Please use this identifier to cite or link to this item: http://hdl.handle.net/2307/3738
Title: Norme penali di favore e sindacato di costituzionalità
Authors: Petrini, Michela
Advisor: Trapani, Mario
Carmona, Angelo
Issue Date: 9-Mar-2011
Publisher: Università degli studi Roma Tre
Abstract: Il presente lavoro è volto ad indagare la natura delle norme penali di favore ed i limiti al sindacato di costituzionalità su queste ultime. Si parte dalla considerazione che nel sistema penale il ruolo di custode della legalità costituzionale che l’art. 134 Cost. riserva al Giudice delle leggi si affianca a quello di garante della libertà personale, di cui è investito il legislatore ai sensi dell’art. 25 comma 2 Cost. Sebbene l’assetto giuridico-isituzionale ordinato nella Carta fondamentale sia chiaro nel definire le funzioni e attribuire i poteri ai predetti organi costituzionali, non si può tacere del fatto che, talvolta, si sia assistito ad una invasione di campo, in un settore, quello penale, ove gli equilibri tra la riserva di legge ed il sindacato di costituzionalità assumono una certa significatività proprio in considerazione del fatto che si tratta di scegliere se e come restringere lo spazio di libertà dei cittadini. Le modifiche dell’ordinamento penale da parte della Corte costituzionale sono imposte dal vincolo di conformità delle disposizioni di legge e degli atti ad esse equiparati ai principi ed ai parametri della Costituzione; tuttavia in che modo , e nel rispetto di quali limiti, debba svolgersi l’intervento della Corte è questione complessa sulla quale il dibattito della dottrina costituzionalistica e di quella penalistica sembra essere a tutt’oggi vivace. Dopo aver esaminato i recenti orientamenti della giurisprudenza costituzionale sul tema delle sentenze c.d. normative della Corte costituzionale, l’indagine volge proprio sulla categoria delle norme penali di favore. Tradizionalmente la dottrina costituzionalistica con l’espressione «norme penali di favore» ha inteso riferirsi ad una categoria eterogenea comprendente: cause di giustificazione; cause di non punibilità; cause di estinzione della pena; norme che comportano l’esclusione o il trattamento più favorevole di un soggetto o di una situazione dall’area della norma incriminatrice; cause di estinzione del reato.Il profilo caratterizzante tutte queste diverse tipologie di norme attiene al piano degli effetti giuridici: l’esclusione o l’attenuazione della responsabilità penale a favore dell’agente. Il principale problema sollevato dalle ordinanze di rimessione con le quali si è richiesta la caducazione dell’una o dell’altra norma penale favorevole riguarda le conseguenze prodotte da un’eventuale sentenza di accoglimento: una volta che la norma in bonam partem viene espunta dall’ordinamento il fatto di reato prima lecito, o scusato, o non punibile, torna ad essere sottoposto a pena per effetto di una decisione della Corte che ha (ri)ampliato i confini della rilevanza penale. Ciò determina che il sindacato della Corte entri in tensione (se non addirittura in conflitto) con almeno due dei principi su cui si fonda l’ordinamento penale: la riserva di legge e l’irretroattività della norma penale sfavorevole. Dopo aver analizzato il tradizionale orientamento giurisprudenziale che affermava l’inammissibilità del sindacato in ragione della irrilevanza della questione, nell’elaborato si approfondiscono gli approdi ermeneutici raggiunti con la sentenza della Corte costituzionale n. 394 del 2006, ed in particolare la distinzione operata tra norme penali di favore e norme penali favorevoli. Le prime «stabiliscano, per determinati soggetti o ipotesi, un trattamento penalistico più favorevole di quello che risulterebbe dall'applicazione di norme generali o comuni» e risultano da «un giudizio di relazione fra due o più norme compresenti nell’ordinamento in un dato momento»; tale qualificazione, si precisa, non può essere fatta discendere «dal raffronto tra una norma vigente ed una norma anteriore, sostituita dalla prima con effetti di restringimento dell’area di rilevanza penale o di mitigazione della risposta punitiva». La dichiarazione di incostituzionalità di una norma penale di favore non si traduce in un intervento creativo né additivo, poiché « l'effetto in malam partem non discende dall'introduzione di nuove norme o dalla manipolazione di norme esistenti da parte della Corte, la quale si limita a rimuovere la disposizione giudicata lesiva dei parametri costituzionali; esso rappresenta, invece, una conseguenza dell'automatica riespansione della norma generale o comune, dettata dallo stesso legislatore, al caso già oggetto di una incostituzionale disciplina derogatoria. Tale riespansione costituisce una reazione naturale dell'ordinamento – conseguente alla sua unitarietà – alla scomparsa della norma incostituzionale». Le norme penali favorevoli, al contrario, sono insindacabili in quanto «delimitano l’area di intervento della sanzione penale» con dati espressivi di un bisogno e di una meritevolezza di pena. La distinzione tra norme che sottraggono e norme che delimitano non appare del tutto convincente e tuttavia si sottolinea come l’ammissibilità del sindacato sulle norme di favore sia strettamente connesso all’ineludibile esigenza che nell’ordinamento non vi siano zone franche ove il legislatore opera svincolato dal rispetto dei valori costituzionali. Nella parte finale del presente lavoro si approfondisce la questione che vede contrapporsi i poteri giurisdizionali di controllo della Consulta e le prerogative di normazione del Parlamento. Si tratta di scegliere ed è una scelta difficile proprio perché non esiste una soluzione interpretativa che consenta di salvaguardare la tenuta complessiva del sistema; o si cede nell’ordinamento penale e ci si rassegna a vedere scalfita la trincea della riserva di legge, oppure ci si barrica nella roccaforte della legge penale e si osserva come all’esterno si sia determinata una crepa nella cornice della legalità costituzionale. Entrambe le soluzioni non sono sicuramente appaganti; si tratta, allora, di scegliere quale sia il sacrificio che si è costretti a sopportare, nella consapevolezza che, trattandosi del settore penale, è in gioco il sommo bene della libertà personale del cittadino. Quest’ultimo è garantito dal fondamento di democraticità che si rinviene nella riserva di legge e tuttavia è chiaro che il legislatore non è un’entità onnipotente cui tutto è consentito in virtù della sua legittimazione democratica diretta. Ciò che l’ordinamento pare non possa tollerare è la consacrazione di «zone franche istituzionali» dove leggi incostituzionali sono sottratte al controllo della Corte costituzionale. Le scelte politiche, in quanto tali, sono scelte discrezionali; ma discrezionalità non significa arbitrio. La diversa ponderazione di interessi che può portare ad introdurre nell’ordinamento una norma in favor libertatis non può per ciò solo essere sottratta ad uno scrutinio che ne verifichi la compatibilità con la Costituzione. Così come la riserva di legge serve a garantire il cittadino dall’arbitrio del legislatore quando questo si determina a restringere gli spazi di libertà, il principio di uguaglianza dovrebbe limitarne l’arbitrio quando l’opzione normativa si indirizzi verso un ampliamento della sfera di liceità di un determinato comportamento. In altri termini l’art. 3 Cost. dovrebbe garantire ad ogni cittadino di poter godere della stessa libertà accordata ad altri che versino nelle medesime condizioni soggettive ed oggettive. In questa prospettiva il diritto alla libertà personale verrebbe garantito non solo quando ci si indirizzi verso una sua compressione (art. 25 Cost.), ma anche quando la norma si proietti verso un’espansione della stessa (art. 3).
URI: http://hdl.handle.net/2307/3738
Access Rights: info:eu-repo/semantics/openAccess
Appears in Collections:X_Dipartimento di Diritto dell'Economia ed Analisi Economica delle Istituzioni
T - Tesi di dottorato

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