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http://hdl.handle.net/2307/40441
Title: | Giudizio di vessatorietà e trasparenza delle clausole a contenuto economico | Authors: | Capoccetti, Angela | Advisor: | Rabitti, Maddalena Cuffaro, Vincenzo |
Keywords: | Giudizio di vessatorietà Trasparenza |
Issue Date: | 12-Jun-2017 | Publisher: | Università degli studi Roma Tre | Abstract: | La ricerca pone al centro della riflessione le clausole cd. a contenuto economico (clausole di determinazione del prezzo) inserite nei contratti bancari, cercando di comprendere se esse possano considerarsi ancora immuni dal giudizio di vessatorietà, alla luce dell’odierno contesto economico -giuridico. Come è noto l’art. 34, comma 2, cod. cons., dispone che la valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell'oggetto del contratto, né all'adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile. Alla luce della citata norma, la dottrina tradizionale (e maggioritaria) ha elaborato la distinzione tra “equilibrio normativo” ed “equilibrio economico” del contratto, ritenendo che soltanto una significativa asimmetria dei diritti e dei doveri (e non, pertanto, anche dei “costi”) scaturenti dal contratto in capo alle parti, possa giustificare il giudizio di vessatorietà di una clausola. Il legislatore eccezionalmente ammette il giudice a porre al centro della sua indagine circa l’abusività delle clausole contenute nei contratti B2C anche l’adeguatezza del corrispettivo della prestazione contrattuale, soltanto qualora esso sia individuato in maniera oscura, ovvero soltanto qualora il contraente forte violi gli obblighi di trasparenza posti a suo carico. Quale significato attribuire però alla violazione delle norme sulla trasparenza quale veicolo del giudizio di nullità? In recenti occasioni, la Corte di Giustizia Europea, in materia di clausole inserite nella contrattualistica bancaria (ad esempio in tema di clausole sulla determinazione del tasso di interesse nei contratti di mutuo fondiario), ha precisato come una clausola inerente all’oggetto principale del contratto debba considerarsi redatta in modo chiaro e trasparente non soltanto quando essa risulti intelligibile per il consumatore su un piano grammaticale e formale, ma altresì quando sia in grado di esporre il funzionamento concreto del meccanismo al quale la clausola si riferisce, nonché la relazione tra tale meccanismo e quello prescritto da altre clausole, in modo che il consumatore sia posto in grado di valutare, sul fondamento di criteri precisi e intelligibili, le conseguenze economiche che gliene derivano. Il giudice comunitario sempre più spesso fa ricorso al criterio della conoscibilità, da parte del consumatore, delle conseguenze economiche di una clausola, quale declinazione del più generale obbligo di trasparenza, quasi a voler dimostrare, con le sue decisioni, come l’eccezione dello squilibrio economico non possa ossificare il giudizio di vessatorietà della clausola. Alla luce di tali ricostruzioni giurisprudenziali, è possibile affermare che gli obblighi di trasparenza posti a carico del professionista stiano divenendo il mezzo per introdurre anche il criterio della valutazione del contenuto economico nel giudizio sulla validità e sulla eventuale nullità del contratto consumeristico? Sancire la nullità di una clausola contrattuale in virtù della sua inidoneità a rendere il consumatore edotto circa le conseguenze economiche da essa scaturenti, necessita, infatti, di un inevitabile disamina, da parte dell’interprete, del contenuto economico della stessa, sulla stregua della quale sarà poi possibile comprendere come l’obbligo di disclosure, che si presume disatteso, doveva essere congegnato. E’ pertanto possibile affermare che si vada via via concretizzando un tentativo di ridimensionamento del dogma dell’intangibilità dell’equilibrio economico del contratto, come certa dottrina, da più di un decennio, ha argomentato? E’ possibile affermare ciò anche alla luce della sempre più diffusa tendenza dei giudici a declinare, persino il giudizio di vessatorietà, in termini solidaristici, facendo ricorso a principi generali quali quello della buona fede? E ancora: tale tendenza interpretativa ha un carattere meramente emergenziale (in quanto elaborata per tentare di arginare gli effetti della crisi economica degli ultimi anni) o assume i connotati di una innovativa inversione di marcia in tema di identificazione dei presupposti del giudizio di vessatorietà? La tesi tenta di dare una risposta a tali quesiti, in particolare attraverso una attenta analisi delle più autorevoli voci dottrinali che si sono espresse sul tema, nonché delle decisioni giurisprudenziali e dell’Arbitro Bancario e Finanziario. | URI: | http://hdl.handle.net/2307/40441 | Access Rights: | info:eu-repo/semantics/openAccess |
Appears in Collections: | X_Dipartimento di Studi Aziendali T - Tesi di dottorato |
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