Please use this identifier to cite or link to this item: http://hdl.handle.net/2307/40507
Title: I DIRITTI DELLA PERSONA DEL LAVORATORE E L'OBBLIGO DI TUTELA
Authors: Addio, Ludovica
Advisor: Proia, Giampiero
Keywords: TUTELA DIRITTI
LAVORATORE
DANNI
Issue Date: 12-Jun-2017
Publisher: Università degli studi Roma Tre
Abstract: Il lavoro proposto intende approfondire la tematica dei diritti della persona del lavoratore e gli aspetti correlati al loro dovere di tutela. La peculiarità della disciplina del diritto del lavoro rispetto al diritto comune dei contratti e delle obbligazioni è rinvenibile nel fondamento stesso della disciplina, identificabile nel principio della personalità del lavoro. Tale principio etico impone alle parti del rapporto di lavoro di comportarsi e agire nel rispetto delle clausole generali di correttezza e buona fede. La disciplina del lavoro è dunque interamente ordinata alla tutela della personalità umana del lavoratore che, tra le altre cose, delinea il limite dell’interesse dell’imprenditore nell’esercizio della propria impresa. Il nucleo dei diritti inviolabili della persona è senz’altro rinvenibile nell’art. 2 Cost che, avendo proclamato i “doveri inderogabili di solidarietà”, ha avuto il merito di riconoscere l’anteriorità della persona umana rispetto all’organizzazione politica e di garantire il riconoscimento dei diritti dell’uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali che devono essere letti come valori della persona che implicano non solo la difesa ma anche lo sviluppo della persona umana. Lo studio condotto ha consentito peraltro di analizzare compiutamente il contenuto dell’art. 2087 Cod. Civ., norma “di contenuto amplissimo”posta a tutela dell’integrità della persona, che assume una duplice rilevanza sia come integrità fisica che psichica; i relativi profili rientrano, da un lato, nella definizione costituzionale di salute e, dall’altro lato, in quella di personalità morale, inquadrabile nel nucleo dei diritti inviolabili della persona di cui all’art. 2 Cost. Ebbene, il sistema delineato dalla Costituzione (e laddove non lo recepisce espressamente, ne è comunque vincolato in considerazione del valore precettivo dei principi costituzionali che garantiscono l’inviolabilità dei diritti ivi espressi) viene recepito nella sua interezza dal diritto del lavoro, la cui specificità è quella di ricongiungere le operae, quali entità materiali, alla persona che le pone in essere, dando luogo a quel processo citato di “personalizzazione” del lavoro che esige, tra le altre cose, un impegno ben maggiore da entrambe le parti del rapporto contrattuale. E così, come osserva Grandi4, mentre al prestatore di lavoro si chiede più della mera esecuzione della prestazione di lavoro (involgendo operae e anima), al datore di lavoro si richiede il rispetto di tutte le misure che permettono al lavoratore di realizzarsi pienamente, dal punto di vista morale così come da quello materiale. Corollario degli obblighi di tutela della personalità del lavoratore è senz’altro il dovere di garantire il rispetto della dignità del lavoratore stesso, che assume i connotati di un diritto inviolabile costituzionalmente riconosciuto e la cui lesione da parte di un altro soggetto costituisce presupposto logico della responsabilità civile. Nonostante all’interno della Costituzione non sia rinvenibile una definizione espressa di dignità, è tuttavia evidente che l’intero testo sia permeato di disposizioni che si riferiscono alla dignità riferibili alla persona che lavora5, la cui tutela viene realizzata e garantita dallo svolgimento di un lavoro che ex se sia dignitoso e, cioè, in grado di elevare la condizione stessa dell’uomo. Al riguardo, però, ci si domanda se di fronte alla persistente crisi del lavoro il sistema di regolazione del rapporto di lavoro, reso sempre più flessibile, sia in grado di aderire dal sistema valoriale di diritti inviolabili garantito costituzionalmente, evitando di determinare in ragione della perdurante crisi economica la compressione dei diritti e delle tutele dei lavoratori. Al contrario, è auspicabile che la forma “liquida” della regolamentazione dei rapporti sia improntata in maniera sempre più incisiva e garantista al rispetto dei principi e vincoli costituzionali, per evitare, anzitutto, che il lavoro diventi senza dignità (il che lo renderebbe inevitabilmente, senza qualità) V’è comunque da tenere in considerazione che il contratto di lavoro ha consentito di inglobare i diritti della persona all’interno del vincolo obbligatorio determinando così il carattere imperativo e inderogabile delle norme lavoristiche7 ed è proprio in ragione di tale vincolo contrattuale che viene garantito il rispetto dei diritti fondamentali della persona8. A tal proposito, lo studio condotto ha consentito di condividere la conclusione, espressa dalla più accreditata ricostruzione dottrinaria9 e giurisprudenziale10, secondo cui la responsabilità del datore di lavoro sia di natura contrattuale, con le relative conseguenze in termini di onere probatorio, anche in considerazione del fatto che tale tipo di responsabilità “affonda le proprie radici nelle obbligazioni scaturenti dal contratto di lavoro subordinato”11. Al fine di delineare con completezza lo studio dei diritti della persona del lavoratore e dei correlati obblighi di tutela, è stato utile, poi, analizzare il fenomeno del c.d. mobbing da intendersi come “sequenza di atti e comportamenti miranti e/o idonei, per le modalità di attuazione, a realizzare una forma psicologica del lavoratore preso di mira”12. Tuttavia, la carenza di una definizione legale del termine mobbing13 fa sì che vi sia incertezza nella definizione dei contorni della fattispecie e degli elementi costitutivi di essa. Non è raro, peraltro, che situazioni potenzialmente classificabili come mobbing non siano ritenute giuridicamente qualificabili come tali, in considerazione della mancata sussistenza di tutti gli elementi qualificanti la fattispecie14. Di regola, per le violazioni degli obblighi contrattuali configuranti il mobbing interviene la responsabilità contrattuale, determinando il conseguente riparto di oneri probatori. Al riguardo, peraltro, sembra potersi affermare l’irrilevanza della prova da parte del danneggiato dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa della condotta lesiva, in ragione del fatto che, parallelamente a quanto stabilito nella casistica relativa ad atti discriminatori e condotte antisindacali, assume primaria rilevanza l’oggettività della condotta. A diverse conclusioni si potrebbe giungere nel caso della violazione, occorsa sì in costanza del rapporto di lavoro, ma causata da un soggetto diverso dal datore di lavoro, non essendo sussistente un diretto vincolo contrattuale. In tal caso potrebbe ritenersi configurabile, da un lato, una responsabilità di natura extracontrattuale del soggetto agente della condotta posta in essere in violazione del generale principio del neminem laedere. Dall’altro lato potrebbe sussistere la responsabilità di natura contrattuale del datore di lavoro che non abbia garantito il rispetto dell’art. 2087 Cod. Civ. Poste tali premesse, sembra dunque potersi ragionevolmente affermare che la responsabilità extracontrattuale trovi il suo spazio nei casi in cui le vicende del mobbing non rientrino tra quelle riconducibili alle violazioni degli obblighi contrattuali del datore di lavoro (per le quali interviene, di regola, la responsabilità contrattuale). Infine, lo studio ha consentito di approfondire l’analisi dei rimedi posti dall’ordinamento giuridico a tutela dei diritti della persona del lavoratore: la tutela risarcitoria, che garantisce la di un interesse succedaneo del creditore alla riparazione del danno, e la azione di adempimento, che ha la diversa funzione di dare attuazione al diritto di credito. Al riguardo, come è stato autorevolmente osservato in dottrina15, l’azione di adempimento, anticipata in via cautelare nel caso di sussistenza di un concreto periculum, è da considerarsi l’unica azione idonea a garantire una tutela pienamente satisfattiva. Si pensi ai casi di tutela reintegratoria del lavoratore illegittimamente licenziato che “costituisce la traduzione nel diritto sostanziale del principio (…) ricondotto all’art. 24 Cost. secondo cui il processo (…) deve dare alla parte lesa tutto quello e proprio quello che le è riconosciuto dalla norma sostanziale”. È senz’altro interessante notare anche come la formulazione dell’art. 2087 Cod. Civ., ponendosi nella direzione dell’esatto adempimento dell’obbligo, evidenzi un principio di priorità logica e giuridica dell’adempimento dell’obbligo rispetto alla tutela risarcitoria che rappresenta rimedio solamente parziale del danno subito dalla persona del lavoratore. Al fine di poter realizzare la piena tutela dei propri interessi e della propria integrità psicofisica, il lavoratore ha a propria disposizione anche strumenti di tutela di carattere “attuativo”. Tra questi, rientrano i c.d. strumenti di autotutela17 che consentono al proprio titolare, “di provvedere a conservare ed attuare quello stato di fatto che sia conforme al suo diritto insoddisfatto o minacciato” . Ebbene, tra i rimedi annoverabili, rientrano anzitutto quelli di autotutela c.d. estintiva, identificabili con le dimissioni per giusta causa del lavoratore che, tuttavia, presenta il limite di poter essere realmente efficace solamente laddove “il lavoratore abbia facilità di reperimento di altra confacente occupazione, altrimenti per evitare un danno il lavoratore mobbizzato se ne procura un altro consistente nella perdita del posto, per la quale non può neppure chiedere un risarcimento derivante da fatto proprio, tutto riducendosi alla indennità ex articolo 2119 c.c.”. Lo strumento di autotutela maggiormente idoneo a realizzare una efficace possibilità di difesa del lavoratore si identifica con il suo legittimo diritto di astenersi dalla prestazione lavorativa,potendosi ravvedere in tale diritto di astensione il principio dell’exceptio inadimplenti contractus di cui all’art. 1460 Cod. Civ. Infine, nell’ottica della più ampia garanzia dei diritti della persona del lavoratore, è stata condotta un’analisi in merito al contenuto e alla natura dell’art. 614bis Cod. Proc. Civ., misura coercitiva indiretta finalizzata all’induzione all’adempimento da parte del debitore. Al riguardo sarà utile comprendere le ragioni poste alla base dell’esclusione dal campo di operatività della norma stessa di tutte le controversie di lavoro subordinato pubblico e privato e dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 409 Cod. Proc. Civ. Ciò, assume ancor più rilievo laddove si consideri che l’ultimo comma dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori prevede che nell'ipotesi di licenziamento illegittimo del dirigente sindacalista, il datore di lavoro inottemperante è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore. Ci si domanda se la richiamata esclusione non operi una discriminazione illegittima nei confronti dei lavoratori che non hanno la possibilità di godere delle medesime tutele riconosciute ai lavoratori di cui all’art. 22 dello Statuto dei Lavoratori. L’estensione della disposizione di cui all’art. 614 Cod. Proc. Civ. anche ai rapporti di lavoro subordinato potrebbe ritenersi un valido sistema per indurre le parti del rapporto ad agire nel più ampio rispetto dei principi di correttezza e buona fede?
URI: http://hdl.handle.net/2307/40507
Access Rights: info:eu-repo/semantics/openAccess
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T - Tesi di dottorato

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