano una garanzia patrimoniale all’adempimento di debiti contratti dal proposto o dal responsabile del reato, titolari quindi, per il rapporto intercorso col proposto o con l’indagato/imputato da cui è sorto il proprio diritto di credito, di un interesse “indiretto” sul bene sequestrato e/o confiscato, che possono vedersi privati del bene grazie al quale avrebbero potuto soddisfare il proprio credito (che potrebbe anche essere l’unico aggredibile) a causa del depauperamento del patrimonio del debitore derivante dalla devoluzione del bene allo Stato; iii) Terzi creditori chirografari del proposto o dell’indagato/imputato/condannato ovvero coloro che vantano pretese di natura obbligatoria nei confronti del sottoposto alla misura patrimoniale, i quali fanno affidamento sui beni sequestrati e/o confiscati quale garanzia patrimoniale generica del proprio debitore; iv) Terzi eredi o aventi causa del titolare del bene (e successori a titolo universale o particolare, divenuti titolari del bene interessato dalla misura patrimoniale a seguito della morte del proposto o dell’indagato/imputato/condannato; v) Terzi interessati (indirettamente) dal provvedimento che, senza assumere la qualità di formali intestatari o di titolari di un diritto di credito, sono coinvolti per gli effetti che possono derivare dalla confisca definitiva del bene (e prima ancora dal sequestro): si pensi ai titolari di diritti reali o personali di godimento ovvero a coloro che sono parte del giudizio avente a oggetto domande giudiziali trascritte prima del sequestro, relative a diritti di proprietà o a diritti reali sul bene sequestrato. Il secondo capitolo è, pertanto, dedicato alle forme di tutela elaborate dalla giurisprudenza (prima) e dal legislatore (poi) nei confronti dei soggetti terzi i cui diritti possono venire compromessi e pregiudicati dall’adozione del provvedimento di natura patrimoniale. La tutela dei diritti dei terzi su beni sequestrati o confiscati alla criminalità organizzata costituisce da sempre un tema estremamente complesso, in cui vengono continuamente in rilievo opposti interessi, aventi natura pubblicistica o privatistica, tutti meritevoli di considerazione: l’interesse pubblicistico alla repressione del fenomeno criminale mafioso e l’esigenza di tutelare le situazioni giuridiche di soggetti estranei al procedimento penale e/o di prevenzione.. Peraltro, tale contrasto riguarda entrambi i profili dell’an e del quomodo della tutela trattandosi, da un lato, di evitare il rischio della precostituzione di posizioni creditorie “di comodo” che consentano di aggirare o eludere gli effetti delle misure di prevenzione; dall’altro di evitare che le istanze del terzo possano pregiudicare il vincolo di destinazione pubblicistica derivante dalla devoluzione del bene al patrimonio indisponibile dello Stato, quale effetto del provvedimento irrevocabile di confisca. Motivo per cui, sotto il primo profilo, si è tradizionalmente onerato il terzo di dimostrare che il proprio diritto non solo derivi da atto avente data certa e anteriore al sequestro ma soprattutto sia sorto in condizioni di buona fede ovvero di affidamento incolpevole, quale prova dell’assoluta estraneità al sodalizio criminoso o, comunque, alle attività illecite da cui il bene provenga; mentre, sotto il secondo profilo si è affermata la prevalenza del procedimento penale e/o di prevenzione su eventuali procedimenti esecutivi con la conseguenza per cui al titolare di un diritto reale di garanzia avente ad oggetto i beni sequestrati o confiscati si è tendenzialmente riconosciuta la mera possibilità di ottenere il soddisfacimento delle proprie ragioni creditorie con gli ordinari mezzi della giustizia civile. In estrema sintesi, la giurisprudenza di legittimità ha più volte precisato che – ferma l’impossibilità di sottoporre ad esecuzione beni confiscati alla criminalità organizzata – neppure i provvedimenti ablatori possono pregiudicare diritti acquisiti dai terzi in buona fede, in quanto la confisca realizza un acquisto del bene a titolo “derivativo” e non “originario” o “espropriativo per pubblica utilità”. Pertanto, tali terzi sono legittimati a intervenire nel procedimento di prevenzione e/o penale o, comunque, ad agire in sede di incidente di esecuzione dinanzi all’autorità giudiziaria competente, ai sensi degli artt. 676, comma 2 e 667, comma 4, c.p.p., per far accertare l’esistenza delle condizioni di “persistenza”, “permanente validità” o “efficacia” di detti diritti, costituiti dall’anteriorità della trascrizione dei relativi titoli rispetto al provvedimento ablatorio e da una situazione soggettiva di buona fede, intesa come affidamento incolpevole, con onere della prova a carico degli interessati. Tali principi sono stati introdotti nell’ambito della normativa antimafia titolo IV del d.lgs. 159/2011 in cui – oltre a stabilirsi che, a seguito del sequestro non possono essere iniziate o proseguite azioni esecutive e che i beni già oggetto di esecuzione sono presi in consegna dall’amministratore giudiziario, salva l’ipotesi di una loro riassunzione entro un anno dalla revoca definitiva della misura di prevenzione (art. 55, d.lgs. 159/2011) – si afferma che la confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro, sempre che: l’escussione del restante patrimonio del proposto sia risultata insufficiente al soddisfacimento del credito, salvo per i crediti assistiti da cause legittime di prelazione su beni sequestrati; il credito non sia strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, a meno che il creditore dimostri di avere ignorato in buona fede il nesso di strumentalità; sia provato il rapporto fondamentale ove il diritto derivi da promessa di pagamento, ricognizione di debito o titoli di credito (art. 52, d.lgs. 159/2011). Quanto ai diritti personali o reali di godimento, la confisca ne determina sì l’estinzione, ma ai rispettivi titolari spetta in prededuzione un equo indennizzo commisurato alla durata residua del diritto medesimo (art. 52, commi 4 e 5, d.lgs. 159/2011). Mentre ai proprietari in buona fede di beni in comunione è concesso un diritto di prelazione per l’acquisto della quota confiscata al valore di mercato (salvo che sussista la possibilità che il bene, in ragione del livello di infiltrazione criminale, possa tornare anche per interposta persona nella disponibilità del sottoposto come di associazioni di stampo mafioso o dei relativi appartenenti) o, in alternativa, la corresponsione di una somma equivalente al valore attuale della quota di proprietà, nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente (art. 52, commi 7 e 8, d.lgs. 159/2011). Per i rapporti pendenti al momento del sequestro l’esecuzione del contratto è sospesa fino a quando l’amministratore giudiziario, previa autorizzazione del giudice delegato, dichiari di subentrare nel contratto in luogo del proposto, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di risolvere il contratto salvo che, in quelli ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto (art. 56, d.lgs. 159/2011). Rimane ferma, ovviamente, la possibilità del terzo di richiedere la revocazione della decisione definitiva di confisca nelle forme previste dall’art. 630 c.p.p. ogniqualvolta ne risulti, per fatti sopravvenuti e non per mera rivalutazione di elementi già dedotti nel corso del procedimento, l’originaria mancanza dei presupposti (art. 28, d.lgs. 159/2011), al fine di ottenere la riparazione del danno eventualmente mediante la restituzione dei beni, anche per equivalente, secondo quanto disposto dall’art. 46, d.lgs. 159/2011. Le principali novità rispetto al passato riguardano, invece, l’accertamento in contraddittorio dei diritti dei terzi che viene “accentrato” nell’ambito del procedimento di prevenzione, cui gli stessi sono chiamati ad intervenire (art. 23, 55 comma 3 e 57, d.lgs. 159/2011), eventualmente a pena di decadenza, per far accertare i propri diritti ed ottenere una tutela che, ferma restando l’acquisizione dei beni al patrimonio dello Stato liberi da oneri e pesi (art. 46, comma 1, d.lgs. 159/2011), si attua attraverso la liquidazione degli stessi ove le somme altrimenti apprese, riscosse o comunque ricevute non siano all’uopo sufficienti (art. 60, comma 1, d.lgs. 159/2011). Disciplina estesa (con alcune differenze), in virtù della legge n. 228 del 2012 ai procedimenti di prevenzione sottratti all’applicazione delle disposizioni del Libro I del d.lgs. 159/2011 in quanto già pendenti al momento dell’entrata in vigore di quest’ultimo, nonché, in base a una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 12-sexies, comma 4, l. 356/1992, alle ulteriori ipotesi di confisca antimafia ex artt. 12-sexies e 416-bis, comma 7, c.p. Dunque, nonostante le diversità di ratio, finalità e disciplina sottese alla differenti “forme” di confisca antimafia, in punto di tutela dei terzi queste sono “accompagnate” da un comune denominatore: tutte di fatto determinano, stante il regime giuridico cui sono assoggettati ai sensi degli artt. 44 e ss. del d.lgs. 159/2011 i beni sottratti alla criminalità organizzata, il “sacrificio” dei diritti dei terzi sui beni confiscati. Il terzo capitolo della tesi è, pertanto, dedicato ai limiti “imposti” alla tutela dei terzi di buona fede la cui posizione, alla luce dell’analisi svolta, appare significativamente sacrificata. Anzitutto, per la ridotta tutela accordata al terzo proprietario illegittimamente privato del bene. L’articolo 46, comma 1, ultimo periodo, invero, stabilisce che la restituzione dei beni confiscati possa avvenire anche per equivalente, al netto delle migliorie, quando i beni siano stati assegnati per finalità istituzionali e la restituzione possa pregiudicare l’interesse pubblico. In tal modo si priva il proprietario del bene illegittimamente confiscato della tutela restitutoria anche per l’ipotesi in cui siano del tutto assenti i presupposti per procedere a confisca. Difatti, tra le ipotesi che giustificano la restituzione dei beni ex 46, comma 1, rientra, senz’altro, il vittorioso esperimento dell’azione di revocazione, la quale, ai sensi dell’art. 28, comma 2 del codice antimafia, opera in caso di difetto originario dei presupposti per l’applicazione della misura. Si tratta, dunque, di un sacrificio del diritto del terzo di buona fede non giustificato neppure dall’obiettivo di contrasto alla criminalità organizzata, ma solo dall’esigenza di evitare il pregiudizio che lo Stato subirebbe in conseguenza della restituzione al proprietario del bene illegittimamente confiscato. In secondo luogo, per la limitazione dei rimedi esperibili da parte del creditore privilegiato, deprivato, di fatto, del contenuto tipico della sua garanzia, il c.d. ius distrahendi, oltreché per la previsione di un tetto massimo al soddisfacimento del credito: in altre parole, la confisca determina (comunque) l’estinzione dei diritti reali di garanzia con conseguente “degradazione” a diritto di credito contenuto, peraltro, nel limite del 70 per cento del valore dei beni sequestrati o confiscati come risultante dalla stima redatta dall’amministratore o dalla minor somma eventualmente ricavata dalla vendita degli stessi (art. 53, d.lgs. 159/2011e art. 1, comma 203, legge di stabilità). In tal modo, oltre a limitare irragionevolmente il contenuto delle pretese risarcitorie del terzo, il legislatore sembra seguire una logica espropriativa, là dove individua il parametro in relazione al quale stabilire il tetto massimo di soddisfacimento dei crediti accertati nel valore dei beni oggetto della misura di prevenzione, mentre, di regola, nel caso di esecuzioni collettive, il primo parametro di riferimento è rappresentato dall’ammontare del credito. Trattasi di tutela certamente attenuata e rallentata rispetto a quella garantita in forma esecutiva, volta all’evidenza a salvaguardare anzitutto l’interesse dello Stato all’acquisto di beni liberi da pesi e privilegi contenendo la tutela del terzo entro i limiti delle risorse pubbliche disponibili ed evitando il rischio che, attraverso teste di legno o aggiudicatari compiacenti, il bene possa tornare direttamente nelle mani del proposto. Un altro limite alla tutela del terzo riguarda il caso della cessione del credito garantito da ipoteca sul bene sottoposto a misura di prevenzione: secondo l’orientamento giurisprudenziale tuttora prevalente, infatti, la verifica del requisito della buona fede deve essere effettuata in relazione tanto al cedente quanto al cessionario nel senso che da un lato la valutazione negativa quanto al cedente soggetto preclude la salvaguardia del diritto reale anche nei confronti del cessionario e, dall’altro lato la buona fede del cedente non è sufficiente ad assicurare il diritto del cessionario, in quanto la cessione del credito potrebbe strumentalmente avvenire da parte dell’originario creditore, pur ipoteticamente in buona fede all’atto dell’acquisto del proprio diritto, in favore di prestanome del prevenuto o di soggetto comunque legato a quello colpito dalla misura di prevenzione reale onde consentirgli il recupero del bene sottoposto a confisca. Anche su questo occorrerebbe forse una presa di posizione da parte del legislatore in quanto, ove la cessione del credito sia successiva alla trascrizione del vincolo di prevenzione, si finisce di fatto per negare ogni tutela al cedente in buona fede il quale, verosimilmente, non potrà più alienare il proprio credito scattando altrimenti per il cessionario una presunzione assoluta di malafede; senza considerare che, nel caso di cessione di rapporti giuridici in blocco ex art. 58 ss., d.lgs. 385/1993, tipicamente ricorrente tra istituti bancari, tale presunzione diverrebbe del tutto irragionevole non potendosi includere tra i doveri di diligenza del cessionario quello di effettuare un preciso controllo, sia pur mediante i pubblici registri immobiliari, sui beni posti a garanzia di ogni singolo credito ceduto o, tantomeno, escludersi la possibilità di invocare la mancata consultazione dei medesimi registri, solo perché essi hanno lo scopo di rendere opponibile a tutti una situazione esteriorizzata nelle forme prescritte. In conclusione, dall’esame della normativa vigente e dai principi elaborati dagli interpreti, l’impressione che emerge dal lavoro svolto è quella di una spiccata prevalenza dell’interesse pubblico alla repressione del fenomeno “mafioso” anche a discapito dell’interesse, parimenti meritevole di tutela, dei terzi proprietari o creditori di buona fede del preposto a non essere privati del bene ovvero della garanzia patrimoniale sulla cui base avevano concesso credito o effettuato prestazioni. Un simile assetto di interessi, oltre a sollevare dubbi di compatibilità costituzionale, rischia, altresì, di compromettere l’operazione “culturale” che sta dietro al procedimento di destinazione dei beni a finalità pubbliche, che può essere percepito come un espediente con il quale il legislatore ha inteso risolvere a favore dello Stato una pluralità di controversie nelle quali quest’ultimo era implicato, in tal modo offuscando l’immagine dell’ordinamento statale che invece, tanto più nella materia de qua, vorrebbe ergersi a garante della legalità.
URI: http://hdl.handle.net/2307/40561
Access Rights: info:eu-repo/semantics/openAccess
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T - Tesi di dottorato

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