Please use this identifier to cite or link to this item: http://hdl.handle.net/2307/40458
Title: La patologia della prassi amministrativa e gli strumenti amministrativi anticorruzione
Authors: Arata, Sofia
Advisor: Cardi, Enzo
Keywords: PREVENZIONE E CONTRASTO DELLA CORRUZIONE
Issue Date: 16-Apr-2018
Publisher: Università degli studi Roma Tre
Abstract: La corruzione, intesa non come mero fenomeno patologico ma come sistema di malaffare ordinario e diffuso nella prassi amministrativa odierna, può essere analizzata tanto nella sua veste amministrativa che in quella penale. La doppia veste del sistema corruttivo risponde alla precisa esigenza, già avvertita in sede sovranazionale e recepita dal Legislatore nazionale con la L. 190/2012, di approntare una disciplina che non si limiti a reagire alla condotta delittuosa già posta in essere ma che intervenga in via preventiva nella fase prodromica alla commissione del reato, ovvero agisca già all’interno degli apparati amministrativi con una serie di strumenti volti a prevenire il verificarsi del delitto. In questo senso, la dottrina ha ritenuto sussistente la corruzione c.d. amministrativa nell’ipotesi in cui la condotta del pubblico funzionario esuli e violi le norme di buona amministrazione, nonché i principi ad esse connessi, senza, tuttavia, raggiungere la soglia del penalmente rilevante. Rispetto a tali episodi di c.d. maladmistration, l’esigenza perseguita è stata quella di approntare uno strumentario volto, da un lato, a rinsaldare i doveri pubblici dei dipendenti della P.A. e, dall’altro, a precisare le forme di reazione rispetto a tali condotte illegittime, attraverso un rafforzamento del potere disciplinare riconosciuto in capo al datore di lavoro e ad una semplificazione del procedimento sanzionatorio. L’idea di fondo che sembra muovere il Legislatore, infatti, è che la corruzione amministrativa abbia trovato terreno fertile per il suo sviluppo a seguito della privatizzazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A. Secondo tale impostazione, infatti, attraverso la qualificazione degli obblighi dei dipendenti pubblici alla stregua di obbligazioni contrattuali preposte unicamente al corretto adempimento delle mansioni affidate al soggetto, si è assistito ad una progressiva disaffezione del dipendente dalla mission istituzionale ad esso affidata e una conseguente violazione dei principi di etica pubblica costituzionalmente imposti. Per queste ragioni, il Legislatore è intervenuto, tramite l’introduzione di strumenti anticorruttivi di natura ‘soggettiva’, ripubblicizzando i doveri in capo ai dipendenti pubblici e dotando il datore di lavoro di un potere di reazione disciplinare da attivare unilateralmente a fronte della violazione dei suddetti doveri. Oltre ad intervenire all’interno dell’apparato della P.A., il Legislatore, sempre perseguendo la finalità anticorruttiva, ha inteso disciplinare anche il momento esplicativo della potestà pubblica e, in particolare, il settore della contrattualistica pubblica nel quale il rischio corruttivo risulta particolarmente allarmante. La disciplina dei contratti pubblici, dopo aver subito numerose oscillazioni fra rigidità e elasticità, sembra, ad oggi, nuovamente assestarsi su meccanismi anticorruttivi particolarmente rigidi che riducono al massimo lo spazio discrezionale della stazione appaltante. In questa ottica, di particolare rilievo appare la devoluzione all’A.N.A.C. delle funzioni di regolazione, vigilanza e sanzione nel settore dei contratti pubblici. L’affidamento, infatti, all’Autorità preposta al contrasto della corruzione delle funzioni suddette suggerisce la politica legislativa adottata e consegna all’interprete un quadro piuttosto chiaro degli obiettivi legislativi perseguiti. A rinforzare la suddetta percezione intervengono poi, oltre agli strumenti di rigidità codisticamente scanditi, ulteriori strumenti anticorruttivi che rendono, a ben vedere, l’A.N.A.C. l’interlocutore privilegiato dell’Autorità Giudiziaria con riguardo ai fenomeni corruttivi emersi nelle dinamiche contrattuali pubbliche. Alla luce di quanto esposto, sono due le osservazioni che possono essere mosse analizzando la disciplina in parola. In primo luogo, la riqualificazione dei doveri dei pubblici dipendenti in veste pubblicistica e la natura pubblica da assegnare alla reazione disciplinare potrebbero far emergere dubbi in merito alla sovrapposizione della risposta sanzionatoria penale con quella disciplinare in termini di violazione del divieto del bis in idem. In secondo luogo, la stretta connessione, convenzionalmente pattuita, fra l’ANAC e gli organi preposti al contrasto della corruzione penalmente intesa sembra, in qualche misura, far assottigliare il diaframma fra corruzione amministrativa e corruzione penale, suggerendo una ridefinizione tanto della natura che della missione istituzionale dell’A.N.A.C.
URI: http://hdl.handle.net/2307/40458
Access Rights: info:eu-repo/semantics/openAccess
Appears in Collections:Dipartimento di Giurisprudenza
T - Tesi di dottorato

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