Please use this identifier to cite or link to this item: http://hdl.handle.net/2307/3899
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dc.contributor.advisorBarroero, Liliana-
dc.contributor.authorMirra, Valeria-
dc.date.accessioned2015-03-10T13:26:31Z-
dc.date.available2015-03-10T13:26:31Z-
dc.date.issued2011-04-19-
dc.identifier.urihttp://hdl.handle.net/2307/3899-
dc.description.abstractIl presente lavoro si inserisce all’interno di un più vasto progetto dedicato a La cultura architettonica italiana e francese in epoca napoleonica, promosso dall’Archivio del Moderno dell’Accademia di architettura dell’Università della Svizzera italiana e dal Centre Ledoux, Université Paris I Panthéon-Sorbonne INHA, in collaborazione con la Scuola Dottorale in Culture della trasformazione della città e del Territorio, sezione Storia e Conservazione dell’oggetto d’arte e d’architettura, dell’Università Roma Tre. In quest’ambito, la mia ricerca si è concentrata sulla storia della Calcografia Piranesi: a partire dal suo trasferimento da Roma a Parigi nel 1799 – quando i figli del celebre Giovanni Battista furono costretti all’esilio in seguito alla caduta dell’effimera Repubblica Romana, cui avevano partecipato attivamente –, fino alla morte, nel 1810, di Francesco, figura in cui possiamo riconoscere non solo il principale continuatore dell’opera paterna, ma anche il responsabile dei progetti e delle realizzazioni della bottega Piranesi già immediatamente dopo la morte del suo fondatore. L’arco cronologico su cui si focalizza la ricerca è stato quindi delimitato al periodo 1799-1810: quasi un decennio, nel quale si consuma la vicenda della Calcografia Piranesi a Parigi. Questa parte centrale del lavoro costituisce la necessaria premessa il primo capitolo, in cui si analizzano le vicende della Calcografia Piranesi a partire dal momento della morte di Giovanni Battista, nel 1778. Il filo rosso della narrazione, per questa prima parte della tesi, è costituito dalla sopra citata Notice historique sur la vie et les ouvrages de J.-B. Piranesi di Jacques-Guillaume Legrand. Rimasto inedito per più di un secolo, tale manoscritto può essere infatti considerato la fonte principale per la ricostruzione della vita e delle opere di Giovanni Battista e dei suoi figli, in particolare di Francesco, il cui profilo biografico è l’unico inserito dall’architetto francese all’interno della più vasta biografia piranesiana. Di particolare interesse i due brevi passaggi dedicati alla formazione del giovane figlio del celebre incisore, inquadrata da Legrand all’interno dalle relazioni, intense e feconde, intercorse tra Giovanni Battista Piranesi e i pensionnaires di palazzo Mancini. Non solo. La testimonianza dell’architetto francese contribuisce ad illuminare l’intero panorama della vivace offerta formativa che si poteva trovare nella Roma della seconda metà del XVIII secolo. Accanto al ruolo ufficiale svolto dall’Accademia di San Luca, infatti, diverse furono le strutture, pubbliche e private, che venivano incontro alla diffusa esigenza di perfezionamento professionale dei tanti giovani, italiani e stranieri, che affollavano la capitale pontificia: dall’Accademia di Francia alle scuole private tenute dagli artisti.Il racconto di Legrand è stato costantemente confrontato e verificato con la vasta letteratura relativa non solamente alla figura e all’opera di Giovanni Battista Piranesi, ma anche al più generale contesto romano, quello “specchio vivente del mondo”, dove gli scambi e i confronti tra artisti di differenti nazionalità furono intensi e determinanti. È questo l’orizzonte culturale in cui si mossero inizialmente i protagonisti della mia ricerca e che attraverso l’incrocio di fonti ho ricostruito in relazione, in primo luogo, ai differenti ruoli e alle diverse responsabilità assunti da Francesco e Pietro Piranesi alla morte del padre nell’ambito dell’attività della Calcografia, valutando quanto ciascuno di loro raccolse dell’eredità materiale e spirituale lasciata da Giovanni Battista. Ho cercato di dimostrare come fu proprio grazie a tale eredità che i giovani Piranesi ebbero la possibilità di trovarsi al centro della scena non solo artistica e culturale, ma anche politica e, ancora, non solo romana, ma di respiro europeo. Una conferma viene dalla nomina, nel 1783, di Francesco Piranesi ad agente artistico del re di Svezia Gustavo III. La fitta rete di relazioni intrecciate ebbe tra i suoi riflessi più significativi, e al contempo gravidi di conseguenze per il futuro, il pieno coinvolgimento e l’attiva partecipazione dei due fratelli Piranesi alla Repubblica romana, nel 1798-1799, quando molti dei circoli frequentati da intellettuali ed eruditi, protagonisti della vita culturale romana, assunsero connotazioni politiche. Coinvolti in prima persona nelle tumultuose vicende politiche del biennio giacobino, una volta conclusa quell’esperienza, con l’arrivo nella capitale pontificia delle truppe napoletane, a Francesco e Pietro non rimase che la via dell’esilio. Una sorte condivisa con molti compatrioti, che, come loro, avevano da tempo intrecciato stretti rapporti con il mondo oltralpino. Il capitolo successivo segue secondo un ordine cronologico e si occupa dell’analisi delle vicende legate al trasferimento della Calcografia da Roma a Parigi, dei nuovi progetti e delle nuove collaborazioni avviate, in particolare da Francesco, fin dall’arrivo nella capitale francese. Fu certamente in virtù del fascino che l’opera di Giovanni Battista Piranesi aveva esercitato e – anche per merito di Francesco che ne aveva proseguito le pubblicazioni, completando le serie rimaste incompiute alla morte del padre – continuava ad esercitare in Francia, che i figli del celebre incisore beneficiarono di un sostegno speciale da parte del governo. A queste motivazioni se ne aggiunsero altre, di natura più prettamente ideologica, che li avvicinarono innanzitutto agli ambienti che gravitavano intorno alla rivista «La Décade philosophique, littéraire et politique», organo di stampa molto diffuso nell’ambito dell’intellighenzia parigina sotto il Consolato e l’Impero. Sono stati evidenziati gli stretti legami intessuti tra i fondatori della rivista con gli intellettuali italiani; la simpatia e il sostegno rivolti in particolare verso coloro che parteciparono ai governi, spesso effimeri, nati in seguito alle occupazioni francesi e che, alla loro caduta, furono costretti all’esilio. Ancora, si è sottolineata l’importanza a livello politico rivestita da molti degli uomini della «Décade» – assai significativo, in relazione alle vicende dei Piranesi, è il caso del fondatore del periodico Ginguené, Direttore generale dell’istruzione pubblica dal 1795 al 1802; nonché la loro appartenenza alla medesima potente Loggia massonica. Sulla scorta di queste ed altre considerazioni (ricordando, in primo luogo, il rapporto di Giovanni Battista Piranesi con la massoneria, noto già da tempo alla critica), e sulla base di analogie tra le carriere di altre figure di artisti ed eruditi legati alla famiglia Piranesi, ho avanzato l’ipotesi di una tela di fondo massonica, che chiarirebbe molte circostanze, altrimenti piuttosto oscure, della biografia dei fratelli Piranesi e, soprattutto, spiegherebbe la loro rapida ascesa nel panorama culturale parigino. Questi aspetti possono essere ulteriormente approfonditi attraverso il confronto tra i Piranesi e gli altri emigrati italiani nella Parigi di inizio XIX secolo, analizzando due casi emblematici: quello del sostegno offerto loro da Ennio Quirino Visconti, considerato dai suoi stessi contemporanei il più illustre antiquario vivente, e, sul fronte opposto, il caso dell’architetto Giuseppe Barberi, ritrovatosi, indigente, ai margini del gruppo degli esuli romani, e che, al contrario, furono proprio i Piranesi a sostenere. Ampio spazio è stato dedicato all’esame del Prospectus pubblicato nell’anno VIII (1800), oggi conservato presso il Département des Estampes della Bibliothèque Nationale, fonte preziosa per comprendere quali ambiziosi progetti animassero Francesco – perché è chiaramente la figura di Francesco che si può scorgere dietro la sua pubblicazione – al momento dell’arrivo a Parigi. Il documento, che è stato messo a confronto con le altre numerose fonti del XIX secolo che ho raccolto nel corso delle mie ricerche presso archivi e biblioteche francesi, ha portato ad approfondire le nuove collaborazioni con personaggi del calibro di Jean-Nicolas-Louis Durand e di Jacques- Guillaume Legrand e a riflettere sul fatto che fu soprattutto nel gruppo degli architetti, su cui più di altri esercitò il suo fascino la visione piranesiana, che i figli dell’incisore trovarono i primi sostegni e contributi alle loro attività. Si passa, nel terzo capitolo, ad analizzare il risultato di tali collaborazioni, attraverso l’esame delle pubblicazioni dei “Piranesi frères” a Parigi, seguendone l’evoluzione attraverso i cataloghi di vendita e valutandone l’impatto soprattutto grazie allo spoglio che ho condotto sulle riviste dell’epoca. A queste si aggiunge un altro imprescindibile documento manoscritto: il Rapport steso da Dal Pozzo e Degérando nel 1809 per valutare le cause del fallimento economico dell’impresa Piranesi. Quelle che emergono sono due linee diverse e parallele: da una parte, i progetti e le opere realizzate dai Piranesi, in cui intravediamo un costante tentativo di adeguare i mezzi offerti dall’incisione alle nuove esigenze di mercato – per cui si passa dalla rappresentazione di soggetti spettacolari alla produzione dei Dessins coloriés, fino ad arrivare all’ultima impresa, la manifattura di vasi e ornamenti di architettura ispirati al catalogo piranesiano; dall’altra parte, la ricezione presso i contemporanei, che spesso non risparmiarono critiche, di simili progetti e opere.È proprio il Rapport sopra citato che, col suo sguardo d’insieme, ci aiuta a meglio interpretare questi fenomeni. Nel valutare ciò che meritava di essere salvato dalle mani dei creditori cui era stato costretto a ricorrere Francesco per sostenere le molteplici attività intraprese, i commissari ci hanno tramandato anche il loro autorevole giudizio in merito. Così era fuori discussione che si dovessero salvare ad ogni costo i rami della Calcografia, comprendendo insieme alle incisioni di mano di Giovanni Battista anche quelle proseguite da Francesco a Parigi – su cui anche i suoi peggiori detrattori non emisero mai sentenze negative. Tuttavia, il parere dei commissari sulle altre attività intraprese dai Piranesi non fu altrettanto positivo: la produzione dei Dessins coloriés e la manifattura di Mortefontaine, sebbene avessero raggiunto dei risultati apprezzabili, perseguivano ai loro occhi dei fini “quasi estranei alle Belle Arti”. L’argomento non è dunque rivolto contro il prodotto finale, ma contro un modo di produzione “in serie”. È sulla scorta di queste considerazioni che sono stati impostati i capitoli centrali, dedicati, in primo luogo, all’Accademia aperta dai Piranesi presso la loro seconda sede, il Collège de Navarre, rue de la Montagne Sainte Geneviève, la cui stessa esistenza era quasi del tutto ignorata dalla critica moderna, e la cui finalità è quanto mai controversa, come ho cercato di suggerire già nel titolo del paragrafo. In secondo luogo, alla produzione dei Dessins coloriés, che sembrerebbe strettamente connessa all’istituzione stessa dell’Accademia e di cui mi è stato possibile ritrovare un inedito catalogo, qui riprodotto in Appendice (Appendice documentaria, I). Grazie al confronto con l’altro catalogo noto – sul quale si basa l’unico studio finora dedicato alle incisioni colorate dei Piranesi, un articolo di Udolpho van de Sandt del 1978– e, insieme, alla loro più corretta contestualizzazione nell’ambito delle molteplici attività intraprese dai Piranesi, oggetto della presente ricerca, è stato possibile riprendere e sviluppare alcune delle riflessioni sollevate dallo studio di van de Sandt, nonché colmarne le lacune, attraverso l’identificazione di nuove incisioni ascrivibili alla Calcografia Piranesi e oggi conservate in diverse biblioteche a Parigi (Mazarine, Arsenal e Département des Estampes della Bibliothèque Nationale).Infine, l’ultimo paragrafo del terzo capitolo è dedicato alla manifattura di vasi e ornamenti d’architettura in terracotta creata dai Piranesi a Mortefontaine, che, nonostante il considerevole sostegno offerto dal fratello di Napoleone, Giuseppe Bonaparte, avrebbe portato al fallimento economico il suo principale quanto incauto fondatore: Francesco Piranesi. Relativamente tale impresa, un elemento di criticità è costituito dalla mancanza di riscontri di una collaborazione con Clodion, pubblicizzata nei libelli degli stessi Piranesi e nella stampa coeva, ma mai appurata all’interno del vasto catalogo delle opere eseguite dal celebre scultore francese. Si avanza quindi l’ipotesi che la collaborazione di Clodion con la manifattura di Mortefontaine potrebbe essersi limitata agli anni di esordio della nuova attività (1802-1803), oppure, semplicemente essere rimasta ad un puro stadio progettuale. In ogni caso, il Catalogue des sculptures plastiques, in cui veniva trionfalmente presentato il risultato di simile collaborazione, costituisce una testimonianza fondamentale non solo in merito alle opere che i Piranesi realizzarono o, forse, piuttosto, avrebbero voluto realizzare, grazie all’intervento del celebre scultore francese, ma anche, per estensione, alla storia del gusto d’inizio XIX secolo. È in considerazione di tale ragione, come pure del fatto che finora non sia mai stato riprodotto nonostante la sua segnalazione da parte di Anne Poulet nel 1992, che si è scelto di trascrivere il Catalogue in Appendice (Appendice documentaria, II). La parte conclusiva della tesi è dedicata all’analisi degli atti finali dell’avventura Piranesi a Parigi: dalla separazione dei due fratelli, avvenuta nel 1807, ai finora inediti quanto ambiziosi progetti di Francesco che, come molti suoi compatrioti, tentò di trovare un canale per poter ritornare in Italia nella figura del viceré Eugenio di Beauharnais. Seguiranno le testimonianze e i commenti, rintracciati nelle fonti dell’epoca, relativi alla morte di Francesco, avvenuta a Parigi il 24 gennaio 1810. In seguito la Calcografia fu acquistata dalla famosa stamperia parigina Firmin Didot Frères, che ne continuò le tirature sino alla fine del 1838, quando, il 19 dicembre, firmò il contratto di vendita con la Calcografia Camerale di Roma. Si concludeva così “una delle più significative acquisizioni dell’allora Calcografia Camerale, condotta dal cardinale Tosti sotto il pontificato di papa Gregorio XVI, e che oggi, dopo più di 170 anni, continua a costituire oggetto di analisi e studio per definire alcuni dati ancora poco chiari sulla storia di questo fondo di 1191 rami, di cui 964 autografi, che costituivano la Calcografia Piranesi”. Così inizia l’analisi sulle matrici incise della Calcografia, condotta dall’Istituto Nazionale per la Grafica e tuttora in corso. Si può, quindi, concludere aggiungendo che la “storia di questo fondo di rami” non può oggi prescindere dalla lunga parentesi vissuta dalla Calcografia nel corso della sua permanenza in Francia.it_IT
dc.language.isoitit_IT
dc.publisherUniversità degli studi Roma Treit_IT
dc.titleUn'impresa culturale e commerciale : la calcografia Piranesi da Roma a Parigi, 1799-1810it_IT
dc.typeDoctoral Thesisit_IT
dc.subject.miurSettori Disciplinari MIUR::Scienze dell'antichità, filologico-letterarie e storico-artisticheit_IT
dc.subject.isicruiCategorie ISI-CRUI::Scienze dell'antichità, filologico-letterarie e storico-artisticheit_IT
dc.subject.anagraferoma3Scienze dell'antichita', filologico-letterarie e storico-artisticheit_IT
dc.rights.accessrightsinfo:eu-repo/semantics/openAccess-
dc.description.romatrecurrentDipartimento di Studi storico-artistici, archeologici e sulla conservazione*
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item.fulltextWith Fulltext-
item.languageiso639-1other-
Appears in Collections:X_Dipartimento di Studi storico-artistici, archeologici e sulla conservazione
T - Tesi di dottorato
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